martedì 31 maggio 2016

Mutui agevolati giovani, le offerte degli istituti di credito

Mutui agevolati giovani, le offerte degli istituti di credito

Gli ultimi dati sulle erogazioni lasciano ben sperare per il mercato dei mutui, ma è innegabile che per alcune categorie è alquanto complicato accedere a un prestito. Ecco alcune delle proposte presentate dagli istituti di credito e destinate ai giovani e ai lavoratori atipici.

Intesa Sanpaolo mutui giovani - Mutuo dedicato ai minori di 35 anni che permette di finanziare fino al 100% del vlaore della casa, con durata fino a 40 anni per il tasso fisso e fino a 30 per il tasso variabile. Si ha l'opzione di sospendere per sei mesi e per tre volte il pagamento delle rate.

Unicredit mutui giovani - Per i giovani con età inferiore a 40 anni, a tasso fisso o variabile con un loan to value massimo dell'80%, estendibile fino al 100% nel caso in cui si attivi il Fondo di garanzia per i mutui prima casa (per importi non superiori a 250 mila euro)

Mps mutuo giovani coppie - E' destinato alle giovani coppie e alle famiglie e si può scegliere di applicare come indice di riferimento i tassi della Bce.  Si può finanziare fino all'80% del valore dell'abitazione, con un minimo di 50 mila euro.

Ubi banca mutuo giovani coppie - Per le giovani coppie con meno di 40 anni e con un contratto non a tempo indeterminato. E' sufficiente lavorare da almeno 18 mesi oppure aver lavorato almeno 18 mesi negli ultimi due anni ed avere un'attuale occupazione

Credem mutuo giovani - Mutuo casa per i giovani, a tasso fisso o variabile per acquistare o ristrutturare un'abitazione. Lo spread è dello 0,99%, con durata 10 anni, per un loan to value del 50%

domenica 29 maggio 2016

Imu, Tasi, Tari: i calcoli, le scadenze e le novità per il 2016.

 

Imu, tasi, tari: calcolo, scadenze, novità

Imu, tasi e Tari: le novità 2016

Le scadenze per il pagamento di Imu, Tasi e Tari.

Con l’avvicinarsi del 16 giugno, termine ultimo per il pagamento della prima rata 2016 di Imu, Tasi e Tari, abbiamo pensato di fare un breve ripasso di aliquote, calcoli e modalità di pagamento, un po’ perché vale sempre il principio “repetita iuvant”, un po’ perché la confusione sulla triade fiscale continua, e anzi s’infittisce ogni volta che escono nuovi aggiornamenti.

Cominciamo quindi a parlare delle scadenze: come dicevamo, la prima rata da versare nel 2016 per Imu e Tasi è prevista per il 16 giugno. Il contribuente può scegliere se versare l’intero importo in un’unica soluzione o il 50% dell’imposta, posticipando il restante 50% al saldo del 16 dicembre. Per la Tari, ovvero la tassa sui rifiuti, il discorso è leggermente diverso: i versamenti devono essere effettuati alle date di scadenza delle rate fissate dall’amministrazione comunale, o in un’unica soluzione ancora una volta entro il 16 giugno.

Le aliquote dei tributi locali.

Le aliquote da applicare per l’acconto di giugno di Imu e Tasi sono quelle deliberate nel 2015, che si possono consultare sul sito del Comune o in quello del Dipartimento delle Finanze. I contribuenti che scelgono il versamento dell’importo in un’unica soluzione non dovranno temere, almeno per quest’anno, un eventuale conguaglio a dicembre visto che la Legge di Stabilità ha introdotto il blocco delle aliquote, per cui i Comuni non possono aumentare le aliquote sui tributi locali per tutto il 2016.

La Tari è composta invece da una parte fissa e una variabile: la parte fissa viene calcolata sui costi sostenuti per l'erogazione del servizio, per il cui calcolo bisogna moltiplicare i metri quadrati dell'immobile per la tariffa corrispondente al numero degli occupanti dello stesso, mentre la parte variabile è destinata a coprire i costi del servizio rifiuti integrato (raccolta, trasporto, trattamento, riciclo, smaltimento) ed è proporzionale alla quantità di rifiuti presumibilmente prodotti dal contribuente. A questo importo è necessario aggiungere il 5% per il tributo provinciale, che copre l’esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene ambientale.

Imu: novità 2016.

La Legge di Stabilità ha introdotto una serie di novità per l’Imu: vediamole.

1. Riduzione Imu per contratti a canone concordato: gli immobili locati a canone concordato hanno diritto a una riduzione Imu pari al 75% dell’imposta dovuta in base all’aliquota comunale.

2. Immobili in comodato: chi concede un immobile in comodato d’uso gratuito a un parente di primo grado (quindi un genitore o un figlio) ha diritto alla riduzione della base imponibile dell'IMU al 50%.

3. Esenzione IMU sui terreni agricoli: dal 2016 sono esentati dal pagamento dell’Imu i terreni agricoli che:

- ricadono nelle aree montane e di collina secondo i criteri della Circolare Ministeriale n.9 del 1993
- sono posseduti da coltivatori diretti (CD) e Imprenditori agricoli professionali (IAP) iscritti alla previdenza agricola
- sono destinati all’agricoltura, alla silvicoltura e all’allevamento di animali, con proprietà collettiva indivisibile
- sono ubicati nelle isole minori

Tasi: novità 2016.

Anche per l’imposta sui servizi indivisibili (Tasi) la Legge di Stabilità ha previsto delle nuove agevolazioni fiscali: scopriamole insieme.

1. Riduzione TASI per contratti a canone concordato: anche la Tasi, come l’Imu, viene ridotta al 75% dell’importo dovuto in base all’aliquota comunale per gli immobili locati a canone concordato.

2. Immobili in comodato: anche in questo caso la riduzione Tasi segue quella Imu, quindi gli immobili concessi in comodato a genitori o figli godono di una riduzione sulla base imponibile al 50%.

3. Prima casa: viene abolita la tassa sui servizi indivisibili sia per i proprietari che per gli inquilini sugli immobili residenziali adibiti a prima casa, ad eccezione delle abitazioni di lusso, ovvero quelle accatastate in categoria A/1, A/8 e A/9.

4. Beni merce: ovvero quegli immobili costruiti per la vendita diretta dall’impresa edilizia, usufruiscono di un’aliquota Tasi pari all’1 per mille, che può essere aumentata fino al 2,5 per mille o azzerata in base alle delibere comunali.

Tari 2016: qualche informazione in più.

Recentemente è uscito un approfondimento sulla Tari a cura dell’Istituto per la Finanza e l’Economia Locale (IFEL) che risponde alle domande più frequenti su questo tributo. Scopriamo insieme qualcosa di più.

- Chi deve pagare la Tari: essa è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. In caso di affitto o detenzione temporanea di durata non superiore a 6 mesi nel corso dello stesso anno solare, la tassa sui rifiuti è dovuta soltanto dal possessore dei locali, mentre dai 6 mesi in avanti il versamento è dovuto dal conbduttore o detentore.

- Bollettini precompilati: si o no? Il Comune è tenuto a informare il cittadino circa l’importo che deve pagare tramite un servizio di sportello o con l’invio di un modello di pagamento precompilato (modello F24 o bollettino postale).

- Agevolazioni fiscali: eventuali detrazioni, riduzioni o esenzioni per la Tari non vengono decise a livello nazionale ma comunale, pertanto è bene consultare le delibere delle propria amministrazione di riferimento. In generale, possibili agevolazioni sono previste per:

a. chi effettua la raccolta differenziata in appositi centri di raccolta
b. immobili occupati da un unico occupante
c. immobili utilizzati in modo stagionale e non continuativo (ma per un periodo inferiore a 183 giorni nel corso dell'anno solare), oppure qualora il proprietario viva all’estero per più di sei mesi e la casa non venga occupata da nessuno
d. in caso si verifichino disservizi nella raccolta di rifiuti
e. in presenza di famiglie in difficoltà, con handicap o anziani

Per usufruire di tali agevolazioni i contribuenti devono presentare apposita richiesta, unitamente ai documenti che attestino l’esistenza dei requisiti per godere del beneficio fiscale.

- Sanzioni per mancato pagamento: il Comune deve notificare ai contribuenti che non hanno pagato nei termini previsti un avviso di accertamento, le relative sanzioni, e a chi ha pagato tardivamente un provvedimento di irrogazione di sanzioni. La notifica dell’avviso di accertamento per la Tari deve essere effettuata entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il tributo avrebbe dovuto essere pagato o è stato pagato in maniera insufficiente.

Mutui in aumento per questo inizio 2016

 

 

Mutui in aumento inizio 2016
Il 2015 era terminato con una netta ripresa del mercato immobiliare e anche il 2016 ha avuto inizio con un trend più che positivo, soprattutto per l’erogazione dei mutui. Sembra infatti che il mercato del credito abbia avuto una definitiva scossa sbloccandosi nel mese di aprile, grazie ai mutui e ai prestiti che hanno registrato un forte incremento.

Torna la fiducia delle famiglie all’acquisto

In base al rapporto mensile dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana) nel mese appena trascorso i prestiti alla clientela sono stati pari a 1.820,3 miliardi di euro, risultando così superiori di oltre 134 miliardi all’ammontare complessivo della raccolta da clientela. Inoltre a marzo, anche il totale dei finanziamenti per famiglie e imprese ha presentato una variazione positiva nei confronti dello stesso mese del 2015. Mentre nel febbraio 2016 l’ammontare complessivo dei mutui ha evidenziato una variazione positiva del +1% nei confronti dello stesso mese di un anno fa.

Il tutto conferma la ripresa del mercato dei mutui e la fiducia delle famiglie italiane che sono tornate verso la scelta dell’acquisto. E’ bene infatti dire che da fine 2007 ad oggi i prestiti sono passati da 1.673 a 1.824,3 miliardi di euro (per le famiglie) e da 1.279 a 1.43,5 miliardi di euro per le imprese.

Record al ribasso per i tassi di interesse

Un’altra nota positiva sono i tassi di interesse sui prestiti che si attestano su livelli ancora più bassi.

Il tasso medio sulle nuove operazioni per  l’acquisto di abitazioni si trova al 2,36%, toccando il minimo storico (2,41% il mese precedente; 5,72% a fine 2007). Mentre sul totale delle nuove erogazioni di mutui circa i due terzi sono mutui a tasso fisso.

Il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese si è collocato all’1,80%, 1,70% il mese precedente e 2,03% a gennaio 2016 (5,48% a fine 2007). Infine il tasso medio sul totale dei prestiti è risultato pari al 3,16%, toccando il minimo storico (3,21% il mese precedente; 6,18%, prima della crisi, a fine 2007).

Durata dei mutui

Riguardo alla durata, prevale ancora la categoria 20 anni con il 26,3%, seguita dal lungo termine dei 30-40 anni con il 24,4%. Non si fermano invece i mutui di surroga, che fanno segnare il 48,5% delle erogazioni totali, seguite per il 40,3% dai mutui per l’acquisto della prima casa.

