venerdì 27 luglio 2018

Se vuoi vendere casa tieni a mente….





Le case di seconda mano sono le protagoniste indiscusse del mercato immobiliare. Ma quali sono i fattori determinanti del buon esito di una compravendita? Secondo la rete spagnola Alfa Real Estate, gli elementi chiave sono: prezzo, tempo di vendita, piano di marketing, promozione, visita.

Stabilire un edeguato prezzo di vendita

Il fattore determinante al momento della chiusura della transazione è il prezzo. Ci sono diversi fattori che determinano il costo delle case: oltre al mercato, le caratteristiche dell’immobile, la posizione, lo stato, quello che trasmette... E’ importante metterlo sul mercato a un prezzo ragionevole, perché “se si opta per un prezzo superiore a quello adeguato, l’abitazione ‘si brucia’ e finisce per essere venduta a un prezzo inferiore al suo valore”. Un modo per conoscere il prezzo equo di una casa è consultare, ad esempio, le quotazioni immobiliari dell’Agenzia delle Entrate oppure informarsi presso un’agenzia immobiliare.

Pianificare i tempi di vendita

Il prezzo non è l’unica variabile importante quando si vende una proprietà: conta anche il fattore tempo. Se il venditore ha fretta di vendere la casa, è più ragionevole regolare il prezzo dall’inizio. In caso contrario, è necessario determinare un periodo di tempo per riadattare il prezzo: tre mesi, sei mesi... anche se è bene che il termine non superi la metà di un anno. “Non bisogna dimenticare che il prezzo di vendita viene sempre dal mercato”.

Preparare la casa: fare ristrutturazioni, piccole modifiche...

Prima di mettere sul mercato la casa è importante analizzare le sue peculiarità (vantaggi, svantaggi...), così come il profilo dei potenziali acquirenti. Tutto questo aiuterà a capire come promuovere l’immobile, a stabilire il prezzo appropriato e a sapere se è conveniente fare qualche tipo di ristrutturazione prima di metterlo in vendita. E’ qui che entra in scena il cosiddetto “home staging”, che si basa sulla preparazione della casa per il mercato. La presentazione è fondamentale quando si tratta di vendere, bisogna aiutare il potenziale acquirente ad immaginare di vivere in quell’ambiente.

Promuovere la vendita

Affidarsi a dei professionisti come gli agenti immobiliari,ad oggi le compravendite presentano criticità e difficoltà di svariata entità e natura,oltre ad adeguate valutazioni,impossibili da risolvere senza il giusto auslio.

Preparare la casa per la visita

“Diciamo sempre che nei primi 90 secondi un acquirente sa se è interessato a una casa o meno”, spiega Alfa Inmobiliaria. Vale a dire, in un minuto e mezzo bisogna far innamorare i potenziali acquirenti. Pertanto, l’ambiente deve essere accogliente, pulito, ordinato, non troppo caldo e non troppo fresco. Se non si presta attenzione a questi dettagli, “è difficile che scatti la scintilla”.

Mutui casa: dal 2019 addio al quantitative easing

Mutui casa: dal 2019 addio al quantitative easing



Solamente qualche giorno fa la Banca Centrale Europea ha reso noto che l’ormai famosa politica d’espansione, più comunemente conosciuta come quantitative easing, non proseguirà nel 2019.
Si prospettano dunque interessanti novità per la vendita e l’acquisto degli immobili nel nostro Paese, ma anche per l’intero mercato immobiliare più in generale: se infatti il QE fino a questo momento ha facilitato gli istituti di credito rendendoli più propensi ad erogare denaro, secondo gli esperti la sua fine non comporterà, almeno in un primo momento, un’interruzione di questo andamento.

Sul mercato i mutui sono sempre più convenienti

Secondo un recente articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore, che ha preso in esame le diverse offerte di mutuo casa attualmente disponibili, non si avverte un’inversione di rotta e anzi, i tassi sembrano essere ancora in calo con i migliori fissi all’1,4% e i variabili allo 0,5%.
Nonostante infatti sia ormai ufficiale la notizia che il piano espansivo della BCE vedrà una sua conclusione a breve, questo non ha portato almeno per ora le banche a modificare i loro tassi, che si mantengono comunque ai minimi storici. Ciò può stare a significare che i mutui, oggi, vengono visti come una sorta di “prodotti di attrattiva” capaci di allargare il giro di clientela al quale poi sarà possibile offrire altre soluzioni, ma può indicare anche che gli istituti hanno già messo a punto dei piani precisi per il futuro. A prescindere da questo, stando al parere degli esperti, si verificheranno delle condizioni vantaggiose per i mutuatari che, a causa di una concomitanza di fattori, nonostante la fine del QE, data l’attuale politica monetaria non vedranno aumentare le somme necessarie per acquistare un immobile a fronte della richiesta di un mutuo casa.

di Francesca Lauritano

Questo post Mutui casa: dal 2019 addio al quantitative easing é pubblicato da Immobiliare.it.

martedì 24 luglio 2018

Il diritto di usufrutto e la nuda proprietà spiegati dal notaio


Autori: @Annastella Palasciano, Luis Manzano


https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=4n9YIy212F0


In questa nuova rubrica di idealista news "La casa in pillole" esperti di fiscalità illustreranno alcuni concetti fondamentali del mondo immobiliare. Cominciamo con il notaio Guido De Rosa che ci spiega cos'è il diritto di usufrutto, qual è la relazione che intercorre con la nuda proprietà, come calcolarne il valore e se si tratta di un diritto pignorabile.

Che cos'è l'usufrutto di un'abitazione

"L'usufrutto - spiega il notaio De Rosa - è un diritto reale e parziario. Reale perché riguarda un bene, in questo caso un bene immobile, parziario perché coesiste con un altro diritto che è quello di nuda proprietà".

Diritto di usufrutto e piena proprietà

L'usufruttuario ha diritto di usare il bene e di ricavarne qualsiasi profitto, come ad esempio, affittarlo per riscuoterne un canone o anche decidere di concederlo in comodato. Dal canto suo, il nudo proprietario è titolare di un'intestazione, "priva di significato nel momento in cui l'atto viene costituito, ma che diventerà una piena proprietà nel momento in cui l'usufrutto cesserà".

Tutte le imposte che riguardano il possesso del bene competono all'usufruttuario, come ad esempio l'Irpef, l'Imu, la tassa sui rifiuti, così come la manutenzione ordinaria dell'immobile. Diverso il discorso della manutenzione straordinaria che spetta al nudo proprietario.

Quanto dura l'usufrutto di una casa

Ma quanto può durare l'usufrutto? "Se è costituito a favore di una persona fisica può durare al massimo per la durata della vita di questa persona, se è a favore di un ente, ovvero una persona giuridica, non può durare più di trent'anni". Il diritto di usufrutto può essere ceduto. "Se io sono titolare di un diritto di usufrutto che dura trent'anni e ne ho goduto per cinque anni posso usufruire il mio diritto di usufrutto a titolo oneroso o gratuito".  Ma la durata sarà sempre uguale a quella stabilita originariamente.

Valore usufrutto e proprietà

Il valore della nuda proprietà dipenderà dall'incidenza del diritto di usufrutto. Il caso più comune è che l'usufrutto duri l'intera vita dell'usufruttuario. In questo caso "esiste una tabella che attribuisce in proporzione rispetto al valore della piena proprietà, una parte all'usufrutto e una parte alla nuda proprietà".

L'usufrutto è pignorabile?

L'usufrutto è pignorabile, ma non la nuda proprietà. Questo vuol dire che un creditore potrà sottoporre a pignoramento e successiva vendita all'asta il diritto di usufrutto. L'eventuale acquirente potrà godere del bene solo per la durata originaria dell'usufrutto.

Prestito vitalizio ipotecario 2018, le insidie che potrebbero farti perdere la casa


Gtres 

  • Entrato in vigore a marzo del 2016, il prestito vitalizio ipotecario fornisce un importante strumento finanziario per gli over 60 in alternativa alla nuda proprietà o al mutuo. Sempre e quando se ne conoscano bene tutte le insidie. A questo proposito il Consiglio Nazionale del Notariato ha pubblicato un vademecum rivolto ai consumatori "per evitare di perdere la casa a garanzia del prestito", come afferma il notaio responsabile del progetto Pierluisa Cabiddu.

    iI Notariato in collaborazione con 14 associazioni dei consumatori  - ha affermato Pierluisa Cabiddu - ha dedicato un vademecum sul prestito vitalizio ipotecario per far conoscere le opportunità ma anche le insidie contenute in questo istituto dedicato agli over 60, che altrimenti non avrebbero accesso al credito per motivi anagrafici"

    "Questo strumento, essendo un finanziamento di pura liquidità, può essere destinato a soddisfare qualunque esigenza e necessità dell’anziano, che deve conoscerne però i meccanismi di funzionamento per evitare di perdere la casa posta a garanzia del prestito. In questo senso, l’attività di assistenza e consulenza preventiva del notaio è fondamentale”.

    Prestito vitalizio ipotecario, Consiglio Nazionale del Notariato

    Ecco il vademecum che il Consiglio Nazionale del Notariato ha pubblicato in collaborazione con 14 associazioni di consumatori: Adiconsum, Adoc, Adusbef, Altroconsumo, Assoutenti, Casa del Consumatore, Cittadinanzattiva, Confconsumatori, Federconsumatori, Lega Consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino, Unione per la difesa dei consumatori, Unione Nazionale Consumatori.

    • Cos’è il Prestito Vitalizio Ipotecario (P.V.I.)?

    È un finanziamento concesso da banche o intermediari finanziari (il “finanziatore”), a persone di età superiore a 60 anni compiuti (“soggetto finanziato”), garantito da ipoteca di primo grado iscritta su un immobile ad uso residenziale a garanzia della restituzione del prestito, degli interessi e delle spese.

    Se la persona che richiede il prestito è coniugata, costituente l’unione civile o convivente more uxorio da almeno 5 anni e l’immobile da ipotecare in garanzia del P.V.I. costituisce la residenza di entrambi i coniugi, i costituenti l’unione civile o i conviventi, il relativo contratto di finanziamento deve essere sottoscritto da entrambi, anche se l’immobile è di proprietà di uno solo, purché anche l’altro partner abbia compiuto 60 anni di età.

    • Si può stabilire a priori la durata del P.V.I.?

    No, perché dipende dalla durata della vita del soggetto finanziato; se il finanziamento è cointestato al coniuge, al costituente l’unione civile o al convivente, si fa riferimento alla durata della vita del più longevo.

    • Quando il finanziatore può chiedere il rimborso integrale in un’unica soluzione del finanziamento?

    Lo può fare alla morte del soggetto finanziato o se vengano trasferiti, in tutto o in parte, la proprietà o altri diritti reali o di godimento (es. diritto di usufrutto o di abitazione) sull’immobile dato in garanzia o si compiano atti che ne riducano significativamente il valore, inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia in favore di terzi che vadano a gravare sull’immobile.

