sabato 26 maggio 2018

Mutui: cos’è la surroga della surroga?


Mutui: cos’è la surroga della surroga?

L’AUTORE: Annamaria Zarrelli

Annamaria Zarrelli 

Le  Banche danno il via alla surroga della surroga: vediamo come funziona e quanto si risparmia

La surroga del mutuo consiste nella possibilità concessa al soggetto che ha stipulato un contratto di mutuo con una banca di passare ad un’altra banca che offre migliori condizioni, senza costi aggiuntivi. La surroga, anche detta surrogazione o portabilità del mutuo è stata introdotta nel 2007 dal famoso decreto Bersani [1]. La sua nascita e la sua diffusione si devono al fatto che, come a tutti noto, generalmente i mutui sono contratti che tengono i clienti legati alla banca per un periodo molto lungo di tempo: indubbiamente per tutto il tempo necessario a restituire – tramite il pagamento delle rate – la somma finanziata.  Tuttavia, durante questo arco temporale – che dura talvolta decenni – il mutuatario può scegliere di cambiare la banca e sostituire il mutuo già contratto con uno nuovo [2]. In ciò consiste appunto la surroga.

Ora è arrivato il momento della cosiddetta surroga della surroga. In questo difficile periodo di crisi, infatti, le banche stanno spalancando le porte anche ai surrogatori seriali, ovvero a coloro che hanno già effettuato in passato una o due surroghe, ma che, non soddisfatti del proprio mutuo in relazione alle mutevoli condizioni di mercato sul fronte tassi, ci vogliono provare ancora.

Vediamo allora cos’è la surroga della surroga e soprattutto quanto si risparmia con questa operazione. Tuttavia, prima di comprendere come funziona la surroga della surroga del mutuo, è necessario chiarire alcuni concetti di fondamentale importanza.

Indice

Surroga del mutuo: differenze con la rinegoziazione

Prima di entrare nel vivo della questione e di comprendere cos’è la surroga della surroga del mutuo è bene fare chiarezza in ordine ad alcuni concetti di base: surroga e rinegoziazione. Con la surroga, il mutuatario (ossia chi beneficia del mutuo) ha la facoltà, in ogni momento, di trasferire il mutuo ad un altro mutuante che può essere ad esempio un’altra banca o un ente previdenziale che gli concede condizioni contrattuali più vantaggiose. Questa operazione non comporta spese a suo carico e non comporta decadenze da eventuali benefici fiscali.

La surroga si distingue dalla rinegoziazione del mutuo. Quest’ultima consiste nella possibilità per il cliente di rinegoziare con la stessa banca con cui ha in corso il mutuo le condizioni del contratto stesso. Di solito la rinegoziazione si effettua per rideterminare la durata del mutuo o apportare modifiche al tasso di interesse o ancora la tipologia del mutuo (ad esempio per passare da un mutuo a tasso variabile ad uno a tasso fisso e viceversa). La rinegoziazione del mutuo avviene senza spese e può essere effettuata mediante scrittura privata anche non autenticata (per esempio con uno scambio di corrispondenza tra banca e cliente). Non è necessario, infatti, l’intervento di un notaio.

Surroga del mutuo: il procedimento

Diverso è il discorso nel caso di surroga. Infatti, il mutuatario che intenda trasferire il proprio mutuo presso un’altra banca, deve richiedere alla nuova banca mutuante di avviare la procedura finalizzata al trasferimento. Ovviamente il mutuatario deve fornire una serie di documenti attraverso i quali il nuovo intermediario possa compiere le proprie valutazioni in ordine al finanziamento. Tra questi il mutuatario deve consegnare al nuovo finanziatore quello relativo all’importo del debito residuo. Se il mutuatario non provvede direttamente, la nuova banca deve assumere tutte le informazioni dalla banca originaria. Appresi i dati necessari, la nuova banca compie una valutazione circa la propria disponibilità (e convenienza) ad emettere il finanziamento.

Se l’esito della valutazione è positivo, la nuova banca conferma al cliente la disponibilità a compiere l’operazione di finanziamento che dovrà effettuarsi dinanzi al notaio.  L’atto di surrogazione, infatti, deve essere stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata. L’operazione di surrogazione non comporta spese o commissioni per il mutuatario. Tale portabilità, infatti, non solo è consentita, ma è anche gratuita ed implica la stipula di un nuovo contratto di mutuo ipotecario e di un atto con il quale la vecchia banca cede il contratto del mutuatario alla nuova banca. Ciò che viene trasferito con questo nuovo contratto è l’iscrizione ipotecaria sull’immobile acquistato dal cliente che passa alla nuova banca che si incarica di saldare il debito residuo del mutuo stipulato in origine. Il cliente dal canto suo, si impegna a saldare le rate del mutuo alle condizioni concordate con la nuova banca, senza avere più rapporti con il vecchio istituto bancario.

Surroga del mutuo: quando è consentita?

La surrogazione è possibile in presenza di determinate condizioni e requisiti, sanciti dalla legge, in particolare:

  • il nuovo contratto di mutuo e il trasferimento dell’iscrizione ipotecaria devono risultare da un atto formale redatto dal notaio;
  • il nuovo contratto di mutuo deve indicare necessariamente la destinazione della somma mutuata dalla nuova banca;
  • la quietanza rilasciata dalla banca surrogata deve indicare la dichiarazione del mutuatario circa la provenienza della somma impiegata nel pagamento.

Surroga del mutuo: effetti

A seguito della surrogazione si producono una serie di effetti. In primo luogo, come è ovvio, l’estinzione del debito nei confronti della banca originaria. Poi, il subentro della nuova banca mutuante nelle garanzie, reali e personali, accessorie al credito surrogato. Con la surroga, infatti, si trasferisce la garanzia ipotecaria da un mutuo all’altro, senza necessità di iscrizione di nuova ipoteca.

Surroga del mutuo: quante volte si può fare?

La surroga del mutuo può essere richiesta dal mutuatario in qualsiasi momento e per tutte le volte che vuole. La legge, infatti, non prevede alcun limite. Tuttavia, nella realtà dei fatti, le cose non stanno proprio così, in considerazione del fatto che in gioco ci sono sempre delle grosse somme di denaro. Nella realtà, infatti, le banche prima di accettare una surrogazione fanno degli accertamenti sul debitore e molte volte – generalmente tutte – non vedono di buon occhio il cliente che si è avvalso diverse volte di questa possibilità (il cosiddetto surrogatore seriale). Ciò per diverse ragioni. In primo luogo perché questo comportamento potrebbe essere interpretato come preludio di un inadempimento. In secondo luogo, perché i costi dell’operazione – perizia, trasferimento, rogito notarile – sono tutti a carico della nuova banca che a questo punto potrebbe non voler sostenere queste spese per un cliente che, a distanza di qualche mese, potrebbe verosimilmente trasferire per surroga il nuovo contratto di mutuo ad un altro Istituto di credito.

Banche: scatta la surroga della surroga

C’è di nuovo, tuttavia, che le Banche stanno cambiando approccio in proposito ed è dunque arrivato il momento della cosiddetta surroga della surroga. Come anticipato ad incipit del presente articolo, in questa fase di crisi delle compravendite immobiliari, le banche stanno difatti spalancando le porte anche ai surrogatori seriali. Come già detto, il surrogatore seriale, per definizione, è colui che è sempre pronto a spostarsi, attraverso la surroga del mutuo, presso un’altra banca che offre condizioni migliori. E allora perché gli Istituti di credito stanno concedendo capitali a clienti “inaffidabili”?  Principalmente perché i tassi attuali sono ai minimi storici, quindi chi surroga ora difficilmente in futuro troverà condizioni migliori in giro.  Le previsioni indicano in sostanza che i tassi nei prossimi anni non saranno certo più bassi di quelli attuali, ma con ogni probabilità un po’ più alti.