Decreto mutui a difesa dei consumatori

Il governo il 20 aprile scorso ha varato il decreto legislativo sui mutui attuando la direttiva europea sui “contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali”, che stabilisce maggiori protezioni per i consumatori.

Il decreto si rivolge a:

  • mutui aventi ad oggetto la concessione di credito garantito da ipoteca su un immobile residenziale;
  • mutui finalizzati all’acquisto o alla conservazione del diritto di proprietà su un terreno o su un immobile edificato o progettato.

Nello specifico, la direttiva vuole garantire un’elevata garanzia dei consumatori che sottoscrivono contratti di credito relativi a beni immobili (mutui immobiliari garantiti da ipoteche o finalizzati all’acquisto del diritto di proprietà su un immobile).  La direttiva impone, tra l’altro, che siano fornite al consumatore informazioni precontrattuali dettagliate su un Prospetto Informativo Europeo Standardizzato (PIES o ESIS), spiegazioni adeguate prima della conclusione del contratto di credito e chiarimenti in ordine al calcolo del tasso annuo effettivo globale (TAEG).

Abitazione principale: la guida fiscale sulle pertinenzeCosa sono le pertinenze dell'abitazione principale? Di quale agevolazione fiscale è possibile fruire in caso di acquisto? E il trattamento fiscale da applicare?

Pertinenza abitazione

 

Pertinenze abitazione principale

L’agevolazione fiscale prima casa si applica non solo per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale, ma anche alle cosiddette pertinenze destinate a servizio dell’immobile. Ma cosa si intende per pertinenze? E quando sono a servizio della prima casa? Quale trattamento fiscale si applica? Cerchiamo di rispondere a queste domande in maniera chiara ed esaustiva.

Cosa si intende per pertinenze dell’abitazione principale

Prima di addentrarci nelle questioni prettamente fiscali, è bene in primo luogo chiarire cosa debba intendersi per pertinenze. Ci viene in aiuto in questo caso il Codice civile che all’articolo 817 fornisce una definizione generale di pertinenze. In particolare si definiscono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa.
Sono due i presupposti che devono sussistere per parlare di pertinenze e sono:
-presupposto oggettivo: la destinazione deve essere caratterizzata dal requisito di durevolezza, da intendersi che il rapporto pertinenziale non sia meramente occasionale, e deve essere ad ornamento di un'altra cosa da intendersi come bene principale
-presupposto soggettivo: la volontà del proprietario o titolare di un diritto su entrambe le cose di porre la pertinenza in un rapporto di strumentalità funzionale nei confronti del bene principale.
La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima. Le pertinenze di un’abitazione principale sono ad esempio cantine, box e posti auto che possono essere acquistate insieme all’abitazione principale o con atto separato. L’importante è che siano a servizio e ornamento dell’abitazione principale.
Un problema che sussiste quando si parla di pertinenze riguarda la distanza. In altre parole entro quali limiti chilometrici la pertinenza può dirsi a servizio dell’immobile?
Prendiamo a riferimento un'autorimessa nel seminterrato dell'edificio dove è ubicato un appartamento o quella ubicata nei pressi del fabbricato abitativo: in questi casi è scontato che si tratti sempre di pertinenza dell’abitazione principale. Ma se l'autorimessa non si trovi nell’immediata prossimità dell'edificio? Si considera comunque pertinenza?
L’Agenzia delle Entrate sul punto non è chiara in quanto con la circolare 38/E del 12 agosto 2005 afferma genericamente che non si ha pertinenzialità quando il bene pertinenziale è ubicato in un punto distante o addirittura si trovi in un Comune diverso da quello dove è situata la prima casa. Non esiste quindi un criterio univoco e oggettivo e la valutazione va fatta caso per caso, ricordando che nei centri storici è ammesso parcheggiare l'auto in un box a una certa distanza dalla casa o dall'ufficio, e quindi l'autorimessa è pacificamente consideta quale pertinenza.
Sul punto si ricorda un’importante sentenza emessa dalla Commissione Tributaria provinciale di Savona (sentenza 8 marzo 2012, n. 15/6/12) in cui i giudici hanno stabilito che anche il box auto che non sia attiguo all’abitazione ma è effettivamente e durevolmente adibito a servire l’abitazione, essendo utilizzato esclusivamente come garage per l’auto dei proprietari si considera pertinenza e può godere dell’agevolazione prima casa.

Agevolazione prima casa per acquisto pertinenze abitazione principale

Box auto pertinenzialeDal punto di vista fiscale è il Dpr 131/1986 (Testo unico sull’imposta di registro, art.23 comma 3) a disporre che le pertinenze sono in ogni caso soggette alla disciplina prevista per il bene al cui servizio od ornamento sono destinate e quindi anche alle eventuali agevolazioni fiscali.
Quindi ne consegue che se l’immobile è stato acquistato godendo dell’agevolazione prima casa, lo stesso beneficio fiscale si applica alle pertinenze, garage, box e posto auto.
A confermarlo anche l’Agenzia delle Entrate nella sua guida on line dedicata per l’appunto all’acquisto di un immobile in cui afferma che l’agevolazione prima casa spetta allo stesso modo per l’acquisto delle pertinenze dell’abitazione qualora le stesse siano destinate in modo durevole a servizio e ornamento dell’abitazione principale per il cui acquisto si è già beneficiato della tassazione ridotta e questo anche quando la pertinenza è acquistata con un atto separato.
Ricordiamo che l’agevolazione fiscale prima casa consiste nel pagare, quando si acquista un immobile che presenta i requisiti prima casa, delle imposte più basse, in particolare:
-nel caso di acquisto da privato (o da impresa, ma con vendita esente da Iva): imposta di registro del 2%, imposta ipotecaria fissa di 50 euro, imposta catastale fissa di 50 euro
- nel caso di acquisto da impresa, con vendita soggetta a Iva: Iva al 4%, imposta ipotecaria fissa di 200 euro, imposta catastale fissa di 200 euro e imposta di registro fissa di 200 euro.
Le imposte di registro, ipotecaria e catastale sono versate dal notaio al momento della registrazione dell’atto. Per il calcolo, quando la vendita della casa è soggetta a IVA, la base imponibile è costituita dal prezzo della cessione. Per le cessioni dei fabbricati a uso abitativo e delle relative pertinenze, effettuate nei confronti di persone fisiche che non agiscono nell'esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, l’acquirente può scegliere – richiedendolo al notaio rogante - di calcolare l’imposta di registro sul valore catastale del fabbricato, anziché sul corrispettivo pagato.
Il valore catastale viene determinato moltiplicando la rendita catastale (rivalutata del 5%) per il coefficiente 110 relativo proprio alla prima casa e alle relative pertinenze.
E’ importante sottolineare che il beneficio fiscale prima casa spetta per le pertinenze classificate o classificabili nelle categorie  C2 -magazzini e locali di deposito come cantine e solai, C6 -stalle e scuderie, garage e C7- tettoie chiuse o aperte.
Inoltre l’agevolazione prima casa è fruibile limitatamente a una pertinenza per categoria catastale.

Il trattamento fiscale delle pertinenze ai fini IMU e TASI

Una volta acquistate con l’agevolazione prima casa, sulle pertinenze vanno pagate le tasse e quando si parla di tasse il riferimento è all’IMU e alla TASI. In primo luogo è bene specificare che non sono più soggetti nè a TASI, nè ad IMU gli immobili destinati ad abitazione principale e le relative pertinenze, fatta eccezione per quelli classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per i quali continuano ad essere dovute entrambe le imposte.
Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore o l’utilizzatore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
Per quanto riguarda le pertinenze dell'abitazione principale - si intendono tali esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7 – la regola base è che si possono conteggiare un massimo di tre pertinenze per un’abitazione principale.
Le tre pertinenze però devono appartenere a categorie catastali diverse, ciò significa in parole povere se ad esempio si posseggono due box per la medesima abitazione principale, il contribuente dovrà decidere quale considerare pertinenze e come tale sconta sia l’IMU che la TASI, sempre se l’immobile non è considerato di lusso o di pregio.
L’altra, la terza pertinenza, deve necessariamente essere di categoria catastale diversa, nel caso di cui sopra ad esempio un garage, C6.
L’unica eccezione riguarda due pertinenze appartenenti alla stessa categoria catastale, ad esempio cantina e solai che rientrano nella cat. C2, ed entrambe da considerarsi pertinenziali all’abitazione principale solo ed esclusivamente se accatastate insieme a quest’ultima.

Detrazione IRPEF al 50% per l’acquisto di box auto

Pertinenze casaSi ricorda infine la possibilità di fruire della detrazione IRPEF al 50% per l'acquisto di box auto già realizzati.
La detrazione non è però commisurata al costo di acquisto, ma a quello della sua realizzazione, per cui è necessario farsi rilasciare dal venditore un'attestazione da cui si evinca tale costo, scorporando quindi l'utile di vendita.
Ai fini della detrazione non bisogna fare riferimento all’importo del bonifico pagato al venditore che include anche il ricavo dell’impresa, ma a quello di costruzione dichiarato dal costruttore. L’implicazione che ne segue è che sono esclusi dal beneficio gli acquisti da privati o da imprese che non siano identificabili nella figura del costruttore stesso.

mercoledì 25 maggio 2016

Prestito vitalizio ipotecario di Intesa Sanpaolo, cos'è e come funziona

 

Normato dalla Finanziaria del 2006, ma rimasto sostanzialmente lettera morta, il prestito vitalizio ipotecario potrebbe entrare da quest'anno in una nuova fase, se le novità introdotte dal decreto del ministero dello Sviluppo economico daranno i frutti sperati. Tra i primi istituti a impegnarsi in tal senso c'è Intesa Sanpaolo, con PerTe Prestito Vitalizio.

La platea interessata è costituita da chi ha una casa di proprietà e ha superato i 60 anni. Costoro potranno ipotecare un immobile residenziale e ricevere in cambio una somma calcolata in funzione dell’età e del valore dell’immobile.

Si tratta di una pratica comune nel mondo anglosassone. Si differenza dalla nuda proprietà, perché il venire a mancare del richiedente il finanziamento non cambia l'appartenenza dell'immobile. Questa rimane in capo agli eredi, così come il debito da estinguere. La banca di piazza San Carlo ha pensato a una forma di tutela nel caso si tratti dei figli, chiamati a firmare una “lettera di consapevolezza” quando il loro congiunto fa domanda per avere un prestito.

“Il coinvolgimento dei figli maggiorenni nel processo di offerta – spiega Paolo Melone, responsabile Ufficio Prestiti e Mutui del Gruppo Intesa Sanpaolo - è coerente con l’obiettivo di rendere consapevoli tutti i possibili attori sulle caratteristiche del finanziamento e sul loro ruolo, in particolare l’aver compreso le modalità di rimborso del finanziamento. La scelta è anche in linea con l’obiettivo di rendere il PerTe Prestito Vitalizio una valida e innovativa soluzione di finanziamento per la solidarietà tra genitori e figli. Il coinvolgimento dei figli è obbligatorio così come la condivisione della scelta fatta dai genitori.”

