domenica 21 febbraio 2016

Mutuo: no decreto ingiuntivo o pignoramento se il contratto è abusivo

 

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Il giudice deve rilevare d’ufficio le clausole vessatorie ed è tenuto a bloccare l’esecuzione forzata e la vendita all’asta, in qualsiasi fase si trovi.

Per la seconda volta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si scaglia contro i contratti di mutuo bancario contenenti clausole capestro: con una sentenza di qualche giorno fa [1], i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che l’eventuale presenza di clausole abusive inserite dalla banca nel contratto di finanziamento (cosiddette clausole vessatorie) deve essere rilevata dal giudice d’ufficio, quindi anche in mancanza di apposita richiesta della parte mutuataria.

Non solo: l’aspetto più interessante è che tale rilevazione può avvenire in qualsiasi fase del procedimento, dall’iniziale istanza di decreto ingiuntivo alla fase ultima, quella della vendita forzata con l’asta. In buona sostanza, sono contrarie al diritto dell’Unione Europea eventuali regole interne agli Stati che pongano una preclusione oltre la quale il consumatore non può più eccepire la nullità del contratto.

Come si diceva, non è la prima volta che la Corte di Giustizia afferma il principio secondo cui l’ipoteca e l’espropriazione forzata sull’immobile del debitore debba essere bloccata in presenza di clausole vessatorie (leggi “Mutui: la Corte di Giustizia vieta espropriazioni se ci sono clausole abusive”). Ed oggi, più che mai, la sentenza assume un significato ancora più pregnante posta l’imminente attuazione della direttiva MCD (Mortgage Credit Directive) [2] che accorda alle banche una serie di prerogative, non in ultimo quella di inserire nel contratto di mutuo una clausola che obblighi il cliente a restituire l’immobile finanziato, in caso di mancato pagamento delle rate, senza bisogno di una causa e del pignoramento (leggi: “Mutui: la clausola che dà alla banca il diritto di pretendere la casa”).

Ma procediamo con ordine.

Il nostro sistema processuale, così come quello di quasi tutti gli Stati europei, è caratterizzato da “preclusioni”: in buona sostanza, il codice di procedura fissa dei tempi limite oltre il quale determinate eccezioni possono essere sollevate. Se ciò non avviene, l’eventuale vizio si sana. Si pensi al caso della prescrizione. Se non è eccepita immediatamente dal convenuto, il giudice non può rilevarla autonomamente.

Ebbene, secondo la Corte di Giustizia queste regole non possono valere quando è in gioco l’interesse del consumatore nei rapporti con un soggetto tanto forte come la banca, soggetto che, come noto, impone i suoi contratti standard senza possibilità per il mutuatario di intervenire sul testo, modificandolo o personalizzandolo alle proprie esigenze. Sicché, posta questa ineluttabile scelta del “o così, o niente”, è necessario tutelare maggiormente il cittadino. Questo si riversa in due importanti conseguenze pratiche:

– all’atto della richiesta del decreto ingiuntivo, se di norma è sufficiente, per il creditore, la prova scritta del credito (che, per la banca, è data dal contratto di mutuo, dagli estratti conto o dal saldaconto), scaricando poi sul debitore, con l’eventuale opposizione, l’onere di sollevare eventuali contestazioni sulla validità del rapporto, la Corte di Giustizia dice che il giudice nazionale deve, già da questa fase, verificare se il contratto è in regola e non presenti clausole abusive e vessatorie (si pensi al caso di interessi anatocistici, interessi superiori a quanto disposto dalla legge, rinuncia a garanzie, ecc.). In pratica, il tribunale – per quanto la legge non lo dica espressamente – deve fare, già da questa fase e pur in assenza di una vera e propria causa (il decreto ingiuntivo è azionato solo dal creditore) un primo e generale vaglio sulla legittimità del contenuto del contratto;

– all’atto dell’esecuzione forzata, in sede cioè di pignoramento e vendita forzata, il giudice non può nascondersi dietro le regole della procedura che stabiliscano, eventualmente, la sua incompetenza a pronunciarsi su questioni relative al merito del credito: anche in questa fase processuale, infatti, il tribunale deve annullare il contratto, e quindi stoppare la vendita all’asta se riconosce che, nel merito, il contratto presenti clausole abusive e vessatorie. Tradotto in termini più semplici: non esiste un termine massimo per contestare la validità del finanziamento. Anche quando tutto sembra ormai perduto e si sta procedendo alla vendita coatta, il giudice deve poter verificare il contenuto dell’accordo e la presenza di eventuali clausole che violino i diritti dei consumatori.

Tutti, dunque, più tutelati contro i contratti capestro: se non sarà il giudice nazionale ad avere la forza e il coraggio di interrompere l’esecuzione forzata, sarà invece la Corte di Giustizia. Un’ultima spiaggia per gli indebitati che abbiano dovuto subire le imposizioni della banca.

Note

[1] C. Giust. UE sent. C-49/14 del 18/2/16.

[2] Direttiva UE n. 17/2014 detta Mortgage Credit Directive.