Quindi le banche che concedono ora mutui di surroga (e che tecnicamente strappano un mutuatario da un’altra banca) difficilmente in futuro subiranno un processo analogo da parte di un’altra banca.

«Dopo un 2017 caratterizzato da una sostanziale stabilità degli spread di offerta sui mutui – attorno all’1% per i mutui a tasso variabile e oscillanti fra lo 0,4% e 0,6% per i mutui a tasso fisso – il 2018 si è aperto con un nuovo taglio agli spread sui mutui da parte del sistema bancario, spiega Stefano Rossini di MutuiSupermarket.it. A maggio 2018, i migliori mutui a tasso variabile offrono infatti uno spread attorno allo 0,7% e i migliori mutui a tasso fisso uno spread di poco superiore allo 0. I ricarichi delle banche sono dunque arrivati a livelli di minimo storico. Questa situazione quantomai peculiare, con indici Euribor negativi e spread sui mutui a tasso fisso praticamente azzerati, permette a un parco mutuatari esistenti molto ampio di poter riaprire il tema della surroga, prima o seconda o addirittura terza che essa sia».

La surroga, così, diventa un’operazione praticabile e conveniente anche per chi ha già effettuato questa operazione molto recentemente, nel 2016 o perfino nel 2017. Sul punto, infatti, sembra che le banche si siano date un’unica regola: che siano passati almeno 6 mesi (per alcune banche anche 12) dalla stipula della precedente surroga del mutuo.

Surroga della surroga: quanto si risparmia?

Come rileva il Sole 24 ore (del 21.05.2018): considerando il capitale residuo e la durata residua a maggio 2018 del mutuo inizialmente stipulato, il risparmio in interessi ottenibile da una nuova surroga alla data odierna, per un mutuo a tasso fisso, varia da un minimo di euro 8.709 (per chi ha sottoscritto il mutuo precedente nel 2017) ad un massimo di euro 68.024 (per chi ha sottoscritto il mutuo precedente nel 2012), mentre per un mutuo a tasso variabile, varia da un minimo di euro 5.140 (per chi ha sottoscritto il mutuo precedente nel 2017) ad un massimo di euro 23.693 (per chi ha sottoscritto il mutuo precedente nel 2012).

note

[1] L. n. 40/2007.

[2] Art. 120-quater Testo unico bancario.

Autore immagine: Pixabay.com

Mutui, scatta la surroga della surroga. Ecco quanto si risparmia


di Vito Lops

 

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Mutui, è arrivato il momento della surroga della surroga. In questa fase in cui le compravendite immobiliari non sono effervescenti e che anche le surroghe stanno crescendo meno che in passato, le banche stanno difatti spalancando le porte anche ai surrogatori seriali , ovvero a coloro che hanno già effettuato in passato una (o due surroghe) ma che, non paghi nel giusto percorso di adeguare il proprio mutuo alle mutevoli condizioni di mercato sul fronte tassi, ci provano ancora.

Cosa sta spingendo gli istituti di credito ad erogare capitali a una categoria non certo affidabile (per i loro bilanci) quale appunto quella del surrogatore seriale (per definizione sempre pronto a spostarsi, attraverso la surroga del mutuo, presso un’altra banca che offre condizioni migliori)? Principalmente perché i tassi attuali sono ai minimi storici, quindi chi surroga ora difficilmente in futuro troverà condizioni migliori in giro perché a settembre termina il piano di espansione monetaria della Bce (quantitative easing) e ragionevolmente, anche sull’onda dell’attuale crescita economica, i tassi dovrebbero, seppur lentamente, salire.

Quindi le banche che concedono ora mutui di surroga (e che tecnicamente strappano un mutuatario da un’altra banca) difficilmente in futuro subiranno un processo analogo da parte di un’altra banca. Perché siamo all’ultimo miglio dei tassi ultra-bassi. Le previsioni indicano in sostanza che i tassi nei prossimi anni non saranno certo più bassi di quelli attuali, ma con ogni probabilità un po’ più alti.

«Dopo un 2017 caratterizzato da una sostanziale stabilità degli spread di offerta sui mutui - attorno all'1% per i mutui a tasso variabile e oscillanti fra lo 0,4% e 0,6% per i mutui a tasso fisso - il 2018 si è aperto con un nuovo taglio agli spread sui mutui da parte del sistema bancario - spiega Stefano Rossini, ad di MutuiSupermarket.it -. A maggio 2018, i migliori mutui a tasso variabile offrono infatti uno spread attorno allo 0,7% e i migliori mutui a tasso fisso uno spread di poco superiore allo 0. I ricarichi delle banche sono dunque arrivati a livelli di minimo storico. Questa situazione quantomai peculiare, con indici Euribor negativi e spread sui mutui a tasso fisso praticamente azzerati , permette a un parco mutuatari esistenti molto ampio di poter riaprire il tema della surroga, prima o seconda o addirittura terza che essa sia».

La surroga così diventa un’operazione praticabile (e conveniente) anche per chi ha già utilizzato questo bonus molto recentemente, nel 2016 o perfino nel 2017. Perché le banche sembra si siano date un’unica regola: che siano passati almeno 6 mesi (per alcune banche anche 12) dalla stipula del precedente mutuo di surroga.

Fino a quando risulterà profittevole per un mutuatario percorrere quest’ultimo miglio della surroga? «La finestra temporale di convenienza avrà verosimilmente una durata limitata, da un minimo di 6 ad un massimo di 12 mesi - conclude Rossini -. Tutti i mutuatari che vogliono quindi ottimizzare fino all'ultimo euro la propria situazione finanziaria odierna, riducendo al massimo il peso della propria rata mensile, hanno tempi abbastanza ridotti per valutare una nuova surroga».

«Per facilitare la quantificazione di un possibile risparmio ottenibile da una nuova surroga (prima, seconda o terza che sia) ai tassi correnti di maggio 2018, riportiamo una simulazione di risparmio ottenibile, in termini di riduzione rata e riduzione interessi totali da corrispondere alla banca erogante, per un mutuo iniziale di 120mila euro e durata 25 anni (valore immobile 180mila ), sia nel caso di mutuo a tasso fisso che a tasso variabile, stipulato negli anni che vanno dal 2012 al 2017».

Le simulazioni considerano sempre una surroga verso la stessa tipologia di tasso, quindi da un mutuo a tasso variabile a nuovo mutuo a tasso variabile e da mutuo a tasso fisso a nuovo mutuo a tasso fisso (ma nulla vieta di effettuare surroghe a tassi incrociati, quindi da fisso a variabile o viceversa).

Per il tasso storico di stipula di ciascun anno, sono state utilizzate le medie annuali dei migliori tassi per mutui a tasso fisso e mutui a tasso variabile rilevate sul sito MutuiSupermarket.it.