La differenza, rispetto a un normale mutuo ipotecario, è che il debito contratto non viene estinto con restituzione a rate di capitale e interessi. La decisione di porvi fine può venire, per contro, da parte di chi lo ha sottoscritto. In qualsiasi momento e senza il pagamento di penali. Se ciò non avviene, assieme alla proprietà sarà ereditato il debito. Che varia non solo in base alla cifra ottenuta, ma anche al tempo decorso da quando è stato acceso, dato che gli interessi si capitalizzano. Sempre uguale, invece, è il tasso di interesse, determinato nel 4%, assai più elevato di quelli che si ottengono oggi per un mutuo, dato il maggior grado di rischiosità per le banche dell'investimento.

La cui restituzione da parte degli eredi può diventare particolarmente onerosa. Un finanziamento da 100.000 euro, dopo dieci anni, significa dover rimborsare quasi 150.000 euro. Ma esiste anche l'alternativa di lasciare alla banca la possibilità di vendere l'immobile fornito in garanzia. In questo caso nulla sarà più dovuto, se il prezzo di realizzo dovesse risultare inferiore al debito. Per contro, ogni eventuale eccedenza verrà restituita. La decisione va presa entro 12 mesi.

Il “loan to value” (quota dell’ammontare del prestito rispetto al valore stimato dell’immobile) va dal 24% (per i 60enni) al 60% (dagli 84 ai 90 anni), salendo all'aumentare dell'età. La minore aspettativa di vita, infatti, consente di elargire una cifra più cospicua, contando sul fatto che meno interessi andranno a sommarsi a essa. È previsto, comunque, un minimo di 30.000 e un massimo di 400.000 euro. Il valore della casa, che deve essere a uso residenziale, viene stimato da una perizia che tiene conto delle sue condizioni e del contesto immobiliare in cui è inserita.

La platea potenziale di destinatari è di oltre 8 milioni. “Un patrimonio immobilizzato che può̀ trasformarsi in una risorsa immediatamente fruibile” spiega una nota di Intesa Sanpaolo. “Tra i nostri obiettivi – sostiene Melone - c'è quello di proporre sempre nuove soluzioni per rispondere alle esigenze dei clienti, tenendo conto anche del contesto socio-economico di riferimento, che nel caso specifico è relativo a una sempre maggiore presenza di clientela senior in molti casi proprietaria di immobili che possono essere di aiuto in un’ottica di solidarietà intergenerazionale. I primi riscontri alla nuova soluzione sono positivi e diverse sono già state le manifestazioni di interesse da parte della clientela”.

Imu e Tasi: le scadenze 2016

Imu e Tasi: le scadenze 2016

 

Anche quest'anno torna l'immancabile appuntamento con le tasse sulla casa. Il 16 giugno è infatti il termine ultimo per il pagamento della prima rata dell'Imu e della Tasi 2016. Ma vediamo le scadenze di quest'anno.

Acconto imu e tasi 2016

La legge di Stabilità 2016 ha introdotto alcune importanti novità per l'imposta sui servizi indivisibili. E' stata infatti abolita la Tasi 2016 sulla prima casa, mentre continueranno a pagare i proprietari degli immobili di lusso. Per quanto riguarda l'Imu (che si paga sulle prime case di lusso e sulle seconde case), per il 2016 è stata introdotta l'esenzione per i fabbricati rurali ad uso strumentale dell'attività agricola, e i terreni di imprenditori agricoli e coltivatori diretti, oppure nel caso si trovino nei terreni montani o parzialmente montani. Per conoscere tutti gli immobili esenti Imu e Tasi

Scadenza prima rata imu e tasi 2016

Entro il 16 giugno 2016 i contribuenti a cui è dovuto il pagamento della prima rata dell'IMu e della Tasi 2016. Essi potranno scegliere se versare il 50% dell'imposta o l'intero importo in un'unica soluzione. Nel caso si scelga il versamento in due rate, il saldo dovrà essere versato entro il 16 dicembre 2016.

domenica 22 maggio 2016

Agevolazione prima casa: chiarimenti

Agevolazione prima casa: chiarimenti 

Per usufruire delle agevolazioni previste per l’acquisto della “prima casa” (detraibilità interessi per accensione mutuo) è sufficiente che uno solo dei coniugi acquirenti abbia la residenza nell’immobile oggetto dell’acquisto.

Il caso di un coniuge che proceda ad acquistare un immmobile con le caratteristiche oggettive di “prima casa” in comunione legale rientra tra le “situazioni particolari” che non sono citate dall’Agenzia delle Entrate nella sua guida “Fisco e casa: acquisto e vendita” di recente pubblicazione.

Le agevolazioni fiscali previste dal legislatore per l’acquisto della “prima casa” costituiscono una vera e propria “croce e delizia” per il contribuente italiano essendo il prodotto di una legislazione che nel tempo si è stratificata in un corpus complesso e di non sempre facile interpretazione. Proprio per questa ragione l’Agenzia delle Entrate ha provveduto ad editare una sorta di vademecum titolato “Fisco e casa: acquisto e vendita” nel quale sono state esposte in maniera alquanto approfondita le regole previste per poter usufruire delle molteplici agevolazioni fiscali previste dal legislatore nel caso in cui il contribuente intenda accostarsi alla proprietà immobiliare. Tuttavia occorre chiarire che il volumetto dell’Agenzia dellem Entrate purtroppo omette di menzionare alcune “situazioni particolari” assai diffuse, che sono state oggetto dell’attenzione della Suprema Corte di Cassazione che, fortunatamente, le ha risolte a favore dei contribuenti.

A questo proposito, è opportuno, in primo luogo, ricordare che il diritto alle agevolazioni spetta anche al coniuge del contribuente che ha effettuato l’acquisto, in comunione legale, nel caso in cui solo quest’ultimo abbia trasferito la residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile, nei 18 mesi successivi al rogito. Ciò per il principio in base al quale il coniuge diviene comproprietario [1] con diritto alle agevolazioni, anche se sprovvisto dei requisiti di legge, sussistenti solo in capo al coniuge acquirente e che l’acquisto della comproprietà da parte dei coniugi si differenzia dall’acquisto in comune poiché colui che diviene proprietario di metà del bene che, acquistato dal coniuge, è fatto ricadere nella comunione legale, non si rende “acquirente” dello stesso, ma lo riceve in forza di una disposizione di legge. Ne consegue che il coniuge proprietario in comune dell’immobile acquistato, in forza della comunione dei beni, non è tenuto a possedere i requisiti soggettivi “prima casa”, tanto più perché i coniugi non sono tenuti a una comune residenza anagrafica, ma reciprocamente alla coabitazione [2]. Un’interpretazione della legge tributaria conforme al diritto di famiglia comporta quindi che la coabitazione con il coniuge acquirente soddisfa il requisito della residenza ai fini tributari (in altre parole: la residenza anagrafica dei due coniugi non necessariamente deve coincidere essendo tranquillamenete possibile che nell’immobile oggetto dell’acquisto agevolato i coniugi abbiano semplicemenete un domicilio comune e non entrambi la residenza anagrafica). D’altro canto va tenuto opportunamente in considerazione il fatto che la giurisprudenza afferma che la separazione legale (non quella “di fatto”) “trasformi” la comunione legale sull’abitazione in una contitolarità indivisa, dalla quale non si può far discendere la preclusione al godimento dell’agevolazione per un altro acquisto nel medesimo Comune [3].

Nemmeno l’assegnazione dell’ex casa coniugale in sede di divorzio preclude la possibilità di avvalersi dell’agevolazione [4]: la legge nega invece il beneficio nel caso in cui l’acquirente abbia disponibilità di un altro immobile di proprietà o in conseguenza della titolarità di un diritto reale, mentre la disponibilità dell’ex casa familiare derivante dal provvedimento giudiziale di assegnazione del giudice della separazione o del divorzio integra un diritto personale di godimento di natura atipica [5] e consente quindi di accedere nuovamente ai benefici.

Tra gli altri chiarimenti in materia agevolazioni per l’acquisto della “prima casa” che nel tempo sono stati forniti da parte della giurisprudenza, è poi opportuno ricordare che il possesso di un’altra abitazione non necessariamenete preclude la fruizione delle agevolazioni: se, infatti, per dimensioni e caratteristiche, l’immmobile di proprietà dovesse risultare inidoneo agli effettivi bisogni abitativi del contribuente e della famiglia, un ulteriore aquisto agevolato è lecito [6].

Inoltre, non si concretizza la decadenza del contribuente dall’agevolazione nel caso in cui proceda ad un idoneo acquisto, anche a titolo gratuito, entro il periodo di un anno [7]. È possibile, poi, usufruire delle agevolazioni fiscali previste per l’acquisto della “prima casa” per l’acquisto di un’autorimessa da ristrutturare e trasformare a uso residenziale a patto che sussistano le altre condizioni di legge [8]. Sono riconosciute spettanti, infine, le agevolazioni per l’acquisto di un lastrico solare a patto che sia pertinenza civilistica dell’abitazione agevolata di proprietà esclusiva dell’acquirente [9].

Per quanto riguarda il regime impositivo sui redditi retraibili dalla locazione di un immobile residenziale noto come “cedolare secca”, l’Agenzia delle Entrate [10] è intervenuta per precisare che tale regime trova applicazione anche per le pertinenze locate con contratto separato e successivo rispetto a quello relativo all’immobile abitativo principale, a condizione che il rapporto di locazione intercorra tra le medesime parti contrattuali, nel contratto di locazione della pertinenza si faccia riferimento al contratto di locazione dell’immobile abitativo e sia evidenziata la sussistenza del vincolo pertinenziale con l’unità abitativa già locata, senza limiti numerici di pertinenze, ad esclusione delle sublocazioni, i cui redditi rientrano tra quelli “diversi” [11] e non tra i fondiari.

Circa l’agevolazione consistente nella detraibilità di parte degli interessi sui mutui accesi per l’acquisto dell’abitazione principale nel caso in cui il mutuo sia cointestato con il coniuge fiscalmente a carico – giuste istruzioni ai modelli UNICO (pag. 45) e 730/2014 (pag. 36) – il coniuge che sostiene interamente la spesa ha la possibilità fruire della detrazione per entrambe le quote di interessi passivi, entro la somma massima di euro 4.000 annui.

[1] Ai sensi dell’articolo 177 del Codice civile e Cass. sent. n. 14237/2000, 8463/2001, 2109/2009; 15426/2009, 16355/2013.

[2] Secondo quanto previsto dall’articolo 143 del Cod.civ.

[3] Cass. sent. n. 3931/2014.

[4] Cass. sent. n. 2273/2014.

[5] Cass. sent. n. 11096/2002.

[6] Cass. sent. n. 100/2010; n. 2273/2014; n. 3931/2014.

[7] Cass. sent. n. 5689/2014 e 16077/2013.

[8] Cass. sent. n. 14396/2013.

[9] Cass. sent. n. 6259/2013 secondo cui il 3° comma della nota II-bis ha un valore che non può essere considerato esaustivo delle pertinenze agevolabili (non limitate alle categorie catastali C/2, C/6 e C/7) e non richiede un censimento unitario con l’immobile principale.