    • Il rimborso integrale del P.V.I come avviene?

    Ci sono due possibilità di rimborso:

    senza capitalizzazione: il soggetto finanziato rimborsa gradualmente gli interessi e le spese prima del verificarsi degli eventi su indicati; quindi al momento del rimborso dovrà essere restituito solo il capitale;

    con capitalizzazione: alla scadenza del finanziamento dovranno essere rimborsati in unica soluzione sia il capitale che gli interessi e le spese capitalizzati annualmente. Il finanziamento dovrà essere integralmente rimborsato entro dodici mesi dal verificarsi degli eventi su indicati. In caso di morte del soggetto finanziato, se il finanziamento è cointestato, il rimborso avverrà al momento della morte del più̀ longevo.

    • Cosa succede alla morte del soggetto finanziato?

    Entro 12 mesi dalla morte del soggetto finanziato i suoi eredi devono rimborsare integralmente il finanziamento o, d’accordo con il finanziatore, provvedere in proprio alla vendita della casa.

    Decorso tale periodo solo il finanziatore ha facoltà di vendere la casa, senza necessità di dover ricorrere a un’ordinaria procedura esecutiva giudiziaria, al prezzo determinato da un perito indipendente incaricato dal finanziatore, soddisfacendo il suo credito e dando l’eventuale eccedenza agli eredi.

    Se entro altri 12 mesi la vendita non si sarà perfezionata, il prezzo si ridurrà ogni anno del 15%, fino a quando la casa non sia venduta. Se il ricavato della vendita, al netto delle spese sostenute, non coprirà il credito del finanziatore questo nulla potrà chiedere agli eredi.

    • Il ritardato rimborso degli interessi e delle spese può essere causa di risoluzione del contratto di P.V.I.?

    Sì, se si è scelto il rimborso senza capitalizzazione, il finanziatore potrà chiedere la risoluzione del contratto nel caso di ritardato pagamento della rata di rimborso degli interessi e delle spese qualora tale ritardo si sia verificato almeno 7 volte, anche non consecutive.

    • Dove viene iscritta l’ipoteca?

    L’ipoteca viene iscritta nei pubblici registri immobiliari con atto ricevuto o autenticato dal notaio.

    La documentazione precontrattuale.

    Per le caratteristiche del P.V.I. è molto importante ponderare la scelta e confrontare le diverse condizioni offerte, richiedendo al potenziale finanziatore i documenti precontrattuali che dovranno indicare chiaramente il capitale, le spese e gli interessi da pagare nel corso degli anni. Deve essere anche valutato con attenzione l’ammontare del prestito concesso: esso dipende dal valore di perizia della casa ma anche dall’età dei soggetti che lo richiedono e può variare da istituto a istituto.

    sabato 21 luglio 2018

    Cambiando la destinazione d’uso variano i millesimi?




    Da ufficio ad appartamento e viceversa: quanto influisce sulle tabelle millesimali la modifica della destinazione di uso di un immobile?

    Nel tuo stabile c’è un condomino che ha trasformato il proprio appartamento in un ufficio per darlo in affitto a uno studio associato. Secondo l’assemblea, questa modifica della destinazione d’uso dell’immobile comporterà anche un maggior utilizzo dei servizi comuni come l’ascensore, le scale, il citofono, l’androne a causa del via vai dei clienti e dei professionisti. È giusto pertanto che vengano modificate le tabelle millesimali e si faccia pagare al proprietario una quota superiore per le spese condominiali. Quest’ultimo, ovviamente, rispedisce al mittente le richieste dei vicini: a suo avviso, infatti, la qualità e il valore dell’appartamento resta immutato nonostante il diverso impiego dello stesso per cui le tabelle non vanno toccate. Chi ha ragione? Cambiando la destinazione d’uso variano i millesimi? Ecco cosa ha detto, a riguardo, la giurisprudenza.

    Si dà spesso per scontato che la modifica della destinazione d’uso di un immobile comporti necessariamente la modifica delle tabelle millesimali. Invece la Cassazione ha sempre detto il contrario. Il fondamento dell’interpretazione fornita dai giudici supremi sta in una norma delle disposizioni di attuazione al codice civile [1] in base alla quale il valore degli appartamenti di proprietà esclusiva va ragguagliato in millesimi a quello dell’intero edificio ed espresso in una apposita tabella (che va allegata al regolamento di condominio, qualora vi sia in effetti un regolamento).

    Se hai letto Come si calcolano i millesimi di un appartamento, saprai di certo che i criteri che vengono presi a riferimento per determinare il valore degli immobili che compongono l’edificio e così calcolarne i millesimi sono di solito i seguenti:

    • coefficiente di destinazione: gli ambienti di ogni appartamento vengono catalogati in camere, servizi (cucina, bagno, ripostiglio), corridoi, disimpegni, logge racchiuse tra pareti, cantine e soffitte, balconi coperti, balconi scoperti, terrazzo a livello, giardini. Per ciascuno di questi ambienti viene dato una sorta di valore indicativo. Ad esempio la camera da letto ha 1 mentre il corridoio ha 0,80; il balcone coperto vale di più di quello scoperto, e così via;
    • coefficiente di orientamento: un appartamento esposto a nord e quindi alle intemperie, vale meno di uno esposto a sud. I vani che si trovano a sud-est e sud-ovest (in quanto più esposti alla luce) valgono di più di quelli posti a nord-ovest e nord-est e degli ambienti interni senza finestre;
    • coefficiente di prospetto: gli appartamenti che affacciano su giardini valgono di più di quelli che affacciano davanti a un altro palazzo o su una strada secondaria;
    • coefficiente di luminosità;
    • coefficiente di piano: i piani superiori vengono valutati di più per via della maggior luce, aria e panorama.

    Come si vede, tra i coefficienti non viene presa in considerazione la destinazione d’uso dell’appartamento la quale, pertanto, se varia non influisce direttamente sulle tabelle millesimali.

    Del resto è la stessa norma del codice civile che abbiamo citato poc’anzi a stabilire che, ai fini del valore dell’appartamento, non si deve tenere conto dei miglioramenti e del suo stato di manutenzione. Si tratta infatti di eventi che non incidono sulla obiettiva conformazione strutturale dell’immobile in rapporto all’intero edificio; ed è solo quest’ultimo aspetto che rileva ai fini della definizione delle tabelle millesimali. La conformazione strutturale dell’immobile dipende da differenti fattori, ossia dai coefficienti che abbiamo appena indicato (e quindi dall’estensione, dall’altezza, dall’ubicazione e dall’esposizione).

    Dunque, secondo la Cassazione, cambiando la destinazione dell’appartamento non cambiano anche i millesimi. O meglio: non in automatico, salvo poi un valutazione che va comunque fatta tenendo conto delle particolarità del caso.

    Peraltro, per legge [2], i millesimi degli appartamenti possono essere rettificati o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino (con maggioranza dei partecipanti all’assemblea che rappresentino almeno la metà dei millesimi dell’edificio) in due casi tassativi:

    • quando nella loro originaria compilazione è stato commesso un errore (ad esempio le differenze di estensione, altezza, ubicazione, esposizione e simili, mentre non hanno rilevanza i criteri soggettivi, come quelli d’ordine estetico);
    • oppure quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, derivante da sopraelevazione, incremento di superfici o incremento o diminuzione delle unità immobiliari, viene alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino.

    La modifica della destinazione d’uso di un appartamento – come ad esempio la trasformazione di un appartamento in un ufficio, o viceversa, ecc. – non rientra nel concetto di «errori» che danno luogo a una revisione delle tabelle millesimali, né si può parlare di un’alterazione della consistenza reale oppure della superficie effettivamente godibile.

    Per questo anche la Cassazione [3] ha spiegato che una modifica della destinazione d’uso di un locale realizzata senza modificare le caratteristiche proprie degli immobili, non incide sul valore millesimale, dal momento che l’individuazione dei valori proporzionali deve avvenire tenendo conto delle caratteristiche obiettive proprie degli immobili e non anche della loro possibile destinazione, determinata essenzialmente da valutazioni di carattere soggettivo.

    Ci sono le eccezioni. Come abbiamo anticipato, la modifica della destinazione d’uso non comporta in automatico la variazione dei millesimi (si pensi a un appartamento che diviene studio di un avvocato) a meno che nel caso concreto non si dimostri che tale modifica comporti un maggior costo per il condominio (si pensi a un appartamento che diviene una palestra). Nel caso di una civile abitazione che divenga un locale commerciale a cui accede un gran numero di clienti, il condominio dovrà sostenere maggiori costi per la manutenzione dei beni comuni soggetti a usura per via dell’uso continuato da parte degli avventori (apertura e chiusura del portone, uso dell’ascensore, maggiore sporcizia per le scale, ecc.). È proprio questo nuovo utilizzo e le nuove conseguenti maggiori spese che giustificano – a prescindere dal mutamento o meno della destinazione d’uso dell’unità immobiliare interessata – una richiesta di revisione del precedente riparto delle spese.

    venerdì 20 luglio 2018

    Valore delle case in crescita in Europa, ma l’Italia rimane indietro



    Nel 2009 i prezzi che iniziano a calare. Poi due anni (2010 e 2011) di stabilità e infine il nuovo aumento dei costi delle case. È la fotografia del mercato immobiliare in Europa nell’ultimo decennio, presentata nella recente analisi di Eurostat che ha evidenziato l’andamento dei prezzi nell’ultimo anno.

    Prezzi delle case: sorride l’Europa, non l’Italia

    Nel primo trimestre del 2018 i valori delle case nell’eurozona sono cresciuti del +4,5% su base annuale. Leggera crescita anche nel breve periodo: +0,6% rispetto all’ultimo trimestre del 2017. Dati simili se si allarga la prospettiva a tutti i 28 Paesi Ue (non solo quelli dell’eurozona, dunque): +4,7% di crescita anno su anno, +0,7% in un trimestre. In un contesto generalmente positivo, la nostra è una delle nazioni che hanno fatto registrare un calo nei prezzi delle case: -0,4% in un anno, -0,1% in tre mesi. Peggio, su base annuale, hanno fatto solo Svezia (-0,8%), Cipro (-1,8%) e Malta (-4,7%). Per quanto riguarda gli aumenti, è la Lettonia a guardare tutti dall’alto: +13,7% anno in un anno, davanti a Slovenia (+13,4%), Irlanda (+12,3%) e Portogallo (+12,2%).

    In Italia il calo dell’immobiliare è cominciato nel 2012

    Tornando all’Italia, l’Eurostat fa notare come la parabola discendente dei prezzi delle case in Italia cominci nel 2012 con un -2,5%. Poi tre ulteriori anni di calo: -6,5% nel 2013, -4,7% nel 2014 e -3,8% nel 2015. Nell’ultimo periodo il calo è stato più contenuto: dopo un 2016 stabile, il 2017 fa segnare un -0,8%.

    di Giovanni Marrucci

    Erogazione mutui: i tassi d’interesse toccano i minimi storici


    Like Casa|Salvatore Serio


    Si tratta ormai di un trend consolidato e che va avanti da alcuni mesi. I tassi d’interesse dei Mutui erogati in Italia continuano inesorabilmente a calare. Questa è diventata una spinta importante per tutti coloro i quali intendono investire e vogliono farlo in questo periodo.