In sintesi: considerando il capitale residuo e la durata residua ad maggio 2018 del mutuo inizialmente stipulato, il risparmio in interessi ottenibile da una nuova surroga alla data odierna, per un mutuo a tasso fisso, varia da un minimo di euro 8.709 (per chi ha sottoscritto il mutuo precedente nel 2017) ad un massimo di euro 68.024 (per chi ha sottoscritto il mutuo precedente nel 2012), mentre per un mutuo a tasso variabille, varia da un minimo di euro 5.140 (per chi ha sottoscritto il mutuo precedente nel 2017) ad un massimo di euro 23.693 (per chi ha sottoscritto il mutuo precedente nel 2012).

fonte il sole24ore

martedì 22 maggio 2018

Nel 2018 conviene comprare casa anziché affittarla


Nel primo trimestre del 2018 i prezzi delle case stentano a risalire un po’ in tutta Italia ad eccezione delle grandi città e il quadro che emerge è quello di un buon momento per pensare all’acquisto.

I fattori che favoriscono chi vuole comprare casa

A fare propendere per una simile conclusione è una particolare congiuntura di elementi. Prima di tutto, a differenza dei prezzi richiesti per la vendita, i canoni di locazione stanno salendo più o meno dovunque. Inoltre, nelle grandi città e nelle località turistiche, la ricerca di un alloggio da affittare è resa più difficile dalle locazioni brevi, che molti proprietari preferiscono perché non comportano rischi di insolvenza (sebbene a conti fatti il guadagno non sia necessariamente superiore a una locazione “tradizionale”). A questi fattori si sommano poi i tassi a zero e i Btp al minimo grazie ai quali, a 8 anni dall’acquisto e ipotizzando un mutuo ventennale a tasso fisso con prezzi stabili, il bilancio propende nettamente in favore dell’acquirente piuttosto che dell’affittuario.

Per gli immobili di pregio conviene ancora l’affitto

Il discorso vale per la maggior parte degli immobili del Bel Paese, dal trilocale in centro a (soprattutto) il bilocale in periferia: il bilancio per l’acquirente è positivo in media per quasi 30mila euro. Ma le cose cambiano se la casa alla quale siamo interessati è di pregio e di ampia metratura: allora l’acquisto conviene solo se siamo sicuri che la occuperemo per un lasso di tempo superiore ai classici otto anni di un contratto di locazione, altrimenti il rischio è che il valore dell’immobile non aumenti abbastanza per ammortizzare i costi.

di Laura Fabbro

Questo post Nel 2018 conviene comprare casa anziché affittarla é pubblicato da Immobiliare.it.

Ecobonus 2018, i chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate sulla cessione del credito d'imposta


Gtres 

L’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la circolare n. 11/E con la quale ha offerto i chiarimenti sulla cessione dell’Ecobonus, vale a dire il credito d’imposta per gli interventi di efficientamento energetico, ulteriormente rafforzato con la legge di Bilancio 2018. Vediamo quanto spiegato.

Ecobonus 2018 cessione credito, le possibilità

La circolare n. 11/E chiarisce che i contribuenti possono cedere il credito d’imposta sia ai fornitori che hanno effettuato l’intervento sia ad altri soggetti privati, tra i quali rientrano gli organismi associativi, inclusi consorzi e società consortili, anche se partecipati da soggetti finanziari, ma non in quota maggioritaria e senza detenerne il controllo.

Allo stesso modo, la cessione dell’Ecobonus può avvenire nei confronti delle Energy Service Companies (le cosiddette “Esco”, ovvero società che effettuano interventi per l’efficientamento energetico, accettando un rischio finanziario) e delle Società di Servizi Energetici (Sse) che offrono servizi integrati per la realizzazione e l’eventuale successiva gestione degli interventi di risparmio energetico.

La circolare ribadisce - come prevede la norma - il divieto di cessione diretta a società finanziarie, fatta eccezione per i casi in cui il contribuente cedente sia un soggetto no tax area, unico caso nel quale la legge ammette l’eventuale cessione a banche e intermediari finanziari.

Ecobonus 2018 cessione credito, quante volte

La circolare dell’Agenzia affronta inoltre il tema del numero di cessioni di cui può esser oggetto il credito. Rispetto all’ambito applicativo della norma, l’Agenzia delle Entrate, acquisito il parere della Ragioneria Generale dello Stato per gli impatti della disciplina su debito e deficit pubblico, precisa che la cessione del credito d’imposta deve essere limitata a un solo “passaggio” successivo a quello effettuato dal contribuente titolare del diritto. Inoltre, viene previsto che i “soggetti privati”, ai quali il credito può essere ceduto, devono comunque essere collegati al rapporto che ha dato origine alla detrazione.

Ecobonus 2018 cessione credito, la misura delle detrazioni

La legge di Bilancio 2018 ha introdotto una detrazione maggiorata per gli interventi sulle parti comuni degli edifici condominiali abbinati a quelli di messa in sicurezza antisismica e a quelli di riqualificazione energetica.

La detrazione spetta nella misura dell’80% per i lavori eseguiti nelle zone sismiche 1, 2 e 3, se determinano il passaggio a una classe di rischio inferiore, e dell’85% in caso di passaggio a due classi di rischio inferiori. La detrazione deve essere ripartita in 10 quote annuali e si applica su un ammontare massimo di 136.000 euro moltiplicato per il numero delle unità immobiliari.

Ecobonus 2018 cessione credito, chi può cederlo

Il credito per gli interventi di efficienza energetica può essere ceduto da tutti i contribuenti teoricamente beneficiari della detrazione, anche se non tenuti al versamento dell’imposta; la possibilità di cedere la detrazione, pertanto, riguarda tutti i soggetti che sostengono le spese in questione.

Ecobonus 2018 cessione credito, decorrenza dei chiarimenti

Rimangono valide le cessioni dei crediti effettuate sulla base delle indicazioni contenute nel Provvedimento del 28 agosto 2017, se compiute prima della circolare n. 11/E del 18 maggio 2018.

Come investire in immobili nel 2018


Nel corso di immonext 2018 - il forum sul mercato immobiliare organizzato a Milano da idealista – Gino Pagliuca, giornalista del Corriere della Sera, ha affrontato il tema dell’investimento immobiliare. In particolare, ha spiegato perché – se si hanno le possibilità – in questo momento conviene acquistare la prima casa. Ha poi analizzato la situazione di chi, invece, decide di acquistare per affittare.

L'investimento nella prima casa

“L’acquisto della prima casa – ha spiegato Pagliuca – non è solo un investimento in termini stretti, è un investimento anche in sicurezza e le famiglie italiane hanno sempre ragionato cos¡. Non è un ragionamento che non abbia pagato nel tempo. Sono abbastanza convinto del fatto che il famoso 80% di proprietà di case degli italiani sia stato un formidabile ammortizzatore sociale negli ultimi anni. Il possesso della casa ha consentito di ammortizzare gli effetti della crisi”.

E ha aggiunto: “Da un punto di vista meramente finanziario in questo momento non c'è storia. Se una persona può comprare casa, ritiene di restare in quella abitazione almeno dieci anni, ha un minimo di contanti per accedere al mutuo, con i tassi al 2%, i prezzi delle case che hanno toccato il minimo e che difficilmente saliranno dei prossimi mesi e con gli affitti al 5% del valore delle case, acquistare conviene”.

La seconda casa, "piacere della vita"

Per quanto riguarda la seconda casa, Pagliuca ha spiegato che non si tratta di un investimento, “è il piacere della vita, se uno se la può permettere è semplicemente come comprarsi un'auto di lusso. Non c'è nessuna ragionevole possibilità che chi compra una seconda casa oggi ci guadagni nel tempo, a meno che non compri una casa in Liguria a prezzi stracciati, ma mi pare piuttosto improbabile”.