[10] Agenzia delle Entrate, Circolare 26/2011, § 1.2

[11] Art. 67, comma 1, lettera h) del TUIR.

Caldaia non a norma: cosa rischiano proprietario e inquilino

Caldaia non a norma: cosa rischiano proprietario e inquilino

Chi non effettua la manutenzione della caldaia può essere punito al pagamento di una sanzione amministrativa, rischiando di dover sborsare ingenti somme di denaro. Vediamo a cosa si va davvero incontro.

Mancata manutenzione caldaia: cosa rischio?

Sanzioni salatissime: è questo il rischio che corrono proprietari e inquilini di unità immobiliari le cui caldaie non siano periodicamente manutenute e controllate da un tecnico specializzato e abilitato.

Basti pensare che la multa amministrativa parte da un minimo di 500 euro fino a sfiorare anche i 3.000 euro [1].

In particolare, sono i Comuni sopra i 40.000 abitanti ad aver posto in essere una vera e propria campagna contro i furbetti, dando il via ad attività ispettive per controllare il rispetto dell’obbligo di controllo e manutenzione degli impianti di riscaldamento domestici. L’ispezione non è automatica, ma scatta a campione attraverso la verifica del mancato pagamento del c.d. bollino blu o l’invio del rapporto di controllo e qualità dei fumi ai database istituiti allo scopo nelle Regioni. Viene effettuata previo avviso con raccomandata A/R, concordando data e ora della verifica. Il bollino blu è la certificazione che attesta il corretto funzionamento della caldaia e quindi dell’impianto istallato nell’appartamento e viene rilasciato proprio a seguito dei controlli di cui abbiamo detto, tesi alla verifica dell’integrità della caldaia, del suo funzionamento e circa l’emissione di sostanze inquinanti, rilasciate attraverso i fumi di scarico, che devono obbligatoriamente rientrare nei limiti fissati dalla legge.

Il pagamento della multa non è la sola sanzione prevista: a confermare la politica del pugno duro contro chi viola le norme in materia, anche l’addebito al proprietario o all’inquilino dell’onere derivante dal controllo che può variare dai 50 ai 200 euro per gli impianti domestici, ma può arrivare al migliaio di euro nel caso di impianti di grandi dimensioni (come industrie, strutture commerciali, uffici, ecc…).

Sono previste sanzioni pure per la mancanza del libretto di impianto (da 100 a 600 euro) e per il mancato invio alla Pubblica Amministrazione competente della dichiarazione di avvenuta manutenzione (da 50 a 300 euro).

[1] Art. 15, d.lgs. n. 192/2005, del 19 agosto 2005.

sabato 21 maggio 2016

Decreto banche, le novità per il mercato immobiliare

Decreto banche, le novità per il mercato immobiliare

Misure che “permetteranno di ridurre drasticamente i tempi per il recupero dei crediti”. Così il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha definito il contenuto del decreto legge 59/2016, pubblicato in gazzetta ufficiale il 3 maggio. L'obiettivo principale è, infatti, quello di accelerare la gestione delle sofferenze bancarie, che ostacolano l'erogazione di crediti, soprattutto nei confronti delle imprese. Dai pignoramenti "veloci" alla riduzione dei tempi delle aste, vediamo quali sono le novità che riguardano il mercato immobiliare

Inadempimento rate mutuo

Sono gli imprenditori i destinatari della novità più rilevante introdotta dal testo: la possibilità, da parte della banca, di entrare in possesso dell'immobile posto in garanzia di un finanziamento, in caso non vengano pagate tre rate (anche non consecutive) per un periodo superiore a sei mesi. Questo “metodo accelerato” non può valere, però, se il bene ipotecato è l'abitazione del debitore.

Nel caso in cui la rata non abbia scadenza mensile, l’inadempienza può scattare anche per il mancato rispetto di una singola scadenza, fermo restando il termine di sei mesi per rientrare dal mancato pagamento. Il pignoramento dell'immobile da parte dell'istituto di credito non sarà, comunque, automatico. E toccherà proprio a quest'ultimo definire le procedure. Un perito dovrà farne la valutazione.

La nuova norma potrà anche essere inserita nei contratti in essere, con una rinegoziazione degli stessi, fornendo un’ulteriore spinta anche per il recupero delle sofferenze legate ai finanziamenti esistenti,. Secondo Padoan, le normative approvate dal 2015 a oggi hanno già portato a un abbattimento di tre anni della media dei tempi di recupero dei crediti.

Pegno non possessorio

L'imprenditore potrà fornire anche un'altra forma di garanzia, quella mobiliare relativa a beni utilizzati nell'esercizio dell'impresa. Si tratterà di “pegno non possessorio”, il che vuol dire che il debitore può continuare a utilizzare il bene, non essendo costretto a consegnarlo al creditore, fino a che non dovesse esigerlo per mancata restituzione del finanziamento.

Registro procedure esecutive immobiliari

La creazione di un mercato dei “Non performing loans” (Npl), nelle intenzioni del governo, dovrà essere favorita dall'istituzione di un registro delle procedure di espropriazione immobiliare, di insolvenza e delle ristrutturazioni aziendali, sul modello della banca dati statunitense Pacer. Vi avranno accesso la Banca d’Italia, per la sua funzione di vigilanza, ma anche ai creditori e agli acquirenti dei crediti deteriorati. Sarà istituito analogo registro anche per i pegni non possessori.

Il decreto prevede, inoltre, al fine di dare tempi più rapidi stabilisce, alle procedure di espropriazione forzata, che uno stesso bene non possa essere messo all'asta per più di tre volte. Una novità rilevante vista la frequenza allo stato attuale, dei pignoramenti che sono seguiti da innumerevoli aste, che danneggiano sia il creditore, il quale fa fatica a recuperare quanto gli spetterebbe, che il debitore, destinato a rimanere moroso nonostante abbia perso l'immobile. 

La nuova disciplina stabilisce che se l’immobile pignorato non dovesse essere venduto entro il terzo tentativo, la procedura esecutiva verrà chiusa e il bene tornerà di proprietà del debitore. Il giudice può, tuttavia, disporre una quarta asta quanto il terzo tentativo di vendita sia stato disertato. Il prezzo base di vendita potrà essere inferiore al precedente, ma non oltre la metà.

La riforma prevede che gli interessati all’acquisto dell’immobile possano visionarlo entro 7 giorni dalla richiesta, avanzata attraverso il portale delle vendite pubbliche. Il creditore può partecipare all’asta, con la facoltà di indicare come effettivo acquirente un soggetto terzo, che non sia presente alla procedura.

Il capo II del dl è dedicato, invece, agli investitori delle banche in liquidazione, ovvero coloro che hanno acquistato obbligazioni della Cassa di Risparmio di Ferrara, della Banca delle Marche della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e della Cassa di risparmio di Chieti, tutte in liquidazione coatta amministrativa. Coloro che hanno perso i loro risparmi acquistando titoli di credito emessi da questi istituti potranno accedere al Fondo interbancario di tutela dei depositi per ottenere un indennizzo forfettario.

Altre novità introdotte dal decreto sono la velocizzazione delle procedure fallimentari attraverso l'uso delle tecnologie telematiche, l'acquisizione della Sga (società creata nel 1996 per il salvataggio del Banco di Napoli) da parte del Tesoro (era nel patrimonio di Intesa Sanpaolo), da utilizzare per acquisire e e gestire crediti e altre attività non immobiliari, una proroga per la durata del fondo di solidarietà per la gestione degli esuberi bancari.

giovedì 19 maggio 2016

Cosa scaricare nel 730 se si vive in affitto

Tra le spese che il contribuente può scaricare nella dichiarazione dei redditi, il modello 730/2016, vi sono i canoni di locazione pagati per l’abitazione principale. Chi vive in affitto infatti può fruire di una serie di sconti fiscali che hanno misura diversa a seconda della tipologia di contratto stipulato con il proprietario di casa e del reddito prodotto. 

Gli inquilini che hanno stipulato o rinnovato un contratto a canone libero hanno diritto ad una detrazione dall’Irpef di 300 euro se il reddito complessivo non supera i 15.493,71 euro annui e di 150 euro se il reddito complessivo è compreso tra 15493,72 e 30.987,41 euro. La detrazione cambia se invece è stato stipulato un contratto a canone concordato. In questa tipologia contrattuale le condizioni vengono stabilite dagli accordi locali fra le organizzazioni più rappresentative dei conduttori di proprietà edilizia e inquilini, per abitazioni nei Comuni ad alta tensione abitativa in elenco Cipe (capoluoghi di provincia, molti centri di medie dimensioni e i Comuni limitrofi a Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia). La durata del contratto a canone concordato non può essere inferiore a 3 anni, rinnovabile tacitamente per altri 2 (3+2). In presenza di un contratto a canone concordato, la detrazione fiscale è di a 495,80 euro se il reddito complessivo non supera i 15.493,71 euro annui e 247,90 euro se invece è compreso tra 15493,72 e 30.987,41 euro.

Per i giovani tra i 20 e i 30 anni, con un reddito complessivo non superiore a 15.493,71 euro che stipulano un contratto di locazione relativo all’abitazione principale diversa da quella dei genitori, per i primi tre anni spetta una detrazione di 991,60 euro. Ma possono scaricare nella dichiarazione dei redditi i canoni di locazione anche chi trasferisce la propria residenza in un’altra regione e in un comune distante almeno 100 chilometri dal precedente per motivi di lavoro. In tal caso lo sconto fiscale ha durata massima di 3 anni e importo variabile 991,60 euro, se il reddito complessivo è fino a 15.493,71 euro, a 495,80 euro, se invece il reddito sale fino a 30.987,41 euro. Per chi ha figli che frequentano un’università lontano da casa e stipulano un contratto d’affitto relativo ad un intero appartamento o ad una singola stanza, p possibile scaricare nel modello 730 i canoni pagati. Per ottenere lo sconto fiscale, l’università deve trovarsi in un comune distante almeno 100 chilometri da quello di
residenza dello studente e appartenere a una provincia diversa. L’importo massimo su cui calcolare la detrazione è di 2.633 euro annui e lo sconto fiscale sarà dunque di 500,27 euro. Se i figli universitari sono due, entrambi titolari ciascuno di un contratto di locazione ed entrambi a carico dei genitori, ognuno di questi ultimi potrà beneficiare della detrazione dall’Irpef del 19% sull’importo massimo di 2.633 euro. La detrazione per i canoni di locazione è applicabile solo agli studenti universitari fuori sede, e non a coloro che frequentano un master o un corso di specializzazione, così come è esclusa per chi è iscritto agli istituti tecnici superiori che non sono equiparati ai corsi di laurea universitari.

Infine per il solo triennio 2014 – 2016, è riconosciuta ai titolari di contratti di locazione di alloggi sociali compete una detrazione di 900 euro, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro, e di 450 euro, se non supera 30.987,41 euro. Per fruire delle detrazioni è necessario presentare a chi presta assistenza fiscale, il proprio commercialista o un Caf, il contratto di locazione e le quietanze di pagamento del canone.