    Mutui Italia: ecco i dati sui tassi d’interesse

    Come detto, quindi, anche in questo nello scorso mese di giugno i tassi d’interesse dei mutui sono scesi ritoccando la soglia dei minimi storici. Nella fattispecie il tasso medio sulle nuova operazioni di finanziamento per l’acquisto di abitazioni è arrivato per quanto concerne il tasso fisso all’1,81% e di quello variabile allo 0,79%, facendo registrare per l’ennesima volta il minimo storico.

    Allo stesso modo, Euribor e Eurirs invece di accompagnare il graduale affrancamento dalla Bce, a giugno l’Eurirs a 20 anni segna l’1,46%, quello a 30 anni l’1,53% nel mese di maggio erano rispettivamente al 1,55% e 1,49%. L’Euribor a 1 mese non dà segni di cedimento da un paio di anni a questa parte, saldo a segnare -0,37%.

    Nel secondo trimestre del 2018 le surroghe diventano la maggioranza della domanda con il 50,6% nei precedenti tre mesi era il 46,9,  mentre la percentuale di acquisti prima casa scende al 39,7% rispetto al 42,5% del trimestre precedente.

    Chi si appresta a stipulare i mutui oppure sostituisce quello che già possiede non esita ad assicurarsi il tasso fisso più conveniente degli ultimi dodici anni. Ormai più di otto richieste su dieci sono per un mutuo a tasso fisso, che segna dalla parte della domanda l’82,5% e da quella delle concessioni un valore ancora più alto, l’84,4%, una vera e propria opera di fidelizzazione che le banche stanno assicurandosi nei confronti dei clienti, che difficilmente in futuro si troveranno costretti ad abbandonare quel finanziamento per cercare condizioni migliori di quelle attuali.

    Mutui: condizioni favorevoli fino al 2023


    Notizie immobiliari|floriana Liuni

    mutui istat

    Compravendite in aumento, mutui in calo, almeno se si considerano i dati in assoluto. L’Istat ha pubblicato la suaview sul primo trimestre 2018, ed ha evidenziato come le convenzioni notarili di compravendite o relative a transazioni onerose legate ad unità immobiliari sono cresciute dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, se si considera il dato destagionalizzato (suddiviso in un  +0,5% per il settore abitativo e +1,3% per l’economico). Guardando i dati in assoluti e tendenziali, si configura un calo di circa 36 mila transazioni (per un totale di circa 176,7 mila), ma resta un aumento del 4,2% rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno (il settore abitativo guadagna il 4,4% e l’economico il 2,1%).

    Mutui in aumento nel primo trimestre 2018

    Interessante che a questo aumento di transazioni si accompagni, in termini assoluti, una diminuzione dei mutui e dei finanziamenti con ipoteca. Stando infatti ai dati notarili da cui Istat ha attinto, il numero di transazioni nel primo trimestre 2018 è stato di 94.015 (12 mila atti in meno rispetto al trimestre precedente), per un calo annuo del 3,3%. Il dato destagionalizzato tuttavia mostra una crescita dei mutui dell’1,5% trimestrale, pur confermando un calo (del 3,3%) rispetto allo stesso periodo del 2017.

    Gli italiani continuano a comprare casa

    Come interpretare questi dati? “L’andamento dell’indice destagionalizzato delle compravendite conferma un recupero del mercato immobiliare – è il commento dell’Ufficio studi Istat. - Il mercato ha iniziato la sua ripresa in modo più regolare dal II trimestre del 2015, con un recupero di circa il 37% rispetto ai valori minimi di fine 2013, ma con un gap di oltre il 5% nei confronti dei livelli medi del 2010”.

    “I dati comunicati da Istat – ha dichiarato Ivano Cresto, responsabile Business Unit Mutui di Facile.it – non possono che essere letti con estrema positività. Dopo un comprensibile momento di incertezza legato all’annuncio della fine del Qe, gli aspiranti mutuatari italiani si sentono oggi più tranquilli, continuano a comprare casa e, cosa molto importante, hanno dimostrato di avere un rapporto di fiducia con la propria banca. Gli istituti di credito, dal canto loro, stanno facendo grossi investimenti per offrire ai clienti o potenziali tali ottime condizioni applicate ai mutui, indipendentemente dal fatto che siano a tasso fisso o variabile”.

    Mutui favorevoli fino al 2023

    Cosa attendersi per il futuro? Risponde Cresto: “ Considerando sia i valori dell’inflazione “core”, quella cioè che non tiene conto dei beni alimentari o di quelli energetici che a maggio si è assestata all’1,1%, sia il fatto che il Governatore Draghi ha lasciato intendere di voler comunque reinvestire nei titoli che l’Istituto detiene in portafoglio pur non aumentandone la quantità, è lecito attendersi che le attuali condizioni di vantaggio applicate oggi ai mutui durino ancora per un bel po’ e gli analisti hanno spostato alla metà del 2023, cioè fra ben 5 anni, il momento atteso per veder tornare a crescere oltre l’1% il valore dell’ Euribor”.

    Mutuo per precari e giovani: tutto ciò che c'è da sapere




    Mutui e giovani non vanno d’accordo? Pare essere così, perché gli under 35, spesso precari e privi di garanzie per le banche, trovano le maggiori difficoltà a ottenere un finanziamento per l’acquisto della casa. E’ anche vero però che le banche spesso pensano dei prodotti appositamente pensati per chi da poco si è affacciato al mondo del lavoro.

    Mutui per precari

    Stando ai dati dell’Osservatorio Mutuionline.it nel secondo trimestre dell’anno la stragrande maggioranza dei mutui è stata concessa a chi ha già un lavoro a tempo indeterminato (l’85,8% dei casi), mentre solo il 10% è andato a favore di lavoratori autonomi e liberi professionisti. Tenendo conto che tendenzialmente il loan to value di un mutuo è dell’80%, occorre che un giovane possa avere disponibile una liquidità pari al 20% del costo della casa: il che, in effetti, non è semplice.

    Mutui per giovani sotto i 35 anni

    Non è però impossibile che un giovane si veda accettare una domanda di mutuo. Ad esempio, potrebbe cointestare il finanziamento con una persona che offra garanzie solide (spesso un genitore), o chiederle di fare da garante, prendendosi l’onere di intervenire nel pagamento qualora ci fossero difficoltà a sostenere la rata. In questo caso, la banca accetterà garanzie da una persona che abbia un’età massima di 75 anni alla scadenza del finanziamento. In caso di decesso del garante, l’onere del pagamento passerà ai suoi eredi.

    Fondo garanzia giovani 2018

    Un aiuto ai giovani viene anche dal Fondo di Garanzia prima casa, una misura con cui lo Stato si fa garante per il 50% della quota capitale di mutui ipotecari finalizzati all’acquisto di un’abitazione principale per un massimo di 250 mila euro. Tale misura è rivolta a tutti, senza limiti, ma vengono applicate condizioni di favore alle giovani coppie in cui almeno uno dei due componenti abbia meno di 35 anni, ai nuclei monogenitoriali con figli minori, agli under 35 con contratto di lavoro atipico. Si può presentare domanda per l’accesso al Fondo direttamente alla banca o all’istituto finanziario prescelto, qualora aderisca all’iniziativa (l’elenco è disponibile presso il sito di Abi e di Consap).

    lunedì 9 luglio 2018

    Sospensione mutui 2018 per PMI e famiglie


    di Noemi Ricci

    Moratoria mutui: prorogato a luglio 2018 l'Accordo sulla sospensione delle rate dei prestiti alle imprese e di quelli alle famiglie, con possibile allungamento dei finanziamenti erogati alle PMI.

    L’ABI (Associazione Bancaria Italiana) proroga al 31 luglio 2018 l’Accordo per il Credito 2015, che offre la possibilità di sospendere il pagamento della quota capitale delle rate e di allungare i finanziamenti per le PMI. Prorogata alla stessa data anche l’analoga possibilità concessa alle famiglie dall’Accordo con le Associazioni dei Consumatori (“Sospensione della quota capitale dei crediti alle famiglie”).


    Moratoria mutui: requisiti PMI

    Per beneficiare della moratoria sui mutui le PMI devono risultare operanti in Italia.

    Possono accedere alle operazioni previste dall’Accordo anche le imprese che presentino alcune difficoltà finanziarie, a patto che, al momento di presentazione della domanda, non abbiano posizioni debitorie classificate dalla banca come “sofferenze”, “inadempienze probabili” o esposizioni scadute e/o sconfinanti da oltre 90 giorni (imprese “in bonis”) in relazione a finanziamenti in essere alla data del 31 marzo 2015.

    Imprese

    Da quanto è stata attivata per la prima volta la possibilità di sospendere le rate del mutuo (marzo 2015) a novembre 2017, sono state 17.787  le domande accolte in relazione alla sospensione del pagamento delle rate, per un controvalore complessivo di debito residuo pari a 5,1 miliardi di euro e una maggior liquidità a disposizione delle imprese di 656 milioni di euro.

    Per quanto riguarda l’allungamento dei piani di ammortamento, sono state accolte 8.202 domande pari a 1,6 miliardi di euro di debito residuo. A farne maggiormente ricorso sono state le imprese attive nei settori:

    • “commercio e alberghiero”, 21,5%;
    • “industria”, 13,6%;
    • “edilizia e opere pubbliche”, 16,2%;
    • “artigianato”, 12,6%;
    • “agricoltura”, 9,3%;
    • il restante 26,8% riguarda gli “altri servizi”.

    Famiglie

    La moratoria per 12 mesi sulla quota capitale del finanziamento concessa alle famiglie – tra mutuo prima casa e credito al consumo – ha interessato fino ad ottobre 2017 già 16.642 famiglie per un controvalore complessivo sospeso di 475 milioni di euro ed una maggior liquidità totale a beneficio dei consumatori pari a 118 milioni di euro. Per quanto riguarda le famiglie a beneficiarne sono state soprattutto:

    • per le operazioni di finanziamento al consumo, quelle di Nord (35,7%), Centro (23%), Sud e Isole (41,3%);
    • per i mutui, quelle di Nord (49,3%), Centro (26,4%), Sud e Isole (24,3%).​

    Gli accordi sono anche il frutto della collaborazione con Alleanza delle Cooperative Italiane (Agci, Confcooperative Legacoop), Cia, Claai, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confedilizia, Confetra, Confimi Industria, Confindustria, Rete Imprese Italia (Cna, Confartigianato, Confersercenti, Confcommercio, Casartigiani).

    domenica 8 luglio 2018

    Accatastamento di Immobili Abusivi: Cosa Fare



    In questo Libro delle Idee parleremo di un tema spinoso, l'accatastamento di immobili abusivi: vedremo cosa fare andando a conoscere più da vicino la normativa vigente e le condizioni che ne regolano il funzionamento. L'attività di identificazione e regolarizzazione delle case costruite in assenza delle condizioni per essere accatastate è, evidentemente, di difficile soluzione.