L'acquisto per mettere a reddito

Analizzando poi l’investimento in senso stretto, ossia comprare per affittare, Pagliuca ha esaminato i rendimenti delle locazioni residenziali nelle principali città italiane e ha evidenziato che nelle zone di pregio le case rendono molto meno che in periferia e che le case grandi rendono meno delle case piccole. “Paradossalmnete – ha sottolineato – questo significa che se si hanno molti soldi e si vuole una casa di lusso si può anche scegliere di andare in affitto: è più facile avere 5.000 euro al mese per pagare l’affitto che 1 milione e mezzo per comprare la casa”.

Affitto a lungo termine o locazioni brevi

Bisogna però fare attenzione e valutare i rendimenti in relazione al tipo di locazione. Le locazioni libere, quelle dei contratti standard da 8 anni, rappresentano una forma che nelle grandi città sta diventando un pochino residuale. “Inoltre, nessun fondo immobiliare in Italia – ha sottolineato Pagliuca – investe in questo tipo di mercato, a causa delle rigidità che penalizzano drammaticamente il mercato della locazione tradizionale. L’alternativa potrebbe essere quella del canone concordato, che ha tre vantaggi importanti: la durata di 5 anni e non degli 8 della locazione tradizionale, una fiscalità di vantaggio con il canone che viene tassato al 10% e uno sconto del 25% sull’Imu; il problema è che si tratta di canoni concordati e quindi bisogna vedere cosa viene concordato. E’ vero che questa forma sta diventando quasi maggioritaria nel nostro Paese, ma è anche vero che ad esempio a Milano – dove sono stati concordati canoni ridicoli – non se ne fa uno”.

Pagliuca ha poi affrontato la questione degli affitti brevi. “Ci sono varie forme di affitti brevi – ha sottolineato – la più semplice è quella “fai da te”: ci si affida a un mediatore e gestisce lui l’accesso del cliente, la permanenza, la fuoriuscita. Questa formula può rendere bene, ma non è più un investimento, è un lavoro. Quello che si guadagna è uno stipendio, non è più un reddito da investimento. Poi c’è una formula di subaffitto: una società rileva un immobile in affitto, lo tiene per 8 anni e ha la facoltà di subaffittare, il reddito in questo caso è certo, la casa rimane ferma per 8 anni, anche qui però le tasse vanno a Irpef. E poi c'è la formula che prevede il dare la casa completamente in gestione, non ci sono problemi, ma il rendimento rischia di essere molto basso”.

Adeguamento canone d'affitto, indice Istat di aprile 2018


L'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) viene utilizzato per l'adeguamento del canone d'affitto. Vediamo i valori di aprile 2018.

Ricordiamo che ogni anno il canone d'affitto deve essere aggiornato in misura del tasso di inflazione emanato dall'Istat (l'istituto di statistica nazionale).  Tale cifra, calcolata in base al costo della vita, va aggiunta al canone mensile stabilito.

L'ultima rivelazione dell’indice dei prezzi al consumo dell’Istat è la seguente:

Indice generale FOI* 101,7                                                    

Variazione % rispetto al mese precedente +0,0           

Variazione % rispetto allo stesso mese dell’anno precedente +0,4

Variazione % rispetto allo stesso mese di due anni precedenti +2,1

sabato 12 maggio 2018

Case in legno: dove, come e quando si possono costruire


Licenza edilizia, autorizzazioni comunali, pagamento di tasse sulla casa e sui rifiuti; tempi e costi per la realizzazione di case in legno prefabbricate o meno.

Una casa di mattoni costa. Non solo al momento dell’acquisto, ma anche dopo. Le spese di manutenzione, l’eventuale presenza di un condominio e quindi delle spese mensili da versare all’amministratore, ma soprattutto il carico fiscale rendono l’abitazione un bene di lusso. Lo sa bene anche il fisco che, all’acquisto di una casa, fa spesso scattare una verifica sulla effettiva capacità di spesa del contribuente (il famoso redditometro). Ecco perché sempre più spesso si ricorre ai prefabbricati e alle case in legno. Ma il fatto di avere una struttura mobile o comunque facilmente rimovibile non toglie l’obbligo di rispettare una serie di regole come, ad esempio, quelle delle necessarie autorizzazioni amministrative. Ad esempio, chi costruisce una causa in legno deve pur sempre ottenere la vecchia licenza edilizia (oggi si chiama «permesso di costruire»). Così come sono dovute le imposte locali sugli immobili. Ma procediamo con ordine e vediamo dove, come e quando si possono costruire case in legno.

Dove costruire una casa in legno?

Chi vuol costruire una casa in legno non può certo farlo sul suolo pubblico o su quello altrui benché abbandonato. Bisogna essere titolari di un terreno o, quantomeno, del relativo diritto di superficie (quel diritto cioè che consente di costruire un bene immobile sopra il suolo altrui e di conservare la proprietà dell’opera). In buona sostanza chi si chiede dove costruire una casa in legno ha una sola risposta: si può fare solo su un terreno privato proprio o su cui si è ricevuta autorizzazione dal titolare.

Chi decide di costruire una casa in legno su un terreno altrui perde la proprietà, a meno che non ci sia stato un precedente atto notarile con cui sia stato ceduto il diritto di superficie. Quindi, tanto per fare un esempio ricorrente, il marito che costruire una casa sul terreno della moglie e dopo si separa è costretto a lasciare l’immobile all’ex, perché questa ne rimane l’unica titolare.

Come vedremo meglio nel paragrafo successivo, per costruire la casa in legno è necessario accertarsi che il terreno sia stato dichiarato edificabile.

Quali autorizzazioni per costruire una casa in legno?

Per costruire una casa in legno su un terreno privato c’è sempre bisogno di una autorizzazione amministrativa rilasciata dal Comune. Si tratta del permesso di costruire, un tempo chiamato licenza edilizia. Quindi bisogna presentare un progetto al competente ufficio con la firma dell’ingegnere o dell’architetto che poi dirigerà i lavori; il professionista deve essere iscritto all’albo. Il progetto sarà poi sottoposta al parere di una Commissione edilizia, che lo può approvare oppure approvare con modifiche oppure ancora respingerlo.

Il Comune rilascia il permesso dietro pagamento delle imposte.

Non c’è ragione di esonerare la costruzione in legno dal permesso di costruire atteso che la stessa è caratterizzata da una modifica permanente del suolo al pari dell’edificio in mattoni.

Per il rilascio del permesso è necessario che la casa in legno venga costruita su un terreno dichiarato edificabile.

Chi costruisce una casa in legno senza il permesso di costruire commette un reato: quello di abuso edilizio. Egli però può sempre chiedere la sanatoria a condizione che la costruzione non sia contraria né al piano regolatore in vigore al momento della costruzione né a quello eventualmente approvato successivamente, al momento della presentazione del permesso in sanatoria.

Casa in legno: si può costruire su un terreno agricolo?

Un terreno agricolo è, per definizione, un terreno destinato alla coltivazione della terra e all’allevamento del bestiame, pertanto la possibilità di edificarvi costruzioni in legno o in qualsiasi altro materiale è mantenuta entro limiti molto stringenti dalla normativa nazionale e regionale.