Comprare casa con leasing immobiliare: 10 cose che devi sapere

Comprare casa con leasing immobiliare: 10 cose che devi sapere

La legge di Stabilità 2016 ha esteso il leasing immobiliare anche alle persone fisiche, introducendo una serie di agevolazioni fiscali per chi acquista la prima abitazione. Vediamo quali sono le risposte ai dubbi più frequenti elaborate dal Mef insieme ad Assilea.

1. Chi è il proprietario dell’immobile?
Nel contratto di leasing finanziario “prima casa”, la società di leasing è proprietaria dell’immobile fino a che l’utilizzatore non eserciti l’opzione finale di acquisto (riscatto). Una volta esercitata l’opzione finale di acquisto si perfeziona il trasferimento del diritto di proprietà dalla società di leasing al soggetto utilizzatore.

2. È obbligatorio esercitare l’opzione finale di acquisto (riscatto)?
No. L’opzione finale di acquisto rappresenta una facoltà dell’utilizzatore il quale può anche scegliere di non esercitarla. In tal caso deve restituire l’immobile alla società di leasing.

3. In quale modo il cliente dimostra di possedere i requisiti per le detrazioni IRPEF previste in caso di stipula di un leasing immobiliare abitativo?
Il requisito principale richiesto per il riconoscimento delle detrazioni IRPEF è che il reddito complessivo dell’utilizzatore non sia superiore a 55.000 euro su base annua; tale reddito è desunto dall’ultima dichiarazione dei redditi disponibile. Tutti i requisiti cui sono subordinati il riconoscimento e la misura delle detrazioni IRPEF (reddito annuo, non titolarità dei diritti di proprietà di altri immobili abitativi, età) sono, peraltro, facilmente riscontrabili dall’Agenzia delle Entrate in sede di verifica, in quanto dati già in possesso degli Uffici finanziari o dalla stessa facilmente acquisibili.

4. Se una coppia è cointestataria di un leasing prima casa e possiede entrambi i requisiti (ciascuno un reddito complessivo non superiore a 55.000 euro e un’ età inferiore a 35 anni) cosa succede?
Si considera il reddito complessivo per singola persona e le agevolazioni IRPEF sono ridotte al 50% (salvo il caso di coniuge fiscalmente a carico). Pertanto ciascuno può detrarre il 19% del canone leasing con un limite massimo di 4.000 euro e il 19% con un limite massimo di 10.000 euro al momento del riscatto. 5. Sul contratto di leasing si deve pagare l’imposta sostitutiva come nel mutuo? No. Contrariamente al mutuo per il quale è prevista l’imposta sostitutiva dello 0,25% sull’importo mutuato, nel leasing non si deve pagare alcuna imposta sostitutiva.

6. Cosa succede quando il contratto di leasing è stato stipulato prima dei 35 anni ma questa età venga superata prima del 31 dicembre 2020? Nulla. Le condizioni dell’età e del reddito complessivo devono essere soddisfatte esclusivamente al momento della stipula del contratto di leasing.

7. Chi paga IMU, TASI e TARI in caso di leasing prima casa?
IMU, TASI e TARI, a norma di legge, sono a carico dell’utilizzatore (e non del concedente proprietario) il quale se utilizza direttamente l’abitazione come propria dimora abituale, non sarà tenuto al pagamento né dell’IMU né della TASI, dal cui pagamento sono esentati gli immobili destinati ad abitazione principale dei titolari. Da tale esenzione sono escluse le abitazioni censite nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

8. Posso acquisire in leasing qualunque immobile per usufruire delle agevolazioni fiscali previste dalla Legge di Stabilità 2016?
Sì, per quanto riguarda le detrazioni IRPEF che prescindono dalle caratteristiche oggettive dell’immobile e possono pertanto riguardare anche immobili censiti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. No, per quanto riguarda le agevolazioni per acquisto “prima casa” (registro all’1,5%) non applicabili a immobili censiti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

9. Se il cliente ha più di 35 anni può acquistare l’abitazione principale con un leasing?
Il leasing immobiliare abitativo può essere stipulato da qualsiasi persona fisica a prescindere dalla età, dal reddito e dalla proprietà di altri immobili abitativi; sono invece subordinate a specifici requisiti soggettivi e/o oggettivi le agevolazioni fiscali previste dalla Legge di Stabilità 2016: - le detrazioni IRPEF vengono riconosciute solo a soggetti con reddito inferiore a 55.000 euro, che non siano titolari dei diritti di proprietà su altri immobili abitativi, e in misura diversa a seconda dell’età (sopra o sotto i 35 anni); - le agevolazioni “prima casa” in tema di imposta di registro vengono riconosciute solo ad abitazioni diverse da quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 e solo nel caso in cui l’utilizzatore possieda i requisiti soggettivi per accedere a tale tipo di agevolazione.

10. Cosa succede se il contratto di leasing è risolto perché il cliente non paga più i canoni di leasing?
A seguito della risoluzione il concedente ha diritto alla restituzione del bene. Al tal fine può avvalersi del procedimento per convalida di sfratto previsto per le locazioni ordinarie. Ottenuto il bene il concedente dovrà procedere alla vendita o alla ricollocazione del bene a valori di mercato, attenendosi a criteri di trasparenza e pubblicità (in sostanza ricorrendo 

mercoledì 18 maggio 2016

Manutenzione caldaia: come e perché farla funzionare bene

Quanto contante si può prelevare in banca dopo il 2016

 

Voglio prelevare oltre 3000 euro dal conto corrente ma il dipendente della banca mi ha detto che è meglio farlo in due soluzioni, altrimenti verrò segnalato per violazione della legge sull’antiriciclaggio: è vero?

Anche dopo la modifica del limite di utilizzo del denaro contante, che dal 1° gennaio 2016 non è più mille euro ma tremila, non ci sono limiti (così come mai ci sono stati) al prelievo di soldi in contanti dal conto corrente bancario o postale; sia che ciò avvenga allo sportello che dal bancomat (salvo, ovviamente, in quest’ultimo caso, il limite giornaliero al prelievo che la carta consente solo per ragioni di sicurezza, onde preservare il correntista in caso di furto della carta stessa).

Così, in teoria, il proprietario del conto corrente o il suo delegato alla firma potrebbe prelevare dal conto anche un importo superiore a 3.000 euro senza incorrere nella violazione della normativa sulla tracciabilità. Questo perché i limiti all’uso del contante sono posti dalla legge esclusivamente in caso di trasferimenti del denaro tra soggetti diversi (a qualsiasi titolo essi siano: donazioni, vendite, mutuo, ecc.). Invece, nel caso di versamenti e prelievi sul o dal conto corrente, il denaro resta nella titolarità del medesimo soggetto, il correntista. All’atto del versamento del denaro sul conto, infatti, il correntista non trasferisce alla banca o alla posta la proprietà delle somme, ma solo l’obbligo di custodia.

Come dicevamo, a partire dal 1° gennaio 2016, e per effetto della Legge di Stabilità 2016 [1], il limite all’utilizzo dei contanti è salito da mille a tremila euro. Ma questo non toglie che si possa prelevare dal conto una somma anche superiore a tale tetto.

Leggi anche: “Quanto contante si può versare in banca

Anche l’Associazione Bancaria Italiana ha osservato come il presupposto necessario affinché trovino applicazione le limitazioni all’uso dei soldi in contanti sia rappresentato dal trasferimento di denaro contante stesso. Tale presupposto, invece, non si realizza per effetto delle operazioni di versamento e di prelievo allo sportello o al bancomat.

La soluzione fornita dall’Abi è stata poi ulteriormente confermata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con una circolare del 2012 [2].

È quindi possibile prelevare allo sportello somme in contanti oltre la soglia dei 3.000 euro, in quanto con l’operazione non risulta effettuato alcun trasferimento di denaro in favore di un soggetto diverso.

Come detto, infatti, il presupposto della violazione è rappresentato dal trasferimento di denaro (oltre soglia) tra due soggetti diversi. A seguito dell’operazione di prelievo, invece, il soggetto interessato continua a mantenere la disponibilità della somma di denaro che, anteriormente all’operazione, era depositata sul conto corrente a lui intestato.

La conseguenza è che nessun impiegato di banca potrà mai impedire al cliente un prelievo di denaro per importi oltre il limite della tracciabilità. La filiale dell’istituto di credito, tuttavia, potrebbe valutare se sussistano i presupposti per effettuare la segnalazione di “operazione sospetta” al vertice della banca; quest’ultimo, qualora lo ritenga opportuno, potrebbe interessare la UIF, l’Unità di Informazione Finanziaria che, a sua volta, se vi è sospetto di reato, ne darà comunicazione alla Procura della Repubblica.

In ogni caso, il consiglio è sempre quello di mantenere un registro sull’uso delle somme prelevate, quando di consistente importo, perché resta sempre la possibilità per l’Agenzia delle Entrate di inviare richieste di chiarimenti, anche dopo alcuni anni, nel caso in cui vi sia il sospetto di utilizzo del denaro per scopi di investimento e, quindi, come fonte di reddito non dichiarato.

[1] Art. 1, co. 898, Legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015) che ha modificato l’art. 49 co. 1, d.lgs. n. 231/2007.

[2] Min. Econ. circolare n. 2 del 16.01.2012.

domenica 15 maggio 2016

Mercato immobiliare, parlano Abi e Agenzia delle Entrate

 

Il mercato immobiliare sembra allontanarsi dal suo periodo più nero, ma i prezzi restano in calo: a stabilirlo una volta per tutte è l’ultimo rapporto immobiliare dell’Agenzia delle Entrate per il settore residenziale, condotto assieme all’Abi.

Le compravendite immobiliari nel settore abitativo, nel 2015, sono aumentate del 6,5% rispetto all’anno precedente – consolidando il recupero del 2014, che è stato il vero e proprio anno di svolta del settore dalla crisi del 2008 (anche se in qualche modo “drogato” dall’entrata in vigore di un nuovo regime di imposte di registro).  Il numero di transazioni si è attestato a 449mila, che pur sembra piccola cosa rispetto alle 877 mila compravendite del 2007.

Altro fattore sintomatico di una ripresa del settore è quello che Abi ha chiamato “indice di affordability”, vale a dire la possibilità delle famiglie italiane di comprare casa (pur indebitandosi): continua a crescere (+2,1% rispetto al 2014) e, secondo le proiezioni mensili, a marzo avrebbe raggiunto il valore dell’11,9%. Il miglioramento è dovuto, essenzialmente, alla riduzione drastica del costo dei mutui casa e alla contrazione dei prezzi, che fa migliorare il rapporto tra valore della casa e reddito disponibile per sostenerne l’acquisto.

I prezzi, dicevamo: continuano a calare (-2,4% in un anno), tant’è che il valore degli scambi è cresciuto del 5,4% – meno della variazione delle compravendite (come detto del 6,5%). Nel primo trimestre del 2016, tuttavia, il prezzo di una casa media è aumentato di 2 decimi di punto rispetto al trimestre precedente.