    Una sistemazione a questa materia è stata trovata dal legislatore con la Legge n. 286 del 24 novembre 2006, dall'articolo 19 del Decreto Legge n. 78 del 31 maggio 2010, poi modificato e convertito nella Legge n. 122 del 30 luglio 2010). Gli uffici del catasto hanno così iniziato la difficile operazione di rilevare case e costruzioni abusive e quindi mai accatastate prima, attraverso una complessa operazione che ha previsto la sovrapposizione di mappe catastali pre-esistenti con foto aeree fornite dall'AGEA, Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, incaricata dei rilevamenti.

    Alla fine di questa complessa opera di rilevazione e incrocio di dati, sul sito dell'ex Agenzia del Territorio, il Catasto appunto, sono state pubblicati gli elenchi delle particelle catastali sulle quali era emersa la presenza di immobili abusivi ancora da accatastare. Elenchi pubblicati poi Anche sull'Albo pretorio dei comuni, dove i proprietari interessati, o tecnici come degli architetti da loro incaricati, avrebbero poi potuto andare a rilevare la presenza di eventuali immobili abusivi da accatastare.

    L'ex Agenzia del Territorio seguendo le normative, aveva provveduto a notificare a tutti gli interessati i cosiddetti avvisi di accertamento attraverso la pubblicazione sull'Albo pretorio comunale e sulla Gazzetta Ufficiale. Le normative poi prevedevano una cosiddetta procedura di Autotutela, anche a livello telematico, per cui i proprietari interessati avevano il tempo di richiedere le necessarie visure catastali e di segnalare eventuali errori e incongruenze rispetto ai rilevamenti.

    Per capire meglio cosa fare per l'accatastamento di immobili abusivi non resta che andare a vedere la questione nel dettaglio: seguiteci

    1. Accatastamento degli immobili abusivi: problemi con la procedura

    Vista della villa dal lato mare: Case in stile in stile Mediterraneo di CARLO CHIAPPANI  interior designer


    Vista della villa dal lato mare
    CARLO CHIAPPANI interior designer

    Il problema, sorto nel processo di accertamento e che ancora oggi crea delle difficoltà, è che parte dei proprietari, o presunti proprietari, non sa effettivamente proprietaria di stabili o costruzioni abusive non accatastati nei terreni censiti e poi rappresentati negli elenchi.

    Non era, infatti, prevista alcuna procedura di contestazione attraverso delle notifiche appositamente indirizzate ai proprietari identificati. E cioè delle raccomandate di contestazione giudiziaria, o delle notifiche attraverso gli appositi messi comunali agli indirizzi di abitazione delle persone coinvolte.

    In questo caso, infatti, il legislatore aveva previsto una procedura di notifica indistinta e generale, con la sola pubblicazione degli elenchi negli albi pretori menzionati in precedenza. Le problematiche originate dalla mancata notifica personale e dalla richiesta dei relativi permessi, ha generato una lunga serie di problemi.

    2. Cos'è l'accatastamento

    vista zona ingresso: Casa di campagna in stile  di Alfredo Pulcrano

    Alfredo Pulcrano

    vista zona ingresso
    Alfredo Pulcrano

    La parola accatastamento, in senso proprio, indica quella procedura burocratica attraverso la quale si provvede a identificare un immobile, specificando quali siano le sue caratteristiche di base e la sua rendita fiscale. Si tratta quindi di un procedimento che ha come oggetto l’immobile, e che sfocia in un documento che ha conseguenze pratiche ulteriori.

    Contiene, per esempio i dati e le informazioni che descrivono le caratteristiche dell'immobile in questione, utili per quanto riguarda i pagamenti delle imposte come l'Irpef e per le richieste dei certificati di agibilità. E nei casi in cui sia necessario, i certificati di abitabilità di un edificio.

    Attraverso l’accatastamento si attribuisce un valore fiscale a un immobile, definendo quindi allo stesso tempo a quale categoria appartenga l'unità immobiliare che viene accatastata. L’accatastamento viene effettuato sia per ogni nuova costruzione che in relazione a eventuali modifiche ulteriori, fatte sull’immobile in seguito, come ristrutturazioni, cambi di destinazione d’uso, e deve essere effettuato in ogni caso a prescindere dall’effettiva destinazione d’uso dell’immobile stesso, che sia ad uso residenziale, commerciale.

    House 1: Camera da letto in stile In stile Country di Opera s.r.l.

    3. Immobili da accatastare e sanzioni per l'omessa denuncia

    Casa nuova realizzazione: Case in stile in stile Rustico di SOGEDI costruzioni



    SOGEDI costruzioni

    Per procedere con l'accatastamento degli immobili abusivi l'Agenzia delle Entrate ha proceduto con delle procedure di accertamento d'ufficio, che hanno addebitato ai possessori le spese relative alle questioni tecniche, oltre alle sanzioni per l'omessa denuncia. In genere le sanzione minima è di 300 euro per ogni unità immobiliare, ma può essere ridotta di un quarto pari a 75 euro se la somma viene versata entro 60 giorni.

    La dichiarazione rappresenta un obbligo di legge, che se non dovesse essere rispettato comportata le sanzioni che abbiamo visto. Nel caso in cui ci sia un'inadempienza nella dichiarazioni, poi, saranno gli stessi uffici dell'ex Agenzia per il Territorio a intervenite iscrivendo direttamente l'immobile, verificandone la classe e poi notificando i risultati.

    Le spese e gli oneri che questo intervento di rilevazione da parte dell'ente competente comporta, saranno poi scaricati sui proprietari interessati, andando ad aggiungersi alle sanzioni già descritte.

    4. Obbligo di accatastamento

    Apertura foro camera : Case in stile In stile Country di Architetti Baggio

    Architetti Baggio

    Apertura foro camera
    Architetti Baggio

    Per capire meglio cosa comporti l'accatastamento di un immobile abusivo è importante capire quali siano i termini dell'obbligo di accatastamento. In caso di immobili costruiti ex-novo oppure di interventi su un immobile già esistente così rilevanti da comportare una variazione che influisce sulla classe stessa dell'immobile, l'accatastamento è obbligatorio.

    E anche l'eventuale semplice aggiornamento dei dati catastali, risulta obbligatorio. Non effettuare l'accatastamento o l'aggiornamento, comporta il ricorre delle sanzioni che abbiamo già descritto. L’obbligo di accatastamento per i fabbricati rurali, poi, deriva da una disciplina di legge che imponeva ai proprietari e ai comproprietari di fabbricati rurali che censiti al catasto terreni, di provvedere a un’ulteriore registrazione.

    Entro il 2012, si doveva provvedere a registrare questi immobili rurali al catasto edilizio urbano, attraverso una procedura apposita: una normativa che aveva di fatto introdotto un obbligo di censimento, obbligo che non era previsto in precedenza in relazione al catasto fabbricati.

    5. Conformità catastale


    Anche nel caso dell'accatastamento di immobili abusivi è bene sapere che esiste una procedura per la definizione e certificazione della cosiddetta ’conformità catastale’. Si tratta di una specifica normativa introdotta nel luglio del 2010, che obbliga i proprietari di immobili a:

    Dichiarare nell’atto che i dati e le planimetrie depositate in catasto sono conformi allo stato di fatto, ovvero alla localizzazione, destinazione d’uso e configurazione reale e attuale dell’immobile oggetto di negoziazione, pena la nullità dello stesso.

    Per cui, prima di stipulare eventuali contratti, tutti i proprietari sono tenuti a verificare che i dati catastali e quelli delle planimetrie depositate corrispondano al cosiddetto stato di fatto, cioè alla situazione realmente esistente, sia per la destinazione d'uso, e quindi per la categoria catastale, che per consistenza del numero dei vani e delle superfici.

    sabato 7 luglio 2018

    Imposta ipotecaria e catastale: di cosa si tratta!


    Like Casa|Redazione Likecasa


    L’imposta ipotecaria e catastale sono delle tasse che vengono applicate nel trasferimento di immobili. Sono annoverate fra quelle tasse che si pagano quando si acquista un immobile e si deve effettuare per mezzo del rogito notarile il passaggio di proprietà.

    Queste tasse vengono pagata anche quando su un immobile viene costituita un’ipoteca oppure quando viene imposto un diritto, come per esempio il diritto di usufrutto.

    L’imposta ipotecaria per la prima casa è diversa dall’imposta ipotecaria per la seconda casa. I due importi infatti differiscono perché, quando si acquista una prima casa, si può beneficiare di alcune agevolazioni fiscali che riducono l’importo dell’imposta stessa.

    Ma vediamo che cos’è l’imposta ipotecaria e catastale e come fare il calcolo dell’imposta ipotecaria e catastale.

    Che cos’è

    L’imposta ipotecaria consiste nel pagamento di una tassa che si deve versare in ogni atto che implica una trascrizione o un’iscrizione presso i pubblici registri immobiliari.

    Si deve pagare ogni volta che ci si accorda su una vendita, su una donazione, ed esiste anche per la successione l’imposta ipotecaria.

    Di solito imposta di registro ipotecaria e catastale vengono affiancate, anche se ci sono delle differenze.

    L’imposta ipotecaria deve essere pagata in occasione delle azioni che vengono eseguite sui pubblici registri immobiliari. L’imposta catastale, invece, si deve pagare quando si verifica una voltura catastale.

    Anche in caso di successione, imposta ipotecaria e catastale vanno di pari passo, visto che si deve pagare sia l’una che l’altra. Si parla infatti di imposta catastale e ipotecaria per la successione, dopo aver effettuato il calcolo di imposta ipotecaria e catastale per la successione.

    Come si calcola

    Vediamo adesso come effettuare il calcolo dell’imposta catastale e ipotecaria. È davvero molto semplice, perché ci si deve attenere ad un preciso schema che è entrato in vigore a partire dal 2014, quando si sono stabiliti dei valori fissi per queste imposte. Ecco come calcolare imposta ipotecaria e catastale:

    • per l’acquisto di un immobile non di lusso adibito a prima casa, se l’immobile viene acquistato da un soggetto privato, l’imposta da pagare corrisponde a 50 euro;
    • nel caso di un acquisto di immobile non prima casa da un soggetto privato si pagano sempre 50 euro;
    • nel caso in cui si acquisti un immobile come prima casa da un’impresa costruttrice con Iva al 4% si devono pagare 200 euro.

    Come si paga l’imposta ipotecaria e catastale

    L’imposta ipotecaria e catastale per successione o la sola imposta ipotecaria per successione si pagano utilizzando il modello F23, specificando il codice tributo 649T (per l’imposta ipotecaria) e il codice tributo 737T (per l’imposta catastale). Dal 2011 è prevista anche la possibilità di pagare con il modello F24.