In generale, non è consentito a tutti costruire una casa in legno su un terreno agricolo a meno che la costruzione non sia destinata ad usi diversi rispetto all’abitazione (ad esempio per la raccolta di legna, di attrezzi da lavoro, come stalla o fienile, ecc.) a condizione che tale uso sia strumentale rispetto al fondo stesso. In verità, per gli imprenditori agricoli e i coltivatori diretti sono previste particolari esenzioni, compresa la possibilità di destinare la costruzione a “casa colonica”.

In ogni caso la normativa può variare da Regione a Regione per cui sarà bene informarsi correttamente presso l’ente locale ove si intende costruire.

Sulla casa in legno si pagano le tasse?

Sbaglia chi crede di sfuggire alle tasse se acquista o costruisce una casa in legno. Tanto le imposte sugli immobili (ad esempio l’Imu) quanto quelle sui servizi locali (la Tasi e la Tari) vanno corrisposte su tutte le opere classificate come «nuova costruzione», a prescindere quindi dai materiali usati. Applicandosi la disciplina delle normali imposte sulla casa, ci si può avvalere anche delle relative agevolazione previste per l’abitazione principale. Quindi, chi ha residenza in una casa in legno, costituendo questa la propria abitazione principale, non paga né Imu né Tasi (allo stato attuale infatti non dovute).

Chi ha una casa in legno paga la spazzatura, anche se dovesse portare le buste dell’immondizia nei cassonetti vicino a un adiacente palazzo in mattoni. L’unico caso in cui si può beneficiare dell’esenzione sulla spazzatura è quando il luogo non è servito dal un centro di raccolta rifiuti e il titolare è costretto a fare diverse centinaia di metri per portare i sacchetti da un’altra parte. Esistono numerose sentenze che riconoscono l’esenzione dalla Tari tutte le volte in cui il servizio di nettezza urbana non è garantito all’interno di un’area o nelle sue strette adiacenze.

Casa in legno: quanto costa?

Fare una casa in legno ha di certo un costo inferiore rispetto a quello di una casa in mattoni, e questa è la ragione principale per cui tale tipo di costruzione fa sempre più gola. Si va dai 6 ai 20mila euro: tutto dipende dalle dimensioni e dai materiali usati.

Se poi si vuol fare tutti in un’ottica di risparmio anche energetico, si può dotare la casa in legno di pannelli fotovoltaici che non costano più di mille euro e permettono di avere l’energia minima per accendere la luce, il computer e la stampante.

Casa in legno: come si costruisce?

Di solito le case in legno sono costituite da prefabbricati che vengono realizzati assemblando parti già precedentemente realizzate in fabbrica. Oltre al legno – che è il principale materiale utilizzato per costruire le case in legno – c’è anche il vetro per le finestre e l’acciaio per la porta o gli infissi.

Casa in legno: quanto tempo per costruire?

Di solito per realizzare una casa in legno è necessaria qualche settimana. Anche questo è un ulteriore punto a favore rispetto al classico mattone.

Casa in legno: cosa serve?

Ricapitolando quanto sinora detto, per costruire una casa in legno serve:

  • la proprietà o il diritto di superficie di un terreno dichiarato edificabile; il coltivatore diretto o l’imprenditore agricolo può costruire una casa colonica nei limiti delle normative locali. Se la casa non ha scopi abitativi e viene costruita su un terreno agricolo è necessaria che essa sia strumentale al fondo;
  • il permesso di costruire riconosciuto dal Comune ove si intende costruire la casa in legno;
  • dai 6 ai 20mila euro per la realizzazione.

Fondo di Garanzia prima casa, a marzo finanziati oltre 40mila mutui


Più di 40mila mutui finanziati in un solo mese, 4,5 miliardi di euro erogati in tre anni. Sono i numeri del Fondo di Garanzia prima casa, un fondo di solidarietà istituito dallo Stato per agevolare l’acquisto della prima abitazione anche in mancanza di garanzie proprie o familiari.

Fondo di Garanzia per mutui prima casa, a chiederlo sono soprattutto i giovani

Nei dati diffusi pochi giorni fa dal Ministero dell’Economia e dall’Associazione Bancaria Italiana si analizza la situazione del mese di marzo 2018. Quando sono arrivate circa 300 domande al giorno, per un totale di 40.432 mutui accesi grazie alla garanzia dello Stato. Una crescita esponenziale se si raffronta questa cifra allo stesso periodo del 2015, quando le domande pervenute furono soltanto 262. Il Fondo, istituito a gennaio 2015, è nato per sostenere le famiglie e l’inclusione sociale e prevede il rilascio di garanzie a copertura del 50% della quota capitale per mutui ipotecari di importo fino a 250mila euro, erogati per l’acquisto della prima casa anche con interventi di ristrutturazione o volti ad incrementare l’efficienza energetica.

Nonostante non sussistano limiti d’età per accedervi, a chiedere aiuto allo Stato per comprare la prima casa sono soprattutto i giovani. Il 56% delle domande è infatti stato inviato da persone di età inferiore ai 35 anni. Giovani precari che, evidentemente, si sono visti sbattere le porte in faccia dalle banche alla loro richiesta di accendere un mutuo. Con il Fondo di Garanzia prima casa si può invece, senza limiti di età, reddito o metratura, approfittare di una misura che ha avuto grande successo anche per la semplicità dell’operazione, attivabile presso le 175 banche che hanno aderito all’iniziativa, e che ha tempi certi di conclusione.

di Giovanni Marrucci

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Scadenze fiscali: rinviati i termini del Bonus ristrutturazione


Chi non ha mai desiderato dare una nuova vita al proprio terrazzo e trasformarlo in una veranda? Oppure cambiare il look di questo ambiente esterno arricchendolo di spazi verdi?

Fortunatamente oggi è piuttosto semplice trasformare questo sogno in realtà, grazie alle agevolazioni messe a punto dal Governo per opere e interventi sulla propria casa. Stiamo parlando del famoso Bonus ristrutturazione che è stato confermato anche per questo nuovo anno, spostando la sua scadenza fiscale al 31 dicembre 2018, dando così una nuova opportunità a tutti coloro che non ne avevano fatto richiesta nei passati mesi.

Non solo ristrutturazione degli spazi interni

Secondo una guida pubblicata solamente qualche giorno fa sul sito Edilportale.com questa agevolazione potrebbe essere impiegata anche per realizzare un nuovo balcone, una veranda, oppure per l’ampliamento o il rifacimento del terrazzo.

Tutti coloro dunque che stanno pensando di destinare una somma del proprio budget familiare per opere e spese collegate alla casa, avranno l’opportunità di detrarre dall’Irpef il 50% della somma spesa per un massimo di 96.000 euro.

Attenzione però: la creazione di una veranda o di un balcone implica la nascita di nuovi spazi e pertanto è indispensabile richiedere le autorizzazioni necessarie ossia, nella maggior parte dei casi, il permesso di costruire. Non solo, si dovrà verificare l’eventuale volumetria residua dell’immobile, che siano rispettati i rapporti di superficie aereo illuminante stabiliti dal regolamento d’igiene e che siano state fatte le dovute verifiche statiche e sismiche.

di Francesca Lauritano

Meglio un mutuo o un prestito per la ristrutturazione di una casa? Ecco come orientarsi


Gtres 

Facile.it e Prestiti.it hanno svolto un'analisi sulle richieste di mutuo e prestiti per ristrutturare una casa per capire quale sia la scelta migliore. Il risultato sono 10 linee guida da considerare per capire se è meglio propendere per uno o per l'altro.