Quasi una compravendita su due (il 45% degli acquisti) è stata possibile grazie alla sottoscrizione di un  mutuo ipotecario): il capitale erogato totale è cresciuto del 19,4%, passando da 19,3 miliardi a 23 miliardi. La dimensione media dell’immobile residenziale acquistato è stata di 106 metri quadri.

Mercato immobiliare in ripresa: +6,5% crescono gli acquisti-crescono le famiglie che possono accedere a un mutuo e continuano a calare i prezzi degli immobili

(Ansa)

«Nel 2015 il mercato immobiliare delle abitazioni, dopo la lunga e ripida discesa osservata dal 2007, sembra essere tornato su un sentiero di crescita (449.000 transazioni normalizzate, ndr), confermando e superando (del 6,5%) il dato positivo dell'anno precedente (421.000)». È quanto si legge nel Rapporto immobiliare dell'Agenzia delle Entrate e dell'Abi per il settore residenziale.

Osservatorio del mercato immobiliare

Indice affordability sale a 11,9% a marzo, record storico
Non a caso nel 2015 l'indice di “affordability “elaborato da Abi, che misura la possibilità delle famiglie di comprare casa indebitandosi, continua nel suo trend positivo, registrando un significativo miglioramento che, nel secondo semestre dell'anno, lo porta a stabilire il nuovo massimo storico. Secondo le proiezioni mensili, a marzo del 2016 l'indice sarebbe ulteriormente migliorato raggiungendo il valore dell'11,9%.

Entrate-Abi: compravendite +6,5% a 449.000 nel 2015
Nel far presente che «il mercato mostra comunque ancora livelli lievemente inferiori a quelli della fine degli anni '80», il rapporto sottolinea che «il dato del 2015 consolida comunque il trend positivo riscontrato già nel 2014, segnando un inequivocabile segnale di ripresa. Se, infatti, la crescita registrata nel 2014 era in realtà influenzata dagli effetti che ha avuto sul mercato l'entrata in vigore, dal 1° gennaio 2014, del nuovo regime delle imposte di registro, ipotecaria e catastale applicabile agli atti di trasferimento a titolo oneroso di diritti immobiliare - spiega lo studio - il dato del 2015 rappresenta un dato di crescita tout court (+6,5%)».

Calo tassi interessi tra i fattori della ripresa
Le cause di questa ripresa del mercato residenziale dipendono, secondo il rapporto, da quattro fattori. «In primo luogo, dal fatto che per un bene d'uso come l'abitazione è inevitabile che oltre certi livelli è difficile scendere, in quanto le necessità alla base dell'acquisto, per quanto rinviabile, imporranno, prima o poi, la realizzazione dell'acquisto medesimo. In secondo luogo, la complessiva congiuntura economica inizia a dare segnali, seppure non esaltanti, di ripresa che si riflettono, in particolare, sui diversi indicatori che misurano la fiducia delle famiglie». In terzo luogo, «i tassi di interesse sono ulteriormente diminuiti ed il credito delle banche è aumentato». I dati contenuti nel Rapporto al riguardo mostrano che nel 2015 gli acquisti effettuati con mutuo ipotecario (limitando l'osservazione a quegli acquisti effettuati con ipoteca iscritta sull'abitazione acquistata) sono incrementati del 19,5% e il tasso di interesse medio (calcolato sulla prima rata) si è ridotto di 0,65 punti percentuali attestandosi al 2,75% in media nel 2015.

La flessione dei prezzi
Infine, «l'ulteriore flessione dei prezzi delle abitazioni, seppure avvenuta nel corso del 2015 a tassi inferiori rispetto agli anni precedenti, disincentiva il rinvio all'acquisto potendo essere percepita dai potenziali acquirenti come una condizione da non perdere per la previsione di una ripresa anche dal lato dei prezzi e questo induce ad una maggiore propensione all'acquisto».

Previsioni positive per il futuro
Per il futuro, lo studio prevede che «le turbolenze dei mercati finanziari con una ripresa dei rendimenti dei beni immobili, almeno in alcuni segmenti, provoca una ricomposizione dei portafogli a favore dell'investimento immobiliare». «Allo stato attuale - si legge ancora - non sembrano esserci motivi per una deviazione da questo trend ora finalmente positivo».

Cedolare secca. Ecco come richiedere l'aumento del canone di locazione.

Aumento canone di locazione in caso di cedolare secca: come fare?

 

Cedolare secca. Ecco come richiedere l'aumento del canone di locazione.

Ecco come chiedere l'aumento del canone anche se si è sottoscritto un contratto di locazione con cedolare secca.

Il locatore dell'immobile può rideterminare le condizioni contrattuale al fine del primo quadriennio? A tal proposito, giova ricordare che nei contratti di locazione a canone libero la durata legale minima del contratto è un elemento prefissato per legge in quattro anni: se le parti concordano una durata inferiore la clausola è nulla. La legge prevede che, dopo il primo termine di durata, il contratto sia rinnovato automaticamente per ulteriori quattro anni. Per questo motivo, nella prassi spesso si utilizza l'espressione “contratto 4+4”: in pratica, la seconda scadenza si ha dopo 8 anni dalla stipula del contratto. Dopo la prima scadenza, la rinnovazione per altri 4 anni è quindi automatica, fatta eccezione per due ipotesi:

a) con comunicazione scritta almeno 6 mesi prima della prima scadenza, il locatore rende noto al conduttore il proprio “diniego di rinnovazione” (spesso detto anche “disdetta”). La disdetta è consentita solo in alcuni casi tassativamente individuati dalla legge, come ad esempio la destinazione dell'abitazione a uso proprio del locatore, la ricostruzione dell'edificio, l'intenzione di vendere l'immobile, ecc.

b) quando il conduttore si avvale del diritto di recesso (diritto che non spetta, invece, al locatore). I motivi di recesso del conduttore possono essere previsti anche dal contratto di locazione. La legge consente comunque sempre il recesso dell'inquilino per gravi motivi, ossia per circostanze oggettive, sopravvenute e imprevedibili. Il preavviso va dato al locatore con lettera raccomandata e il termine è di almeno 6 mesi, a meno che le parti non abbiano convenuto diversamente nel contratto.

Quanto alla seconda scadenza (dopo 8 anni) l'art. 2 della legge 431/1998, prevede al comma 1 che «ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. La parte interpellata deve rispondere a mezzo lettera raccomandata entro sessanta giorni dalla data di ricezione della raccomandata di cui al secondo periodo. In mancanza di risposta o di accordo il contratto si intenderà scaduto alla data di cessazione della locazione. In mancanza della comunicazione di cui al secondo periodo il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni.»

Premesso ciò, sul punto, in merito all'aumento del canone, interessante spunto riviene dalla pronuncia del Tribunale di Lecce n. 1476 dell'11 aprile 2014, ove è stato precisato che grava sul locatore l'onere di comunicare al conduttore la rinegoziazione a nuove condizioni o la disdetta nei sei mesi anteriore all'ottavo anno (seconda scadenza del primo contratto tacitamente rinnovato). Dunque questo in altri termine vuol dire che ogni contraria pattuizione volta a stabilire un aumento del canone di locazione deve considerarsi palesemente nulla.

=> Ogni contraria pattuizione volta a stabilire un aumento del canone di locazione deve considerarsi palesemente nulla.

In caso di spese straordinarie sull'immobile, il proprietario può chiedere un aumento del canone? La disciplina civilistica (art. 1576 cod. civ.) stabilisce, come criterio generale, che spettano al proprietario tutte le riparazioni necessarie, ad eccezione di quelle di piccola manutenzione, che sono invece a carico dell'inquilino. Quindi, le spese ordinarie sono a carico dell'inquilino, mentre il proprietario deve provvedere agli interventi di manutenzione straordinaria. Ebbene, quanto a tale aumento, è opportuno precisare chel'art.23 della legge n. 392/78 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani) consentiva l'aumento di canone di locazione nel caso di riparazioni straordinarie (anche se eseguite su parti comuni dell'edificio) in misura “non superiore all'interesse legale sul capitale impiegato nelle opere e nei lavori effettuati”, però tale disposizione, limitatamente alle locazioni abitative, è stata abrogata dalla legge n. 431/1998. Tuttavia, ancora oggi, spesso, nei contratti di locazione di 4+4 anni a canone libero, viene inserita un'apposita clausola che attribuisce all'inquilino anche le spese di manutenzione straordinaria, col criterio di cui alla predetta norma abrogata.Conseguentemente, in deroga alla normativa attuale, un aumento del canone in relazione ai costi di ristrutturazione dell'edifico, è possibile solo se espressamente previsto nel contratto.

=> Cedolare secca. Il conduttore può "autoridursi il canone"?

E per quanto riguarda l'adeguamento del canone?Il diritto del locatore ad ottenere l'adeguamento del canone agli indici Istat è subordinato al fatto che quest'ultimo ne abbia fatto richiesta al conduttore tramite lettera raccomandata tramite la quale deve essere richiesta l'adeguamento agli indici Istat per l'anno successivo. Questo presuppone che entrambe le parti abbiano sottoscritto contratto con relativa clausola di adeguamento Istat.

Il locatore in caso di scelta dell'opzione della cedolare secca è obbligato a rinunciare all'aggiornamento ISTAT del contratto?SI, il locatore, ai sensi del comma 11 dell'articolo 3 del decreto legislativo 7 marzo 2011, n. 23, è tenuto, a pena dell'inefficacia dell'opzione, a rinunciare alla facoltà di chiedere l'aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall'ISTAT dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell'anno precedente.

=> Quando conviene la cedolare secca sugli affitti

È possibile revocare la cedolare secca e passare alla tassazione ordinaria prima della scadenza del contratto? La revoca dell'opzione per la cedolare secca può essere effettuata in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella di opzione, entro il termine previsto per il pagamento dell'imposta di registro relativa all'annualità di riferimento (cioè entro 30 giorni dalla scadenza dell'annualità). Si evidenza, inoltre, che la Circolare dell'Agenzia delle entrate n. 20/2012 ha precisato che “Pur non essendo formalmente prevista alcuna forma di comunicazione della revoca dell'opzione già esercitata è comunque opportuno che il locatore comunichi la revoca esercitata al conduttore”. La necessità della comunicazione al conduttore è determinata dal sorgere dell'obbligazione solidale al pagamento dell'imposta di registro annualmente dovuta in seguito alla revoca dell'opzione.

Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, si evidenzia che con la cedolare secca il locatore non può chiedere alcun aumento del canone; di talché, le uniche strade percorribili sono la revoca della cedolare (in questo caso ottenere l'aggiornamento ISTAT), oppure, anticipare la scadenza con la risoluzione consensuale del contratto di locazione (le parti hanno sempre la facoltà di risolvere di comune accordo il loro impegno. In questo caso la volontà delle parti è sovrana bisognerà solo tenere conto degli aspetti fiscali).

mercoledì 11 maggio 2016

Rimborso Imu 2016, le modalità per riceverlo e quando arriverà

Rimborso Imu 2016, le modalità per riceverlo e quando arriverà

Con la circolare n. 1/DF del 2016, il Dipartimento delle Finanze ha definito le istruzioni per effettuare il rimborso Imu, basandosi su quanto stabilito dal decreto interministeriale emanato nel febbraio 2016. Definiti anche i tempi di rimborso per le altre tasse comunali, come l’addizionale Tares, l’ex tassa sui rifiuti e sui servizi indivisibili, oggi sostituita da Tari e Tasi.