    Se sono dovute tassa ipotecaria e imposta di bollo, il versamento è unico. Lo stesso discorso si può dire se insieme all’imposta ipotecaria è dovuta l’imposta di registro. In questo modo avviene la liquidazione dell’imposta ipotecaria.

    In caso di donazione o successione, l’imposta ipotecaria è fissa e corrisponde a 200 euro, se almeno uno dei beneficiari della successione ha i requisiti per ottenere le agevolazioni sulla prima casa.

    In tutti gli altri casi si fa riferimento all’applicazione dell’aliquota per imposta ipotecaria e catastale del 2%.

    Bisogna specificare che, proprio in caso di successione, imposta catastale e ipotecaria possono essere anche pagate a rate nel corso di 5 anni.

    Da non dimenticare però che la rateizzazione riguarda soltanto l’80% dell’importo e comunque ci si ritrova a pagare anche gli interessi.

    Per ottenere la rateizzazione bisogna presentare una richiesta all’Agenzia delle Entrate, nel momento in cui si va a pagare il primo 20%.

    Poi, entro 90 giorni dalla richiesta, l’Agenzia delle Entrate comunica se ha accettato o ha rifiutato la rateizzazione e la dilazione del pagamento.

    Però per ottenere la dilazione bisogna trovarsi in presenza di alcune garanzie, che possono essere per esempio costituite da un’ipoteca sull’immobile, da una fideiussione bancaria, da una cauzione di titoli di Stato o da una polizza assicurativa fideiussoria.

    Se non si provvede a trascrivere il passaggio di proprietà sul registro immobiliare e quindi a pagare l’imposta ipotecaria e catastale prima casa o comunque per l’immobile acquistato, si può incorrere in una sanzione che corrisponde da un minimo del 100% fino ad un massimo del 200% dell’imposta.

    La multa è più precisamente corrispondente ad un minimo di 100 euro e ad un massimo di 2.000 euro.

    Le norme di legge però prevedono anche alcune tipologie di ravvedimento operoso. Quindi il contribuente può pagare una sanzione ridotta se si ravvede e decide di pagare l’imposta.

    La sanzione varia in base al tempo di ravvedimento. Ad esempio, corrisponde allo 0,20% dell’imposta per ogni giorno di ritardo, se il ravvedimento avviene entro 14 giorni dalla scadenza.

    Più si aumenta il tempo del ritardato pagamento, più aumenta la sanzione applicata. Il contribuente ha 5 anni di tempo per ravvedersi, a meno che prima di questi 5 anni non riceva una contestazione di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.

    L’imposta ipotecaria nel caso della successione o donazione

    In caso di successione o donazione, il pagamento dell’imposta ipotecaria è lo stesso che abbiamo descritto precedentemente e valgono tutte quelle condizioni di cui abbiamo parlato anche per quanto riguarda i tempi che si hanno a disposizione sia per il pagamento regolare sia in caso di ravvedimento operoso da parte del contribuente.

    L’imposta ipotecaria e catastale per successione di terreni agricoli compresi nell’eredità sono applicate in misura fissa, non eccedendo però il valore fiscale dei terreni.

    Non dobbiamo dimenticare comunque che in caso di successione c’è anche una specifica imposta da pagare, che riguarda proprio questo caso in particolare.

    Si tratta dell’imposta di successione. Il calcolo di questa imposta spetta all’Agenzia delle Entrate. Dopo che quest’ultima riceve la dichiarazione di successione, verifica tutti i dati e procede al calcolo.

    L’imposta di successione si calcola prendendo in considerazione la rendita catastale, che viene aumentata del 5% e viene poi moltiplicata per alcuni coefficienti:

    • 110 per prima casa;
    • 120 per categorie catastali A e C, tranne A10 e C1;
    • 140 per categoria catastale B;
    • 60 per categorie catastali A10 e D;
    • 40,8 per categorie catastali C1 ed E.

    Le aliquote applicate variano in base al grado di parentela dell’erede, secondo il seguente schema:

    • 4% per coniuge, genitori e figli;
    • 6% per fratello o sorella;
    • 6% per gli altri parenti fino al quarto grado;
    • 8% per tutti gli altri.

    Per quanto riguarda più nello specifico l’imposta catastale e ipotecaria, bisogna dire che l’imposta catastale corrisponde al 2% del valore della casa, mentre quella ipotecaria corrisponde all’1%.

    Tuttavia l’importo minimo previsto da pagare è di 200 euro per ogni imposta. Di conseguenza, anche se effettuando il calcolo risulterebbe da pagare meno di 200 euro per ciascuna imposta, il totale da pagare è sempre di 400 euro.

    Se però si usufruisce dell’agevolazione per la prima casa, l’imposta catastale e l’imposta ipotecaria corrispondono sempre ad un totale di 400 euro, anche se dal calcolo viene fuori un importo maggiore.

    Il diritto all’agevolazione può anche decadere a seguito del verificarsi di alcune condizioni. Si decade dall’agevolazione in caso di dichiarazione falsa o in caso di mancato trasferimento della residenza.

    Infatti il contribuente deve trasferire obbligatoriamente entro 18 mesi la propria residenza nello stesso Comune in cui è ubicato l’immobile ereditato che vuole utilizzare come prima casa.

    Questo obbligo non viene applicato però nel caso in cui gli eredi di un immobile ereditato siano membri delle forze dell’ordine.

    L’agevolazione riguarda soltanto le imposte ipotecaria e catastale, ma non l’imposta sulla successione, a cui comunque viene applicato il regime ordinario.

    Indipendentemente dal fatto che l’immobile ereditato sia utilizzato come prima casa, la legge non prevede benefici fiscali sull’imposta sulla successione, senza considerare dove si ha la residenza.

    Imposta di registro seconda casa: come si calcola!


    Like Casa|Redazione Likecasa


    L’imposta di registro seconda casa rientra fra quelle tasse che bisogna pagare quando si decide di acquistare un immobile da adibire ad un’altra abitazione oltre la prima casa.

    Di solito l’acquisto della prima casa risulta più economico, perché la legge prevede delle particolari agevolazioni fiscali a vantaggio dell’acquirente.

    Invece nel caso dell’imposta di registro per acquisto seconda casa non è possibile usufruire di agevolazioni.

    In generale, per quanto riguarda le detrazioni economiche per la seconda casa, tutto è molto più complicato, perché non si può usufruire nemmeno delle detrazioni fiscali del 19% sugli interessi passivi del mutuo.

    Ma andiamo nei dettagli e vediamo quali sono le tasse da pagare per l’acquisto della seconda casa e come, tra queste, si situa l’imposta di registro.

    Che cos’è

    L’imposta di registro per la seconda casa è la tassa che si deve pagare per registrare il contratto di compravendita e quindi per ufficializzare il passaggio di proprietà dell’immobile dal venditore all’acquirente.

    Le imposte sulla seconda casa, infatti, sono le seguenti:

    • imposta di registro – pari al 9% del prezzo di acquisto dell’immobile;
    • imposta ipotecaria – che riguarda il trasferimento di immobili e corrisponde a 50 euro;
    • imposta catastale – che si deve pagare per ottenere la voltura catastale nel caso di trasferimento di un immobile ed è pari a 50 euro.

    Queste imposte valgono quando si acquista da un privato oppure da un’impresa costruttrice che non è soggetta ad Iva.

    Se invece si acquista la seconda cada da un’impresa costruttrice a cui va applicata l’Iva, le imposte devono essere calcolate nel modo seguente:

    • Iva al 10% oppure al 22% se come seconda casa si acquista un’abitazione di tipo signorile, una villa o un castello o un palazzo di grande pregio storico e artistico;
    • imposta di registro pari a 200 euro;
    • imposta ipotecaria di 200 euro;
    • imposta catastale fissa che corrisponde a 200 euro.

    Ricordiamo che un’abitazione classificata come abitazione signorile o castello o palazzo deve appartenere alle categorie catastali A1, A8 e A9.

    Ecco perché, per prendere atto delle visure catastali e quindi escludere un’abitazione di tipo signorile, bisogna pagare un tecnico che ha il compito di redigere una specifica relazione sulla questione.

    Anche la parcella per il tecnico rientra fra le spese che dobbiamo sostenere per l’acquisto della seconda casa.

    Non dimentichiamo che a tutto ciò bisogna aggiungere anche le spese che riguardano il mutuo, nel caso abbiamo la necessità di ricorrere ad un finanziamento.

    Di solito per l’acquisto della seconda casa la banca è disposta a concedere un mutuo con interessi più alti rispetto a quelli che si pagano per l’acquisto della prima casa.

    Come si calcola

    Vediamo adesso un esempio pratico di calcolo di imposta di registro seconda casa, in modo da renderci conto meglio di quanto andremo a spendere anche complessivamente sulle tasse sulla seconda casa.

    Per l’imposta di registro sulla seconda casa il calcolo si effettua iniziando col determinare il valore catastale dell’immobile oggetto di compravendita.

    Il valore catastale si ottiene moltiplicando la rendita catastale per un coefficiente fisso. Nel caso della seconda casa questo coefficiente corrisponde a 126.

    Prendiamo come esempio un immobile che viene acquistato al prezzo di 200.000 euro e che abbia una rendita catastale di 1.500 euro.

    Procediamo calcolando il valore catastale. Quindi moltiplichiamo 1.500 per 126, che ci dà come risultato 189.000 euro.

    Dopo aver ottenuto il valore catastale, se stiamo parlando di soggetti esenti dall’Iva, calcoliamo il 9% per l’imposta di registro e otteniamo come risultato 17.010 euro.

    È questo il prezzo che dobbiamo pagare per l’imposta di registro sulla seconda casa.

    Per sapere il totale complessivo delle imposte, sommiamo a questa cifra 50 euro di imposta ipotecaria e 50 euro di imposta catastale, ottenendo complessivamente 17.110 euro.

    Tenendo presenti i parametri di riferimento precedenti e facendo l’esempio di un calcolo nel caso in cui compriamo da un’impresa costruttrice soggetta ad Iva, otterremo le seguenti spese:

    • Iva al 10% di 200.000 euro che è uguale a 20.000 euro;
    • imposta di registro di 200 euro;
    • imposta catastale di 200 euro;
    • imposta ipotecaria di 200 euro.

    Il totale corrisponde a 20.600 euro.

    Se acquistiamo una seconda casa che appartiene alle categorie catastali considerate di lusso, pagheremo in totale, sempre con lo stesso esempio, 44.600 euro.

    Anche per l’acquisto della seconda casa è previsto il pagamento delle spese notarili. Si tratta dell’onorario che dobbiamo corrispondere al notaio per la richiesta della sua prestazione professionale.

    Un valido approfondimento puoi sicuramente trovarlo in questo articolo:Spese notarili acquisto prima casa

    Nella compravendita di un immobile il ruolo svolto dal notaio appare fondamentale. Rappresenta il ruolo di funzionario pubblico che attesta la correttezza e la veridicità di tutto il processo.