1) Quanto chiedere Il primo punto da valutare è quanto richiedere a banche e società del credito. In generale può convenire orientarsi verso un prestito personale se il taglio del finanziamento è più contenuto anche se, di fatto, è possibile richiedere sino a circa 70mila euro. I mutui per ristrutturare, invece, sono la soluzione più indicata per chi mira a importi maggiori; non ci sono valori minimi e ogni istituto applica le proprie politiche, ma normalmente il credito viene concesso a partire dai 30mila euro.

2) Il tasso da considerare Per i prestiti personali per ristrutturazione, a seconda dell'importo e della durata, le migliori offerte hanno un TAEG che oscilla, attualmente, tra il 5,44% e il 7,98%. Per un mutuo ristrutturazione prima casa, invece, bisogna scegliere tra tasso variabile (migliori TAEG tra lo 0,78% e lo 0,83%) o fisso (migliori TAEG tra l’1,50% e il 2,08%).

3) I costi accessori Sul costo complessivo del finanziamento gravano anche altri elementi. Nello specifico, per il prestito personale, sono da considerare generalmente le spese di istruttoria, di incasso e gestione rata, quelle di notifica e di chiusura pratica, l'imposta di bollo, e, se previsti, eventuali costi iniziali o assicurativi. Per i mutui ristrutturazione, invece, la lista non finisce qui e, quindi, le spese aumentano. In aggiunta bisogna considerare il perito (in media il suo intervento costa tra i 200 e i 300 euro, variabili anche in funzione del numero di perizie necessarie) e l'atto (il cui costo è legato al valore dell'iscrizione ipotecaria) che il notaio dovrà redigere per finalizzare il mutuo. Bisogna mettere in conto anche i costi relativi all'assicurazione scoppio e incendio, obbligatoria per l’ottenimento di un mutuo ristrutturazione.

4) Le garanzie Per entrambi i finanziamenti è necessario, in primis, che il richiedente abbia un reddito fisso di importo sufficiente a sostenere le rate da rimborsare. Se per il prestito personale questo rappresenta, nella maggior parte dei casi, l'unico requisito richiesto, per il mutuo ristrutturazione, invece, è necessaria anche una garanzia reale, rappresentata dall'iscrizione dell'ipoteca sull’immobile che si intende ristrutturare.

5) Il tempo di erogazione - Un punto di forza dei prestiti personali sono propri i tempi rapidi di erogazione, che variano generalmente tra le 24 ore e i 15 giorni. Il mutuo ristrutturazione, invece, segue il normale iter di un mutuo tradizionale per l'acquisto casa che è notoriamente più lungo.

6. Il mutuo SAL Altra differenza tra mutuo e prestito ristrutturazione è rappresentata dalla modalità di erogazione. Con il prestito la somma viene sempre concessa in un'unica soluzione, mentre per il mutuo le opzioni sono due. Se l'importo richiesto è elevato, o addirittura superiore al valore che ha l'abitazione prima dei lavori di ristrutturazione, l'istituto di credito potrebbe proporre un cosiddetto mutuo SAL (Stato Avanzamento Lavori). Si tratta di una particolare formula di finanziamento che prevede l'erogazione dell'importo in diverse tranches, ognuna rilasciata dalla banca solo dopo che un perito abbia accertato il nuovo valore acquisito dall'immobile all'avanzare dei lavori.

7. La scelta della durata Il prestito personale ha una durata massima di 10 anni e per questo motivo viene generalmente preferito per finanziamenti contenuti. Il mutuo ristrutturazione, di contro, può arrivare anche a 30-35 anni.

8. Le detrazioni Il mutuo ristrutturazione dà diritto a una detrazione annua Irpef del 19% degli interessi pagati sul mutuo (importo massimo su cui calcolare la detrazione: 2.582,25 euro). Il prestito personale, invece, non dà diritto ad alcuna detrazione. Per il proprietario rimane valida (indipendentemente dal fatto che si opti per un prestito personale, un mutuo, o persino attingendo dai propri risparmi) la possibilità di godere delle detrazioni fiscali legate all’intervento di ristrutturazione.

9. Se esiste già un mutuo ipotecario? Cosa accade se sulla casa da ristrutturare grava già un mutuo ipotecario? Due le alternative: se il proprietario vuole richiedere un nuovo mutuo, e non dispone di altre garanzie reali, la banca potrebbe proporre un mutuo sostituzione con liquidità per ristrutturazione, soluzione che consente di sostituire il primo finanziamento con uno nuovo che include anche una quota di liquidità aggiuntiva da utilizzare per i lavori. In questo caso, però, attenzione alle somme richieste: l'istituto di credito non concederà un nuovo finanziamento se l'ammontare complessivo supera l'80% del valore dell’immobile. La seconda soluzione è il prestito personale che, come spiegato, non necessita di garanzie reali per essere concesso anche se, prima di dare l'approvazione, la società del credito verificherà che il richiedente abbia una capacità reddituale tale da permettergli di sostenere le rate dei finanziamenti in corso.

10. Penali ed estinzione anticipata Per entrambi i finanziamenti il debitore può decidere di estinguere il debito, totalmente o in parte, prima della sua scadenza naturale. A partire da febbraio 2007, per il mutuo ristrutturazione prima casa, la banca non può applicare alcuna penale per l'estinzione anticipata; nel caso di prestito personale, invece, attenzione perché a seconda del contratto sottoscritto, potrebbe essere previsto il pagamento di un indennizzo, compreso tra lo 0,5% e l'1% del valore del prestito, a favore della società che lo ha concesso.

sabato 5 maggio 2018

Cambio residenza bonus prima casa, il termine decorre dal rogito


Gtres 

Nell’ordinanza n. 9433 del 17 aprile scorso la Cassazione ha stabilito che chi compra la prima casa e non risiede nel Comune ove l’abitazione è ubicata ha tempo 18 mesi per trasferirvi la residenza, il termine decorre dalla data del rogito d’acquisto e non dal giorno di fine lavori, qualora oggetto dell’acquisto sia una casa in corso di costruzione. La decisione è arrivata in riforma di una sentenza della Ctr Toscana (n. 712 del 20 settembre 2016) nella quale, al contrario, era stato deciso che il termine di 18 mesi decorresse dal giorno di ultimazione dei lavori di costruzione.

Il tema è regolato dalla norma contenuta nel comma 1, lettera a), della nota II-bis all’articolo 1 del Testo unico della legge di registro (Dpr 131/1986). Secondo quanto affermato, per aversi l’agevolazione prima casa occorre che l’immobile oggetto di acquisto sia “ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto la propria residenza”. Bisogna dunque comprendere se il termine di 18 mesi inesorabilmente decorra dal giorno del contratto di acquisto o se, essendo l’immobile oggetto di acquisto per qualsiasi motivo indisponibile ad essere abitato, il termine possa invece decorrere dal giorno in cui l’impedimento è cessato.

Un tema collegato è poi quello se il contribuente possa dimostrare (per evitare la decadenza dall’agevolazione conseguente al decorso del diciottesimo mese senza che la residenza sia stata trasferita) l’esistenza di una causa di forza maggiore tale da impedire lo spostamento della residenza. Con l’ordinanza 9433/2018, la Cassazione ribadisce quanto già affermato con la sentenza 2527/2014 e cioè che i 18 mesi in questione si computano dalla data del rogito a meno che appunto ricorra una causa di forza maggiore, la quale, tuttavia, non ricorre nel caso del mancato completamento dei lavori di costruzione, in quanto si tratta di una situazione che non è qualificabile in termini di “inevitabilità e imprevedibilità”.