Come presentare domanda di rimborso Imu

Per ottenere il rimborso di un’imposta non dovuta o dovuta in maniera minore rispetto a quanto corrisposto, è possibile fare domanda, pena la decadenza del diritto, entro 5 anni dal versamento o dalla data in cui è stato accertato il diritto alla restituzione. Quando il Comune riceve la domanda deve verificarne la fondatezza e trasmettere l’accettazione o il rifiuto della richiesta entro i successivi 180 giorni, comunicando al Ministero l’importo da rimborsare.

In cosa consiste il rimborso Imu

Il rimborso Imu di quest’anno riguarderà gli anni dal 2012 in poi. Per rimborsare le somme non dovute, i Comuni devono caricare i provvedimenti di rimborso definitivi su un’applicazione sul portale del federalismo. Il Ministero, sulla base delle informazioni fornite, rimborserà ai contribuenti gli importi non dovuti. Quest’anno il rimborso avverrà entro il 25 settembre 2016.

Come viene effettuato il rimborso Imu

Il rimborso Imu potrà essere rimborsato attraverso assegno circolare emesso dalla Banca d’Italia; bonifico bancario, nel caso in cui il contribuente abbia comunicato l’Iban; contante da riscuotere presso la Banca d’Italia.

Pignoramento prima casa: quale creditore può venderla?

 

Pignoramento prima casa: quale creditore può venderla?

Nonostante l’impignorabilità della prima casa, lo Stato può iscrivere ipoteca sull’immobile di residenza e intervenire nell’esecuzione in caso di vendita dell’immobile all’asta.

La prima casa è davvero impignorabile? La risposta non sempre è affermativa: il divieto di mettere la casa all’asta, infatti, esistente in Italia dal 2013 [1] per effetto del cosiddetto “decreto del fare”, è soggetto a una serie di condizioni e limiti. Cerchiamo di spiegarli in questa rapida scheda.

Solo se il creditore è Equitalia?

Innanzitutto non è vero dire che la prima casa è sempre impignorabile. Il divieto – quando sussistente – vale solo per Equitalia e non per tutti gli altri creditori. Pertanto, nel caso in cui a procedere siano altri soggetti privati come la banca, il fornitore, il vincitore di una causa, ecc. questi può ipotecare e vendere la prima casa del debitore, anche se è l’unica, se vi risiede, se ha particolari difficoltà economiche o se ha disabilità. E ciò in ossequio al principio in base al quale ciascuno risponde dei debiti contratti con tutto il proprio patrimonio, presente e futuro.

“L’unica casa” e non “la prima casa”

L’unico divieto di pignoramento previsto dalla legge scatta solo se il creditore è Equitalia. Ma occorre, anche in questo caso, fare alcune precisazioni.

Non è vero, o meglio non è corretto, dire che “la prima casa” è impignorabile. Ciò porta erroneamente a pensare che non possa essere messo all’asta solo il primo immobile acquistato dal contribuente, mentre quelli “successivi al primo”  lo potrebbero essere e che il proprietario di più immobili può salvare solo il primo e non gli ulteriori. Non è questa, invece, la dizione corretta della legge.

Ciò che dice la legge è che non è pignorabile “l’unica casa” del debitore. Solo se, infatti, il contribuente è proprietario di un solo immobile allora esso non gli sarà sottratto. Invece, se ha la titolarità di altri immobili – a prescindere dal come li abbia acquisiti: se con compravendita, donazione o eredità – la prima casa non è più “unica” e, quindi, diventa pignorabile, così come tutte le altre.

Questo, in ipotesi, significa anche che chi, avendo numerosi debiti con Equitalia, teme che l’esattore gli pignori la casa, non deve intestarsi altri beni immobili, a prescindere dall’uso, dalla destinazione e dall’accatastamento. Anche chi acquisti un minima quota in un altro immobile rende pignorabile la “prima casa”.

In sintesi: solo chi ha un solo immobile si può salvare. Chi ne ha più di uno, non salva né il primo, né gli altri.

I requisiti dell’unica casa

Non è ancora tutto. Affinché “l’unica casa” non possa essere pignorata da Equitalia è necessario inoltre che abbia determinati requisiti. Se non li ha, essa è pignorabile, anche se il contribuente non ha altro intestato. In particolare è necessario che la casa:

  • sia accatastata come civile abitazione (quindi è pignorabile l’unico immobile del debitore adibito però a studio professionale);
  • in essa il debitore abbia fissato la propria residenza (quindi è pignorabile l’unico immobile del debitore se questi non ci vive, ma lo ha dato in affitto);
  • l’immobile in questione non sia di lusso [2] oppure iscritto nelle categorie catastali A8 (ville) e A9 (castelli).

Divieto di pignoramento ma non di ipoteca

In presenza di tutte le predette condizioni, la legge vieta solo il pignoramento della cosiddetta prima casa del debitore ma non anche l’iscrizione di un’ipoteca. Equitalia, in particolare, può comunque iscrivere ipoteca anche in danno dell’unica casa del contribuente se il debito da questi accumulato, per cartelle esattoriali non pagate, supera 20mila euro. Sotto i 20mila euro, invece, non è possibile neanche l’ipoteca.

Ma a che serve l’ipoteca se il bene non si può pignorare?

L’ipoteca ha lo scopo di garantire una “preferenza” del creditore ipotecario, rispetto agli eventuali ulteriori creditori, sulla distribuzione del ricavato dalla vendita all’asta della casa.

Un esempio ci aiuterà a spiegarci meglio. Mettiamo che Tizio, debitore di Caio, Sempronio, Mevio e Filano, si veda pignorare la casa dai tre creditori con un’esecuzione forzata. Caio, però, è stato il primo a iscrivere ipoteca (cosiddetta ipoteca di primo grado); Sempronio l’ha iscritta per secondo (ottenendo così una ipoteca di secondo grado); Mevio e Filano, invece, non hanno mai iscritto alcuna ipoteca. Quando la casa verrà venduta, il ricavato andrà a soddisfare prima tutto il credito di Tizio. Se avanzano soldi, si potrà tentare di coprire il credito di Sempronio. Solo sull’eventuale residuo potranno soddisfarsi, in quote uguali, Mevio e Filano.

Torniamo ora a Equitalia. Con la prima casa ipotecata, l’Agente della riscossione si garantisce la possibilità – qualora un altro creditore privato metta in vendita la casa del debitore (potendolo fare poiché questi non incontra i limiti che ha Equitalia) – di soddisfarsi sul ricavato. Infatti, il divieto per Equitalia è solo quello di avviare il pignoramento, ma non anche di partecipare a pignoramenti già avviati da altri creditori.

Quindi, sempre per fare un esempio, se Tizio è debitore della banca e di Equitalia ed entrambi hanno iscritto ipoteca, la casa potrà essere pignorata solo se ad agire è l’istituto di credito, ma in tale ipotesi Equitalia potrà “accodarsi” all’esecuzione forzata e partecipare alla distribuzione del ricavato.

Infatti la legge vieta a Equitalia di “dar corso all’espropriazione”, ossia di iniziare il procedimento di esecuzione forzata. Ma se ad iniziarlo sono altri creditori, Equitalia può inserirsi nella procedura.

Le cose cambiano di nuovo se il debitore, accordandosi con il creditore procedente ed estinguendo il suo credito, lascerà di nuovo sola Equitalia all’interno della procedura: l’Agente della riscossione non potrà più proseguire il pignoramento che, quindi, si estinguerà.

Come non farsi pignorare la “prima casa”

Alla luce di quanto abbiamo detto, ecco alcuni consigli utili per non farsi pignorare la casa:

  • trasferire la propria residenza sull’immobile che si vuole tutelare dal pignoramento di Equitalia;
  • non intestarsi altri beni immobili, anche per quote, a prescindere dal loro accatastamento;
  • se si vuole evitare anche l’ipoteca, tentare di ridurre il debito con Equitalia portandolo sotto i 20mila euro;
  • se si è debitori di altri soggetti diversi da Equitalia che hanno avviato il pignoramento, tentare di trovare un accordo con questi ultimi per estinguere la procedura anche nei confronti di Equitalia.

Se il debitore ha altri immobili di proprietà

Equitalia può procedere al pignoramento della “prima casa” nel caso in cui il contribuente:

  • sia proprietario anche di altri immobili;
  • oppure se l’unica casa è di lusso o non è accatastata come civile abitazione o non vi ha fissato la residenza.

In tutti questi casi, però, fermo restando che l’ipoteca si può iscrivere solo dopo i 20mila euro di debito, il pignoramento può scattare solo se il debito supera i 120mila euro.

Anche in questa ipotesi, quindi, per proteggere l’immobile, si può pensare di ridurre il debito con Equitalia portandolo solo i 120mila euro.

[1] Dl 69/2013 che ha modificato l’art. 76 dpr 602/73 che ora recita così:

Ferma la facolta’ di intervento ai sensi dell’articolo 499 del codice di procedura civile, l’agente della riscossione:

a) non da’ corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprieta’ del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, e’ adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente;

a-bis) non da’ corso all’espropriazione per uno specifico paniere di beni definiti “beni essenziali” e individuato con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze d’intesa con l’Agenzia delle entrate e con l’Istituto nazionale di statistica;

b) nei casi diversi da quello di cui alla lettera a), puo’ procedere all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui procede supera centoventimila euro. L’espropriazione puo’ essere avviata se e’ stata iscritta   l’ipoteca   di   cui all’articolo 77 e sono decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto.

Il concessionario non procede all’espropriazione immobiliare se il valore del bene, determinato a norma dell’articolo 79 e diminuito delle passivita’ ipotecarie aventi priorita’ sul credito per il quale si procede, e’ inferiore all’importo indicato nel comma 1.

[2] Si considerano di lusso: – abitazioni realizzate su aree destinate dagli strumenti urbanistici, adottati od approvati, a ville, parco privato ovvero a costruzioni qualificate dai predetti strumenti come di lusso; – abitazioni realizzate su aree per le quali gli strumenti urbanistici, adottati od approvati, prevedono una destinazione con tipologia edilizia di case unifamiliari e con la specifica prescrizione di lotti non inferiori a 3000 mq, escluse le zone agricole, anche se in esse siano consentite costruzioni residenziali; – abitazioni facenti parte di fabbricati che abbiano cubatura superiore a 2000 mc e siano realizzati su lotti nei quali la cubatura edificata risulti inferiore a 25 cm. v.p.p. per ogni 100 mq di superficie asservita ai fabbricati; – abitazioni unifamiliari dotate di piscina di almeno 80 mq di superficie o campi da tennis con sottofondo drenato di superficie non inferiore a 650 mq; – case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessiva superiore a mq 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed aventi come pertinenza un’area scoperta della superficie di oltre sei volte l’area coperta; – singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine); – abitazioni facenti parte di fabbricati o costituenti fabbricati insistenti su aree comunque destinate all’edilizia residenziale, quando il costo del terreno coperto e di pertinenza supera di una volta e mezzo il costo della sola costruzione.