    Il compito del notaio è infatti anche quello di effettuare delle verifiche preliminari alla redazione del rogito.

    Deve consultare i pubblici registri per ricostruire gli ultimi passaggi di proprietà dell’immobile oggetto della compravendita e deve accertarsi che la proprietà dell’immobile appartenga in maniera chiara al venditore e che non ci siano altri soggetti in grado di rivendicarne il possesso.

    In seguito a tutte queste verifiche, il costo da sostenere come onorario per il notaio può aumentare. Di solito varia in base anche alla notorietà del professionista e al tempo che egli ha dovuto impiegare per effettuare le verifiche preliminari.

    Quando si paga

    Le imposte sull’acquisto della seconda casa, quindi anche l’imposta di registro, vanno pagate quando si firma un contratto di compravendita.

    Il pagamento delle imposte spetta all’acquirente e non al venditore. Tutte queste tasse di solito vengono versate all’atto del rogito e non prima della stipulazione del contratto di compravendita.

    Le imposte vengono pagate attraverso il notaio. Generalmente il totale delle imposte si somma al prezzo di vendita che è indicato nel compromesso.

    Proprio per questo motivo il compromesso non va considerato al lordo delle imposte. È un fattore molto importante da considerare, per avere un’idea anche preventiva di tutte le spese che si dovranno sostenere nel caso di acquisto di una seconda casa.

    • Se abbiamo intenzione di acquistare un altro immobile oltre alla prima casa, dobbiamo sempre consultare un commercialista o un altro consulente, in modo che possa darci indicazioni di massima di quanto andremo a pagare complessivamente, per rapportare tutto alle nostre disponibilità economiche e per non ritrovarci di fronte a brutte sorprese in seguito ad atto compiuto.

    Tari 2018: imposta troppo elevata? ecco come chiedere il rimborso


    Like Casa|Salvatore Serio


    In molti comuni d’Italia i bollettini della Tari 2018 hanno riservato agli utenti brutte sorprese. Le cifre dell’imposta sui rifiuti, infatti, si sono rivelate decisamente più alte di quanto atteso ed annunciato.

    Ecco che sono, quindi, scattati i ricorsi e le richieste di rimborso. Come accaduto ad esempio a Milano dove è stato proprio il comune meneghino ad occuparsi di stabilire la cifra precisa da rimborsa ai propri cittadini per quanto concerne la prima rata della Tari 2018 per non creare ulteriori disagi.

    Tari 2018: ecco come chiedere i rimborsi

    Come detto quanto accaduto nel capoluogo lombardo si è ripetuto anche in altre città d’Italia. Stando a quanto sostengono alcune associazioni di consumatori la Tari 2018 è stata gonfiata oltre che a Milano anche a Napoli, Catanzaro, Cagliari, Ancona, Rimini e Siracusa.

    Ora vi starete chiedendo come capire se si è pagato di più è necessario? La risposta è semplice basta prendere i bollettini della Tari 2018 inviati dal Comune di appartenenza e confrontarli con quelli degli ultimi 4 anni che riportano i calcoli della tariffa applicata sulla singola unità immobiliare e sulle pertinenze. Bisogna verificare se su queste è presente la quota variabile Tari. Nel caso fosse esplicitata si ha diritto a chiedere il rimborso. La parte relativa alla quota variabile si trova sull’avviso di pagamento nella pagina relativa al dettaglio delle somme.

    Per richiedere il rimborso della Tari 2018 vi consigliamo vivamente di visitare il sito del comune di riferimento per capire dove, come e quando presentare la richiesta. In alternativa vi potreste recare alla casa comunale per chiarire la vostra posizione negli uffici preposti, chiedendo anche informazioni su come ottenere il rimborso della parte eccedente pagata con l’anticipo della Tari.

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    Mercato Immobiliare Italia: crescono le compravendite al sud, prezzi stabili


    Like Casa|Salvatore Serio


    Importanti segnali di ripresa per quanto concerne il mercato immobiliare italiano. Dopo i lunghi e difficili anni della crisi l’intero settore sembra essere in ripresa. Sono cresciuti esponenzialmente gli investimenti e le compravendite al sud. I prezzi faticano ancora ad avvicinarsi a quelli del periodo pre-crisi e questo inevitabilmente spinge le transazioni immobiliari.

    Stando ai dati riportati dall’ Osservatorio dell’Agenzia delle Entrate i volumi delle compravendite in Italia evidenziano un buon ritmo di crescita ormai da undici trimestri consecutivi.

    Mercato immobiliare: ecco i dati

    Come detto si tratta di un trend positivo che coinvolge il mercato immobiliare con un aumento del +6,3% su base annua, pari a 152.608 transazioni registrate nell’ultimo trimestre del 2017 contro le 143.573 di un anno fa.

    Gli investimenti immobiliari si distribuiscono in maniera abbastanza omogenea in tutte le macroaree della penisola. L’unica vera differenza, come spiegato anche da “Il Sole 24 Ore”, la forbice maggiore esistente tra i capoluoghi del centro Italia +0,3% e quelli del Sud +12,2%.

    Mercato immobiliare record di investimenti al Sud

    I migliori segnali sono stati lanciati dal Sud Italia, dove è stata registrata la crescita maggiore sulle compravendite nel mercato immobiliare. Il tipo di immobile più ricercato è quello compreso tra gli 85 e i 115 mq, con picchi di crescita che sfiorano il +11,1%.

    Positivi i dati concernenti i maggiori mercati della penisola, dove nei principali capoluoghi gli scambi immobiliari si sono posizionati su un +3,4%.

    L’Ufficio studi di Tecnocasa, inoltre, ha analizzato l’andamento delle compravendite immobiliari nelle grandi città nel corso del 2017 e in gran parte hanno fatto registrare un sensibile aumento delle transazioni.

    In cima a questa particolare graduatoria c’è la città di Bari che ha fatto segnare un +15,1% rispetto al 2016. Seguita da Milano +8,1%, Verona 8%, Palermo 7,9%, Firenze 7,8% e Napoli +7,4%.

    Inferiore l’aumento delle altre grandi città italiane: Torino +4,9%, Genova 3,3% e Roma 3,0%. Ovviamente i grandi centri hanno avvertito maggiormente la ripresa del mercato immobiliare.

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    Occupazione abusiva di un immobile, il risarcimento del danno tocca allo Stato




    Sentenza sicuramente destinata a far discutere e che apre un precedente importante. Il Tribunale di Roma ha condannato lo Stato italiano e il Ministero dell'Interno "a pagare immediatamente", a titolo di risarcimento del danno, la somma di 28 milioni di euro al proprietario di un immobile occupato abusivamente dal 2009.

    La sentenza 13719/2018 depositata il 4 luglio fa giurisprudenza. Perché si tratta della prima volta che un'omissione dell'attività dell'autorità amministrativa viene considerata presupposto di un risarcimento I motivi sono da imputarsi alla "mancata prevenzione dell'occupazione " e alla "mancata repressione". Al proprietario viene riconosciuto un danno risarcibile per il diritto di proprietà, data l'impossibilità di disporre del bene e commisurato al valore locatizio del bene stesso, e per il diritto di iniziativa economica, data l'impossibilità di realizzare l'investimento in programma.

    Le motivazioni della sentenza del Tribunale di Roma

    Nel provvedimento, come reso noto da Confediliza, si sottolinea come "L’occupazione abusiva di un intero compendio immobiliare non lede i soli interessi della parte proprietaria ma lede anche il generale interesse dei consociati alla convivenza ordinata e pacifica e assume un’inequivoca valenza eversiva. La tutela della proprietà e dell’iniziativa economica privata non è alternativa alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica ma ne costituisce una delle manifestazioni più significative unitamente alla tutela della sicurezza e della libertà delle persone”.

    La sentenza poi prosegue affermando che : “L’esecuzione degli sgomberi forzati può certamente determinare immediati, ma evidenti e limitati, turbamenti dell’ordine pubblico; la tolleranza delle occupazioni abusive, al contrario, può determinare situazioni di pericolo meno evidenti ma decisamente più gravi nel medio e nel lungo periodo. Tollerare simili occupazioni abusive può consentire il formarsi di ‘zone franche’ utili per ogni genere di traffico illecito”.

    La reazione di Confedilizia

    “Si tratta di una sentenza di estrema importanza, che ha il merito di mettere in evidenza le gravissime responsabilità di uno Stato che, tollerando per anni comportamenti illegali, lede i diritti costituzionalmente garantiti di proprietà e di iniziativa economica, incomprimibili, e mina le fondamenta della convivenza civile”.

    domenica 1 luglio 2018

    Sfratto per finita locazione: cosa succede quando l’inquilino si oppone!


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    Lo sfratto per finita locazione si verifica quando, nonostante sia arrivato il momento in cui scade il contratto di affitto, l’inquilino non lascia libero l’immobile di proprietà del locatore.

    L’intimazione di sfratto per finita locazione è regolamentata dall’articolo 657 del Codice Civile, che stabilisce come il proprietario di un immobile possa chiedere che l’inquilino vada via dalla casa affittata, perché è scaduto l’accordo che avevano pattuito inizialmente.

    Ma come avviene la procedura di sfratto per finita locazione? Eventualmente l’inquilino intimato può opporsi? Come avviene l’opposizione allo sfratto per finita locazione?

    Vediamo tutti i dettagli su come il giudice può agire nel determinare la sua decisione e come la sua ordinanza può diventare immediatamente esecutiva.

    Lo sfratto per finita locazione: come funziona

    La procedura dello sfratto per finita locazione inizia con l’intimazione da parte del locatore, che si rivolge al conduttore, invitandolo a lasciare libero l’immobile.

    Il proprietario dell’immobile cita il conduttore di fronte al tribunale del luogo in cui si trova l’immobile dato in affitto, per ottenere la convalida di sfratto per finita locazione.

    Quando il locatore invia la citazione all’inquilino, deve necessariamente specificare un avvertimento: nel caso in cui l’inquilino non compaia di fronte al giudice o se non ha motivi per i quali formulare un’opposizione, il giudice convaliderà lo sfratto nei suoi confronti.

    Per quanto riguarda lo sfratto per finita locazione, i tempi secondo la legge devono essere rappresentati da un arco temporale non inferiore a 20 giorni tra il giorno della notifica e quello dell’udienza.

    Soltanto per gravi motivi il giudice, con un apposito decreto, può dimezzare i termini temporali.

    Le parti quindi devono costituirsi in giudizio presentando i documenti necessari per poter svolgere l’udienza in tribunale.

    Dobbiamo comunque operare una distinzione tra sfratto per finita locazione e morosità.

    Può essere molto utile questa lettura:Inquilino moroso: come e quando procedere con lo sfratto!

    Anche se possono sembrare due concetti simili, in realtà sono molto differenti.

    Il primo si realizza quando il proprietario dell’immobile vuole che l’inquilino lasci l’appartamento, dopo che è scaduto il contratto d’affitto.