Come evidenziato dal Sole 24 Ore, in merito sono state molte le pronunce e di segno diverso. La Ctp di Cagliari (n. 44/2015) ha deciso nello stesso senso della Cassazione, mentre la Ctr Veneto (n. 34/2007) ha ritenuto che il termine dei 18 mesi “decorre unicamente dal momento in cui l’immobile in corso di costruzione ed oggetto di compravendita è divenuto effettivamente idoneo all’utilizzo ed al soddisfacimento dell’esigenza abitativa”. Nel medesimo senso la Ctp di Treviso (n. 26/2010) e la Ctr Veneto che, nella sentenza n. 25/2015, ha puntualizzato che “nei diciotto mesi previsti per il trasferimento della residenza non va computato il periodo di tempo occorso per il rilascio del certificato di abitabilità”.

Per la Ctr Lombardia (4 gennaio 2016), il termine di 18 mesi non è perentorio, “laddove sussistano eventi impeditivi che possano aver ostacolato l’acquisizione della residenza in un dato Comune”; inoltre, secondo la Ctp Reggio Emilia (16 maggio 2017), il termine di 18 mesi decorre dal giorno in cui ricorrono tutte le condizioni occorrenti “per ottenere il certificato di conformità edilizia ed agibilità”.

Nella risposta n. 5-08887 del 14 giugno 2016 a una interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei deputati è stato rappresentato che l’Agenzia delle Entrate ritiene che il termine di 18 mesi decorra dalla data del contratto di acquisto anche se si tratti di immobile in corso di costruzione; e che il contribuente può comunque validamente addurre, a suo favore, che il mancato trasferimento della residenza, è dovuto a causa di forza maggiore.

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Prima casa, parte dal rogito il calcolo del cambio residenza (Il sole 24 ore)

Dichiarazione dei redditi, il credito d'imposta per il riacquisto prima casa nel 730/2018


Gtres 

Il credito d'imposta per il riacquisto della prima casa spetta ai contribuenti che fra il primo gennaio 2017 e la data di presentazione del modello 730 abbiano acquistato un immobile, con i requisiti di “prima abitazione“, entro un anno dalla vendita di un altro immobile acquistato con i benefici fiscali.

In base all’art. 1, comma 55, della Legge n. 208 del 2015, è possibile beneficiare del credito d’imposta in commento anche nell’ipotesi in cui il contribuente proceda all’acquisto della nuova abitazione prima della vendita dell’immobile già posseduto. Per avvalersi del credito d’imposta la vendita dell’immobile deve avvenire entro un anno dalla data del nuovo acquisto.

Il contribuente può utilizzare il credito d’imposta in diminuzione dell’imposta di registro dovuta per l’atto di acquisto che lo determina oppure può utilizzarlo nei seguenti modi:

  • per l’intero importo in diminuzione dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali, sulle successioni e donazioni dovute sugli atti e sulle denunce presentati dopo la data di acquisizione del credito;
  • in diminuzione dalle imposte sui redditi delle persone fisiche dovute in base alla dichiarazione da presentare successivamente alla data del nuovo acquisto;
  • in compensazione delle somme dovute ai sensi del DLGS n. 241 del 1997, utilizzando il Modello F24. In quest’ultimo caso, se il credito d’imposta è utilizzato solo in parte, la somma residua non compensata può essere indicata nell’apposito quadro dei modelli di dichiarazione dei redditi per poter essere utilizzata nei successivi periodi d’imposta.

Il credito d’imposta può essere fatto valere in sede di presentazione della prima dichiarazione dei redditi successiva al riacquisto, ovvero della dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è stato effettuato il riacquisto stesso.

Il credito d‘imposta è un credito personale. Esso, infatti, compete al contribuente che, al momento dell‘acquisizione agevolata dell‘immobile, ovvero entro un anno dall’acquisto, abbia alienato la casa di abitazione da lui stesso acquistata con l’aliquota agevolata prevista ai fini dell‘imposta di registro o dell’IVA.

Trattandosi di un credito personale, qualora l‘immobile alienato o quello acquisito risultino in comunione, il credito d‘imposta deve essere imputato agli aventi diritto, rispettando la percentuale della comunione.

L‘importo del credito d‘imposta è commisurato all‘ammontare dell‘imposta di registro o dell‘IVA corrisposta in relazione al primo acquisto agevolato e, in ogni caso, non può essere superiore alla imposta di registro o all‘IVA corrisposta in relazione al secondo acquisto; il credito, pertanto, ammonta al minore degli importi dei tributi applicati.

Con riferimento all‘imposta di registro relativa sia al primo che al secondo acquisto agevolato, occorre ovviamente tenere conto non solo dell‘imposta principale ma anche dell‘eventuale imposta suppletiva e complementare di maggior valore.

Le attività di edilizia libera che usufruiscono delle agevolazioni fiscali


Gtres 

Il 22 aprile 2018 è entrato in vigore il glossario dell’edilizia libera. Si tratta dello strumento che elenca gli interventi di manutenzione degli appartamenti, anche sull’esterno dell’edificio e in giardino, che possono essere effettuati senza la necessità di presentare alcun tipo di comunicazione al Comune. Molti di questi lavori beneficiano dei bonus fiscali. Vediamo quali.

Cambio di serramenti e infissi – Il cambio di serramenti e infissi, esterni ed interni, è uno degli interventi in edilizia libera che non necessitano di comunicazioni al Comune. In questo caso, è possibile usufruire della detrazione del 50% per ristrutturazione, con spese fino a 96.000 euro, oppure della detrazione del 65%, con spese fino a 60.000 euro, utilizzando però finestre che devono raggiungere determinate prestazioni di isolamento termico.

Installazione, riparazione, sostituzione inferriate o grate di sicurezza – L’installazione, la riparazione o la sostituzione delle inferriate o grate di sicurezza dal 22 aprile rientra nell’edilizia libera. La detrazione Irpef è del 50%, con spesa fino a 96.000 euro, sia nelle singole villette che nei condomini.

Pompe di calore aria-aria – L’installazione di pompe di calore aria-aria è ammessa senza comunicazioni o autorizzazione a condizione che abbia una potenza termica sotto i 12 Kw. In questo caso, è possibile beneficiare del bonus per l’efficienza energetica e del Conto termico, il calcolo del bonus avviene in modo variabile in base a una serie di parametri di efficienza e si può arrivare fino a recuperare il 65% delle spese. Se poi l’incentivo non supera i 5.000 euro viene erogato direttamente a rimborso sul conto corrente in un’unica soluzione.

Installazione ascensori – L’installazione, la riparazione o la messa a norma di ascensori all’interno di edifici, purché non si vada a intervenire sulle strutture portanti, fanno parte degli interventi in edilizia libera che non necessitano di comunicazioni al Comune. In qualità di intervento che ha la finalità di abbattere le barriere architettoniche, è previsto il recupero del 50% delle spese in 10 rate annuali. Rientra in questa categoria anche l’installazione del servoscala.

Ritinteggiatura condominio – Tra le 58 opere classificate in edilizia libera c’è anche il rifacimento e la tinteggiatura delle facciate esterne comprese le opere correlate. Per i condomini questo tipo di lavoro è detraibile dall’Irpef al 50% e il massimale di spesa di 96.000 euro deve essere rapportato alla singola unità immobiliare.