    Nel secondo caso, invece, il contratto non è ancora scaduto, ma il proprietario della casa data in affitto si rivolge al tribunale per mandare via dall’immobile un inquilino, perché quest’ultimo non ha pagato i canoni di locazione, secondo ciò che era stato stabilito nel contratto preventivo, oppure (è il caso di una locazione a scopo commerciale) l’inquilino ha pagato soltanto i due terzi dell’importo stabilito.

    Sfratto per finita locazione: opposizione da parte dell’inquilino

    Può capitare che durante l’udienza il conduttore si opponga allo sfratto. In questo caso però deve fornire una prova scritta delle ragioni per cui si oppone al procedimento nei suoi confronti oppure deve fornire dei gravi motivi, per i quali lo sfratto non potrebbe avvenire.

    In questa situazione si apre un procedimento di ricognizione, perché il giudice ha il dovere di accertarsi se veramente questi gravi motivi sussistano.

    Se il tribunale trova che i motivi non sono estremamente validi, il giudice pronuncia l’ordine di lasciare l’appartamento con un’ordinanza che non può essere più impugnata.

    Quindi l’ordinanza diventa esecutiva nell’immediato e il giudice può anche stabilire il versamento di una cauzione per ricompensare il proprietario della casa dei danni e delle spese sostenute.

    Se il conduttore non si presenta all’udienza, può anche opporsi alla convalida di sfratto, provando che non ha avuto una tempestiva conoscenza del fatto per forza maggiore o per eventuali irregolarità che può presentare la notificazione. Tuttavia in questo caso l’opposizione deve avvenire entro 10 giorni.

    Sfratto per finita locazione: cosa succede dopo l’udienza

    Se il proprietario dell’immobile ottiene il favore da parte del giudice durante l’udienza, sarà lo stesso giudice che fisserà la data per il rilascio dell’immobile.

    Questa costituisce un termine perentorio e il proprietario agisce in questo caso per farsi rilasciare l’immobile avvalendo anche del supporto della forza pubblica.

    Comunque l’inquilino deve essere sempre informato mediante un’apposita notifica che deve avvenire prima della scadenza del contratto stesso.

    Lo sfratto per finita locazione può essere anche un modo per il proprietario di tutelarsi e di abbreviare i tempi per ottenere la restituzione dell’immobile alla scadenza contrattuale.

    Infatti lo sfratto esecutivo in questo caso avverrà soltanto alla data di scadenza dell’accordo, ma il locatore non può richiedere le spese sostenute.

    Il vantaggio consiste che si può agire subito alla scadenza del contratto, obbligando forzatamente l’inquilino a lasciare subito l’appartamento.

    Però tutta la procedura deve avvenire sempre con un atto di citazione e un atto di convalida.

    Contributo unificato sfratto per finita locazione

    Nel caso di sfratto per finita locazione, il formulario deve essere appositamente composto con alcune informazioni fondamentali con informazioni chiare, in grado di evitare fraintendimenti e problemi che possono sopravvenire nel corso del tempo.

    La stessa chiarezza deve essere utilizzata riguardo al contributo unificato. In questo caso infatti dobbiamo ricordare che non va pagato per intero, ma nella misura ridotta del 50% rispetto a quanto per esempio si paga nello sfratto per morosità.

    In quest’ultima situazione la somma da pagare si basa sul calcolo specifico che tiene conto dell’importo totale dei canoni di locazione che l’inquilino non ha più pagato.

    Nello sfratto per finita locazione si richiede il pagamento del 50%, tenendo presenti le seguenti corrispondenze. Si tiene conto del cosiddetto valore della lite: per un valore da 0 a 1.100 euro, si deve pagare il 50% di 18,50 euro; per un valore da 1.101 a 5.200 euro, si paga la metà di 42,50 euro; da 5.201 a 26.000 euro, il 50% di 103 euro; per un valore da 26.001 a 52.000 euro, la metà di 225 euro. Lo stesso discorso vale anche quando il valore non può essere determinato.

    Per pagare il contributo unificato, si usa un bollettino di conto corrente postale o il modello F23, specificando il codice tributo 750T. Si può ricorrere anche al modulo che è disponibile in formato elettronico.

    Su questo modulo elettronico devono essere indicati con chiarezza i dati del locatore, i dati dell’inquilino e si deve applicare un contrassegno acquistabile in tabaccheria, per confermare che si è effettuato il pagamento.

    Da non dimenticare che il contributo unificato deve essere pagato obbligatoriamente per dare inizio ad una causa giudiziale, anche quando questa è di carattere civile.

    Riguardo la locazione abbiamo raccolto molte informazioni:

    Sfratto per morosità: come si attiva la procedura!


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    Lo sfratto per morosità consiste in una procedura formale che il locatore può mettere in atto per lo sfratto della proprietà, quando l’inquilino non paga più il canone di locazione inizialmente pattuito nel contratto.

    L’intimazione di sfratto per morosità deve essere messa in atto soltanto dopo che ci si è rivolti ad un tribunale civile e dopo che il giudice abbia autorizzato tale procedura.

    La procedura per lo sfratto per morosità è definita a norma di legge, secondo la decisione presa dal giudice.

    Per lo sfratto per morosità i tempi sono definiti secondo le normative vigenti in maniera molto precisa. È un dato di fatto di cui il proprietario dell’immobile deve tenere conto fin dall’inizio.

    Vediamo più in dettaglio come funziona la procedura di sfratto per morosità.

    Sfratto per morosità: procedura

    Per ottenere l’autorizzazione a procedere con lo sfratto, il proprietario dell’immobile che si ritrova alle prese con un inquilino moroso deve rivolgersi ad un tribunale civile.

    Prima può procedere con l’intimazione sfratto per morosità, rivolgendosi magari ad un avvocato. Poi chiede al giudice un provvedimento per ottenere la risoluzione del contratto di affitto, visto che l’inquilino non ha pagato più gli ultimi canoni.

    È proprio il giudice che ordina all’affittuario di lasciare entro una data l’immobile occupato. Quindi si mette in atto lo sfratto esecutivo per morosità.

    Il locatore può richiedere al conduttore anche il pagamento dei canoni scaduti mediante uno specifico decreto ingiuntivo.

    Il tutto si svolge nell’arco di circa tre mesi. Infatti nel giro di un mese si può richiedere la prima udienza al giudice e poi a questo tempo si devono aggiungere altri due o tre mesi per effettuare lo sfratto tramite l’intervento dell’ufficiale giudiziario.

    Teniamo conto anche del fatto che i tempi tra la notifica dell’intimazione di sfratto e il momento in cui il locatore e l’inquilino vengono convocati in udienza sono obbligatoriamente di almeno 20 giorni.

    Il conteggio va stabilito a partire dalla data della raccomandata con la quale l’ufficiale giudiziario comunica all’inquilino che deve lasciare libero l’appartamento.

    L’udienza potrebbe servire anche ad assicurare per uno sfratto per morosità la mediazione, in modo che si possa trovare un accordo tra proprietario dell’immobile e conduttore.

    In udienza l’inquilino può far valere la sua opposizione a sfratto per morosità, chiedendo eventualmente il termine di garanzia. Attraverso quest’ultimo, l’inquilino può chiedere di avere la possibilità di corrispondere il mancato pagamento del canone di locazione. Si tratta quindi di un tempo per sanare la morosità e mettersi in regola.

    Il giudice, considerando e valutando la condizione economica dell’inquilino, può concedere al massimo sei mesi di proroga. Tuttavia per i disoccupati, per i lavoratori in cassa integrazione, per i disabili o per inquilini che hanno più di 65 anni, il tempo di proroga può essere più lungo.

    Sfratto per morosità: cosa si fa con il decreto ingiuntivo

    Attraverso il decreto ingiuntivo, lo sfratto diventa immediatamente esecutivo. Viene inoltre fissato e notificato all’inquilino il giorno in cui deve lasciare l’appartamento per mezzo dell’intervento dell’ufficiale giudiziario.

    Nel momento in cui quest’ultimo si presenta presso l’abitazione, per attestare lo sgombro, deve redigere un verbale in cui si attesti che il locatore è tornato in possesso dell’immobile.

    Può accadere che l’inquilino si opponga allo sfratto e non lasci libero l’immobile occupato. In questa situazione l’ufficiale giudiziario deve fissare un’altra data nel giro di tre o quattro giorni e procedere con l’intervento della forza pubblica.

    Se l’inquilino moroso non paga i canoni di affitto che deve al locatore, si può procedere al pignoramento dei suoi beni.

    L’inquilino può opporsi al pagamento del canone e al procedimento di sfratto, presentando al giudice anche delle prove scritte per attestare delle specifiche cause materiali che lo hanno portato a non poter pagare il canone pattuito.

    Sfratto per morosità: i documenti utili

    Rivolgendosi al giudice del tribunale civile, il locatore, per ottenere l’udienza riguardante lo sfratto per morosità, deve presentare alcuni documenti importanti. Innanzitutto deve fornire la copia del contratto di locazione, che sia regolarmente registrato all’Agenzia delle Entrate.

    Deve anche presentare copia delle ricevute di pagamento precedenti, in cui si dimostra che nella fase iniziale l’inquilino pagava il canone di locazione, ed eventualmente anche la copia dei solleciti che il locatore ha inviato all’inquilino moroso.

    Il locatore può richiedere lo sfratto per morosità sia per un immobile adibito ad uso abitativo sia per un locale che venga utilizzato con scopi commerciali, come per esempio negozi, uffici o capannoni industriali.

    Però le condizioni variano a seconda proprio dell’uso che viene fatto dell’immobile. Secondo la legge numero 431 del 1998, nel caso di morosità di un locale residenziale, è possibile ottenere l’intimazione allo sfratto anche quando l’inquilino non paga un solo canone di affitto.

    Nel caso della locazione commerciale, invece, per l’intimazione dello sfratto, serve necessariamente che l’affittuario paghi anche un solo canone mensile, versando un minore importo rispetto a quello pattuito con il locatore.

    Quindi lo sfratto per locazione commerciale si può chiedere quando l’inquilino paga due terzi della somma pattuita.

    Sfratto per morosità: contributo unificato

    Bisogna vedere anche a quanto ammontano i costi per chi va incontro ad una procedura di sfratto per morosità. In questo caso, infatti, il proprietario dell’immobile deve rendersi conto delle spese da sostenere per essere più consapevole in base alle proprie disponibilità economiche.

    È proprio in questo senso che entra in gioco anche il cosiddetto contributo unificato di sfratto per morosità.

    Il locatore che vuole attivare la procedura di sfratto deve versare questo contributo. Esso si calcola in base al valore della lite o in base all’importo complessivo dei canoni di locazione che non sono stati pagati.

    Il contributo unificato può essere versato tramite un bollettino di conto corrente postale o per mezzo del modello F23 da presentare in banca, indicando il codice tributo 750T.

    Esiste anche un modello in formato elettronico, sul quale il locatore deve indicare i suoi dati, quelli dell’affittuario e una marca da bollo che conferma l’avvenuto pagamento.

    Sfratto per morosità: cosa scrivere nel modello per l’intimazione della convalida

    Quando si deve intimare la convalida di sfratto ad un inquilino moroso, bisogna scrivere un’apposita lettera, nella quale si sollecita anche il pagamento dell’affitto dovuto. Come oggetto della comunicazione quindi si scrive “sollecito di pagamento canone di locazione immobile sito a”, indicando la città e l’indirizzo dell’abitazione affittata.

    Ci si presenta in qualità di proprietario dell’appartamento e si fa riferimento al contratto d’affitto. Di questo devono essere indicate la data e la registrazione, comprensive anche del numero che è stato attribuito alla pratica dall’Agenzia delle Entrate.

    Poi si elencano i pagamenti dei canoni di locazione arretrati, specificando a quali mesi si riferiscono e a quanto ammonta il totale.

    Nella lettera inoltre si invita a versare i canoni dovuti entro 10 giorni dalla ricezione del sollecito, specificando che, in caso di mancato pagamento, ci si rivolgerà al giudice per lo sfratto per morosità esecutivo.

    Lo sfratto si può richiedere anche in caso di inadempimento da parte dell’inquilino. Il locatore infatti può richiedere la risoluzione del contratto di locazione quando l’inquilino viola alcuni obblighi contrattuali, rendendo grave il suo comportamento.

    Rientrano in questi casi le situazioni di subaffitto, vietato dalla legge, o di cambio d’uso che non è consentito.

    Anche in questa situazione i tempi da rispettare sono sempre quelli previsti dal tribunale per la presa in considerazione della richiesta.

    Imu 2018: cresce l’imposta sulle seconde case. Ecco le città più care d’Italia


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    L’Imu o imposta municipale unica è un’imposta sulla seconda casa, infatti in linea di massima non è previsto il pagamento sull’abitazione principale. Nella fattispecie come prima casa si intende un immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare.

    Devono fare i conti con l’Imu anche i proprietari delle case di lusso e delle seconde pertinenze, ovvero cantine e box auto. Ovviamente sono previsti anche alcuni casi di esenzione dal pagamento dell’imposta municipale unica: per gli alloggi assegnati dagli Istituti autonomi, per le case popolari e per le unità immobiliari appartenenti a cooperative edilizie. L’esenzione è riconosciuta anche agli studenti universitari assegnatari degli immobili.

    Imu 2018: ecco le città più care d’Italia

    Stando i dati sull‘Imu forniti dal Servizio Politiche Territoriali della Uil, nella classifica delle città più care a livello nazionale al primo posto si piazza Roma seguita, com’è immaginabile, da Milano. I proprietari di seconde case nel capoluogo lombardo saranno costretti a pagare quest’anno circa 2040 euro tra Imu e Tasi. A Roma il conto totale è leggermente superiore e si attesta intorno ai 2064 euro. Tra le meno care d’Italia, sempre considerando le seconde abitazioni c’è Sondrio, dove tra Imu e Tasi i cittadini pagheranno circa 674 euro, ben al disotto della media nazionale che invece è di 1070 euro.

    Per quanto riguarda la classifica sulle seconde pertinenze, ovvero box e cantine, Milano rimane la seconda città più cara d’Italia con una media di 99 euro. Discorso diverso, invece, per le altre province lombarde molte delle quali rientrano tra le dieci città meno care d’Italia, nella fattispecie si tratta di Varese dove la spesa si attesta intorno ai 36 euro, Bergamo e Sondrio dove per una soluzione di questi tipo è necessario spendere 37 euro.

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    Agevolazioni prima casa cointestata, sì al bonus anche senza residenza



    Per usufruire delle agevolazioni per l'acquisto della prima casa non è necessario che entrambi i coniugi abbiano trasferito la residenza nel termine dei 18 mesi. A dirlo è stato una sentenza della Cassazione che ha cambiato una precedente interpretazione. A illustrarlo sono i nostri collaboratori di condominioweb.

    Articolo scritto dall'avv Maurizio Tarantino di condominoweb

    La Commissione tributaria regionale del Lazio aveva respinto l'appello proposto da Trizio avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso dal medesimo proposto avverso un avviso di liquidazione di maggiore imposta IVA emesso dall'amministrazione finanziaria in relazione all'anno di imposta 2008 a seguito di revoca dei benefici fiscali connessi all'acquisto della prima casa, nella specie effettuato in comunione dei beni con il coniuge, per non avere ivi trasferito la propria residenza nel termine decadenziale di diciotto mesi dalla stipula dell'atto.

    Per le suesposte ragioni, Tizio ha proposto ricorso in cassazione eccependo l'omesso esame della documentazione anagrafica prodotta in giudizio, attestante la residenza familiare del ricorrente nell'abitazione de qua, sostenendo che, diversamente da quanto sostenuto dai giudici di appello che ai fini della spettanza della predetta agevolazione era del tutto irrilevante, a fronte della destinazione dell'immobile a residenza familiare, che uno dei coniugi abbia la residenza in luogo diverso.

    Il ragionamento della Corte di Cassazione

    A seguito dell'espletata istruttoria di causa era emerso che era del tutto incontestato il fatto che l'acquisto dell'immobile ubicato era stato effettuato in regime di comunione dai coniugi Tizio e Caia e che quest'ultima aveva trasferito la propria residenza in detto immobile (essendo del tutto irrilevante la circostanza addotta dalla controricorrente che si era trattato di un mero "cambio di abitazione"» risultando Caia «residente in quel comune sin dalla nascita»).

    Sicché, secondo la Cassazione, la Commissione territoriale regionale, omettendo evidentemente di esaminare la documentazione anagrafica prodotta dal ricorrente, aveva disatteso l'orientamento giurisprudenziale in materia.

    Per meglio dire, in argomento, gli ermellini hanno osservato che in tema di agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa e con riguardo alla disciplina dell'art. 2 del d.l. n. 12 del 1985, convertito nella 1. 4 maggio 1985, n. 118 (applicabile "ratione temporis"), "il requisito della residenza nel comune in cui è ubicato l'immobile deve essere riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l'immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell'art. 177 cod. civ., quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso" (in tal senso Cass. n. 2109 del 28/01/2009 conf. Cass. n. 16355 del 28/06/2013 e n. 25889 del 23/12/2015).

    I precedenti della sentenza

    Secondo la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna (Ctr Cagliari sent. n. 151/2018) in tema di benefici per l'acquisto della prima casa, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, pertanto, ove l'immobile acquistato sia adibito a residenza della famiglia, non rileva la diversa residenza del coniuge di colui che ha acquistato in regime di comunione.

    In particolare, è stato precisato che i coniugi non sono tenuti ad una comune residenza anagrafica, ma reciprocamente alla coabitazione. Pertanto, un'interpretazione della legge tributaria conforme ai principi del diritto di famiglia induce a considerare che la coabitazione con il coniuge costituisce un elemento adeguato a soddisfare il requisito della residenza ai fini tributari, in quanto ciò che conta non è tanto la residenza dei singoli coniugi, quanto quella della famiglia.

    Ed ancora, secondo la Commissione Tributaria Regionale di Salerno (Ctr Salerno, sent. n. 232/2007) l'agevolazione fiscale prevista per l'acquisto della prima casa nella ipotesi in cui uno solo dei coniugi abbia la residenza nel comune dove è sito l'immobile, spetta per l'intero, sia perché uno degli elementi fisici fondamentali che assicura la formazione e l'unità della famiglia è la proprietà di una casa, sia perché in tal caso viene in evidenza come acquirente di una casa da destinare a residenza del nucleo familiare, e quindi come vero titolare del beneficio fiscale sul piano teorico.

    Difatti ai sensi del codice civile i coniugi "fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa"; quindi se uno dei coniugi ha la residenza nel comune dov'è sito l'immobile e lo occupa, mentre l'altro coniuge per suoi motivi (ragioni di lavoro, per esempio) non ha spostato la propria residenza in detto comune, la circostanza è ininfluente ai fini della concessione del beneficio fiscale.

    In conclusione, alla luce di tutto quanto innanzi esposto, con l'ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha accolto anche l'originario ricorso del contribuente.

    Acquisto casa, gli aspetti fiscali da conoscere




    Nel momento in cui si deve procedere con l’acquisto di una casa bisogna tenere presenti alcuni aspetti fiscali. Vediamo quali sono a seconda che si acquisti un’abitazione da un’impresa di costruzione oppure da un privato.

    Come sottolineato dal Consiglio nazionale del Notariato, la compravendita da imprese di costruzione o di ristrutturazione, ad eccezioni di particolari fattispecie, è soggetta ad Iva, che viene corrisposta direttamente alla società venditrice.

    L’aliquota Iva da applicarsi sul prezzo della vendita sarà:

    • pari al 10 % in assenza di agevolazioni prima casa;

    • pari al 4% nel caso in cui vengano richieste le agevolazioni prima casa.

    Lo stesso trattamento tributario è applicato all’assegnazione di case ai soci di cooperativa edilizia di abitazione.

    In caso di acquisto soggetto ad Iva, andranno inoltre corrisposte al notaio, che le verserà successivamente alla Agenzia delle Entrate, le seguenti imposte:

    • Imposta di registro: 200 euro.

    • Imposta ipotecaria: 200 euro.

    • Imposta catastale: 200 euro.

    Se invece si acquista casa da privati, le imposte di registro, ipotecaria e catastale vengono versate dalla parte acquirente al notaio che le verserà, a sua volta, all’Agenzia delle Entrate in sede di registrazione.

    In assenza di agevolazioni:

    • Imposta di registro: 9%.

    • Imposta ipotecaria: 50 euro.

    • Imposta catastale: 50 euro.

    Le aliquote si applicano di regola sul prezzo della vendita dichiarato in atto; in caso di trasferimento di immobili ad uso abitativo nei confronti di persone fisiche la parte acquirente può chiedere la liquidazione dell’imposta di registro sul “valore catastale” (prezzo-valore) dell’immobile (ossia il valore risultante dalla moltiplicazione della rendita catastale per il coefficiente di legge pari a 126), indipendentemente dall’effettivo ammontare del prezzo della vendita, ancorché superiore a tale valore.

    L’imposta minima è sempre di euro 1.000.

    In presenza di agevolazioni per l’acquisto della prima casa di abitazione:

    • Imposta di registro: 2%.

    • Imposta ipotecaria: 50 euro.

    • Imposta catastale: 50 euro.

    Le aliquote si applicano di regola sul prezzo della vendita dichiarato in atto; in caso di trasferimento di immobili ad uso abitativo nei confronti di persone fisiche la parte acquirente può chiedere la liquidazione dell’imposta di registro sul “valore catastale” (prezzo-valore) dell’immobile (ossia il valore risultante dalla moltiplicazione della rendita catastale per il coefficiente di legge pari a 115,5), indipendentemente dall’effettivo ammontare del prezzo della vendita, ancorché superiore a tale valore.

    L’imposta minima è sempre di euro 1.000.