Lavori in giardino – Nei giardini, secondo quanto previsto, possono essere installati senza permesso gazebo e pergolati di limitate dimensioni e non stabilmente infissi al suolo, ripostigli per attrezzi, manufatti accessori di dimensioni limitate e non stabilmente infissi al suolo, elementi divisori verticali non in muratura, fontane, fioriere e panchine. Non ci sono ancora però le istruzioni dettagliate delle Entrate per capire quali tra questi interventi possono beneficiare del nuovo bonus verde, che consiste nella detrazione del 36% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2018 per risistemare giardini, balconi, coperture e terrazzi al 36%, da recuperare in dieci anni, entro il limite di spesa di 5.000 euro per unità immobiliare.

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Lavori in casa senza permesso, più facili anche i bonus fiscali (Il sole 24 ore)

Chi paga il controllo della caldaia


Chi paga il controllo della caldaia

L’AUTORE: Carlos Arija Garcia


In caso di locazione, la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto spetta all’inquilino o al proprietario? E chi paga le tasse?

Vivi in affitto e devi fare il controllo periodico o straordinario della caldaia? Oppure sei tu il proprietario che, da poco, ha messo la casa in locazione e sa che l’impianto del riscaldamento e dell’acqua calda va verificato? In entrambi i casi, la domanda che ti puoi porre, come affittuario o come padrone di casa, è: chi paga il controllo della caldaia?

La legge prevede una serie di spese a carico del locatore ed altre di cui deve rispondere il locatario. Per quanto riguarda il controllo della caldaia, obbligatorio per legge, rientra tra i costi relativi al normale logorio dei beni dell’appartamento quando si tratta di manutenzione ordinaria e di controllo periodico. Di conseguenza, è un onere che spetta all’inquilino. Diverso sarebbe il discorso se ci fosse bisogno di un intervento di manutenzione straordinaria: in questo caso, ad aprire il portafoglio dovrebbe essere il proprietario dell’immobile.

Ma vediamo nel dettaglio chi paga il controllo della caldaia e quali sono le spese che spettano a locatore e locatario in una casa in affitto.

Indice

Controllo della caldaia: quando bisogna farlo

La legge prevede l’obbligo del controllo della caldaia a seconda della periodicità indicata nel libretto di istruzioni. Non c’è, quindi, una cadenza precisa come c’è, invece, per quanto riguarda il controllo dei fumi cioè quello relativo all’efficienza energetica, da eseguire ogni 2 o 4 anni a seconda dell’impianto.

La manutenzione va fatta da un tecnico abilitato, poiché deve essere eseguita a regola d’arte. Spetta a lui far sapere al cliente per iscritto ogni quanto va fatto l’intervento a seconda delle caratteristiche della caldaia.

Mediamente, il controllo della caldaia costa dagli 80 ai 100 euro.

Controllo della caldaia: cosa paga l’inquilino

Vediamo, allora, chi paga il controllo della caldaia. Quando si parla di manutenzione ordinaria, le spese spettano all’inquilino in quanto, come dicevamo prima, rientrano tra quelle relative al normale logorio dei beni in uso.  È sempre l’affittuario a dover corrispondere i costi per la fornitura del calore, cioè:

  • il consumo del combustibile (la bolletta del gas o del pellet, per intenderci);
  • la forza motrice del bruciatore;
  • l’energia elettrica per far funzionare la caldaia;
  • l’acqua;
  • le eventuali spese di accensione invernale e di spegnimento a fine stagione;
  • le riparazioni di un guasto derivato dal mancato controllo o dall’incuria da parte dell’inquilino.

Il conduttore deve farsi carico, inoltre:

  • delle questioni relative al libretto della caldaia, come la manutenzione periodica e l’autocertificazione al Comune di residenza;
  • di pagare gli addetti alla manutenzione;
  • della tassa da versare all’Asl per la verifica dell’impianto.

Controllo della caldaia: cosa paga il proprietario

Il proprietario dell’immobile in affitto non deve occuparsi del controllo della caldaia ma sì invece dell’installazione e della manutenzione straordinaria dell’impianto. Pensiamo, ad esempio, alla rottura di un pezzo della caldaia o dell’intera caldaia perché troppo vecchia o per un evento fortuito, come può essere un cortocircuito. Nel caso in cui si richiedesse la sostituzione dell’apparecchio, dovrà farsene carico il padrone di casa.

Se quest’ultimo non provvede alle riparazioni o alla sostituzione della caldaia, l’inquilino può anticipare i soldi per poi chiedere la restituzione, poiché per questo tipo di interventi non serve l’autorizzazione preventiva da parte del proprietario. Attenzione, però: l’affittuario non può pretendere di scalare i soldi anticipati dal canone di affitto, trattandosi di due prestazioni indipendenti e autonome.

Controllo della caldaia: chi risponde se l’impianto non è a norma

Appurato che non tutti gli inquilini devono per forza essere dei tecnici abilitati, quando uno prende un appartamento in affitto e gli si dice che la caldaia è a norma, di solito si fida. Ma se così non fosse e si verificasse un incidente grave, chi paga?

Il proprietario che mette in locazione un immobile con una caldaia non a norma è corresponsabile per la morte dell’inquilino. Gravano sulle sue spalle, infatti, i danni provocati dai vizi esistenti prima della consegna dell’immobile anche se si manifestano in un secondo momento. Nulla cambia se l’inquilino ha accettato di firmare il contratto di affitto pur conoscendo le condizioni della casa.

Controllo della caldaia: il contratto deve rispettare le norme?

Quanto detto fin qui è quello che prevede la legge. Ma nulla vieta di redigere un contratto d’affitto diverso, che preveda a carico dell’inquilino delle spese spettanti in teoria al proprietario. Per questo conviene sempre controllare sul contratto, prima di firmarlo, le cose indicate a carico di ciascuno.

Ricordiamo, a questo punto, le voci che riguardano la caldaia riportate di norma sul contratto.

A carico del proprietario:

  • installazione della caldaia;
  • sostituzione della caldaia;
  • adeguamento della caldaia alle norme di legge;
  • manutenzione straordinaria della caldaia.

A carico dell’inquilino:

  • manutenzione ordinaria della caldaia e controllo dei fumi;
  • pulizia della caldaia per accensione e messa a riposo;
  • pagamento delle tasse;
  • aggiornamento del libretto e controllo periodico;
  • pagamento dell’addetto al controllo;
  • spese per la fornitura di calore (combustibile, acqua, elettricità).
in pratica

Le spese riguardanti la caldaia a carico del proprietario sono quelle legate all’installazione, la sostituzione e la manutenzione straordinaria dell’impianto e, nello specifico:

  • installazione della caldaia;
  • sostituzione della caldaia;
  • adeguamento della caldaia alle norme di legge;
  • manutenzione straordinaria della caldaia.

Le spese a carico dell’inquilino sono quelle che riguardano la manutenzione ordinaria e, nello specifico:

  • manutenzione ordinaria della caldaia e controllo dei fumi;
  • pulizia della caldaia per accensione e messa a riposo;
  • pagamento delle tasse;
  • aggiornamento del libretto e controllo periodico;
  • pagamento dell’addetto al controllo;
  • spese per la fornitura di calore (combustibile, acqua, elettricità)