Bonus mobili giovani coppie, la nuova guida dell'Agenzia delle Entrate

 

L'Agenzia delle Entrate ha pubblicato la guida, aggiornata ad aprile 2016 del bonus mobili per le giovani coppie. Accanto alla detrazione del 50% legata ai lavori di ristrutturazione, la nuova legge di Stabilità ha infatti introdotto un nuovo bonus fiscale per gli under 35, che però spetta solo per l'acquisto di mobili nuovi e non per l'acquisto di grandi elettrodomestici.

Incentivi acquisto mobili giovani coppie

La detrazione spetta per le spese sostenute dal 1 gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 per l’acquisto di mobili nuovi destinati ad arredare l’abitazione principale della giovane coppia. Non spetta, invece, per l’acquisto di grandi elettrodomestici. Rientrano nell’agevolazione, per esempio: letti, armadi, cassettiere, librerie, scrivanie, tavoli, sedie, comodini, divani, poltrone, credenze, materassi e apparecchi di illuminazione che costituiscono un necessario completamento dell’arredo dell’immobile.

Bonus mobili giovani coppie, i requisiti

L’agevolazione è riservata: alle coppie che nel 2016 risultano coniugate alle coppie conviventi more uxorio da almeno tre anni. E’ necessario, tuttavia, che almeno uno dei componenti la coppia non abbia superato i 35 anni di età.  

Il requisito dell’età si intende rispettato da coloro che compiono 35 anni nell’anno 2016, a prescindere dalla data di compleanno. Il requisito della convivenza (da almeno tre anni) deve risultare nell’anno 2016 ed essere attestato dall’iscrizione dei due componenti nello stesso stato di famiglia o mediante autocertificazione.

Bonus mobili importo detrazione

La detrazione del 50% va calcolata su un importo massimo di 16.000 euro e va ripartita in 10 quote annuali di pari importo. Questo importo va comunque riferito alla coppia. Quindi, se le spese sostenute sono superiori a 16.000 euro la detrazione deve essere calcolata su tale importo massimo e ripartita fra i componenti la coppia in base alla spesa che ciascuno di essi ha sostenuto. 

Guida agenzia entrate bonus mobili

puoi scaricare la nuova guida sulle detrazioni per l'acquisto di mobili destinata alle giovani coppie sul sito dell'Agenzia delle Entrate

domenica 8 maggio 2016

Seconda casa: acquistarla con il mutuo.

I rendimenti in banca sono ai minimi, il mercato immobiliare fa ancora paura?

Il dilemma del risparmiatore oggi può’ trovare una risposta in quello che è stato per anni un modo per acquistare la seconda casa senza privarsi dei propri risparmi, tenersi i soldi in banca e utilizzare il mutuo per acquistare la seconda casa.

Sembrerebbe una soluzione troppo scontata, tanto che non ci ha ancora pensato nessuno nella realtà !!!

Provate ad andare in banca dicendo che volete disinvestire i vostri risparmi per acquistare la casa al mare o in montagna, la risposta del vostro bancario sarà: ma no vedrà che i prezzi scenderanno ancora c’è crisi etc etc

Provate invece a proporre di acquistare ma utilizzando il mutuo, cercando di disinvestire il meno possibile dei vostri risparmi per dare l’acconto e le spese di acquisto, la risposta cambierà.

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Crif-Mutuisupermarket: mutui sempre più convenienti. Surroghe in calo, sale l’importo erogato

Accendere un mutuo è più conveniente grazie a spread ai minimi che si uniscono ai “tassi zero” e campagne promozionali delle banche. Uno scenario che non potrà che agevolare la ripresa del mercato immobiliare, quello tracciato dalla Bussola di Crif e MutuiSupermarket relativa al primo trimestre 2016.

Per un mutuo da 120mila euro (durata 20 anni, valore immobile 200mila euro) i migliori spread si posizionano nel primo trimestre 2016 attorno all'1,5% per i mutui a tasso variabile e all'1,2% per i mutui a tasso fisso. Gli indici di riferimento sono invece pari a poco più dell'1% per l'Irs a 20 anni (tasso a cui sommare lo spread per ottenere il tasso fisso finale) e per l'Euribor a tre mesi (base della maggior parte dei tassi variabili) si scende addirittura in territorio negativo (-0,25%). Indici che si accompagnano a «politiche commerciali sempre più aggressive da parte dei principali istituti di credito», si legge nella nota anticipata a Casa24 Plus, e creano «condizioni estremamente favorevoli per privati e famiglie che intendono sottoscrivere un nuovo finanziamento casa». In questo scenario la domanda di finanziamenti fa segnare una crescita del 31% rispetto al primo trimestre del 2015.

Comincia a calare l'incidenza delle surroghe e a crescere quella dedicata agli acquisti di prime e seconde case – coerentemente con i dati dell'Agenzia delle Entrate relativi al quarto trimestre 2015 che registrano una ripresa del numero delle compravendite residenziali pari al 9,4% – con un conseguente rialzo degli importi richiesti, dopo diversi trimestri di calo. In particolare, la somma media richiesta, dopo aver toccato il fondo nel IV trimestre 2015 (119.600 euro), aumenta nel primo trimestre 2016 sino a quasi 122mila euro. Si resta però ben lontani dai 140mila euro del 2010. Va comunque considerato che «nell'intero anno 2015 l'incidenza delle surroghe è stata pari quasi a un quarto dei mutui».

Contribuisce alla ripresa della domanda di mutui di acquisto casa anche l'andamento dei prezzi degli immobili residenziali, che, secondo l'analisi di Crif e MutuiSupermarket, nel primo trimestre 2016 segna di nuovo una consistente ulteriore riduzione, pari a -3,6%, dopo aver registrato un -3,2% nel quarto trimestre 2015 (e un -2,4% sull'intero anno 2015 rispetto al 2014).

«Dopo un 2015 di fortissima crescita dei nuovi flussi di mutui erogati (+71% in base ai dati Banca d'Italia) stiamo attraversando un nuovo anno di consolidamento della ripresa, con tassi di sviluppo positivi ma sicuramente molto più contenuti e decrescenti rispetto a quelli osservati nel corso dell'ultimo anno. Nonostante indici di riferimento ai minimi storici e spread di offerta delle banche sempre più convenienti, e in continua discesa da oltre 2 anni – commenta Stefano Rossini, amministratore e fondatore di MutuiSupermarket.it – la domanda di nuovi mutui registra un tasso di crescita in progressiva riduzione, passando dal +49% di gennaio al +17% di marzo 2016, con chiari impatti sulle erogazioni attese sui prossimi mesi. In uno scenario in cui la spinta della domanda di mutui con finalità surroga sta affievolendosi, la domanda di mutui con finalità acquisto casa sembra ancora non decollare. L'atteggiamento di privati e famiglie rimane quindi di cautela sul tema acquisto casa, in attesa di segnali maggiormente rassicuranti su effettiva ripresa economica e relative prospettive reddituali personali».

«Anche alla luce della recente approvazione del testo definitivo della Direttiva Mutui – commenta Stefano Magnolfi, direttore real estate services di Crif – rileviamo con soddisfazione che Crif ha da sempre adottato pratiche di valutazione in linea con quanto prescritto dalle indicazioni normative comunitarie e nazionali in termini di competenza, indipendenza dei valutatori e ricorso a standard di valutazione riconosciuti a livello internazionale. Inoltre, per quanto attiene la commercializzazione volontaria dell'immobile senza passare da lunghi e complicati procedimenti giudiziari, oltre ad aumentare i valori di vendita ridurrebbe sensibilmente i tempi e, di conseguenza, renderebbe più trasparenti il processo di valutazione immobiliare sottostante, laddove cioè una valutazione generosa passerebbe in sordina se osservata a conclusione del processo giudiziario. Come possiamo osservare anche grazie ai sistemi di Avm (Automated valuation model), le garanzie sovrastimate sono molto di più nei portafogli Npl che in quelli in bonis. Per gli istituti di credito, quindi, sarà ancora più cruciale avvalersi di valutatori immobiliari affidabili in fase di origination e rinnovare le valutazioni prima di prendere decisioni in ambito Npl»

sabato 7 maggio 2016

Impianti solari sui tetti, in aree vincolate autorizzazione paesaggistica sempre obbligatoria

 

Impianti solari sui tetti, in aree vincolate autorizzazione paesaggistica sempre obbligatoria

04/05/2016 - L’installazione di pannelli solari termici o fotovoltaici sui tetti di edifici situati in aree vincolate deve essere subordinata ad autorizzazione paesaggistica. È questa la tesi del Parere del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo (Mibact), che ha chiesto al Ministero dello Sviluppo economico di correggere il DM 19 maggio 2015 relativo all’installazione di impianti fotovoltaici sotto i 20 kW sui tetti.
Tutto nasce da due quesiti rivolti al Mibact dalla Regione Lombardia e dalla Soprintendenza Belle arti e paesaggio di Alessandria, in cui è stata chiesta la corretta interpretazione da darsi, nel caso di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per l’installazione di impianti solari fotovoltaici, alle normative di settore per lo sviluppo dell’efficientamento degli usi finali dell’energia negli immobili ricadenti in aree tutelate paesaggisticamente.

Il Modello unico per gli impianti fotovoltaici sotto i 20 kW

Al centro della questione il DM 19 maggio 2015 che ha istituito il Modello Unico per la realizzazione, la connessione e l’esercizio di piccoli impianti fotovoltaici integrati sui tetti degli edifici, e la sentenza 1946/2014, con la quale il TAR Piemonte esclude i piccoli impianti fotovoltaici dalla necessità di acquisire l’autorizzazione paesaggistica, se non già ricadenti in aree dichiarate ai sensi dell’articolo 136 del Codice, lett. b) e c) (ville, giardini e parchi non tutelati ma di non comune bellezza e complessi immobiliari di valore estetico e tradizionale, inclusi i centri storici).
Secondo il Mibact, il DM 19 maggio 2015 contiene delle criticità: in particolare, la previsione dell’articolo 4, comma 3, in base alla quale “l’installazione degli impianti fotovoltaici su edifici non ricadenti fra quelli di cui all’articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Dlgs 42/2004), non è subordinata all’acquisizione di atti amministrativi di assenso, comunque denominati, ivi inclusa l’autorizzazione paesaggistica”.

Le criticità del DM 19 maggio 2015

Tale previsione - spiega il Ministero - nasce verosimilmente da un’interpretazione non corretta che lo Sviluppo Economico ha dato del Dpr 139/2010, allegato 1, n. 28 (concernente il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica per gli interventi di lieve entità) che sottopone a procedura autorizzatoria semplificata l’installazione di pannelli solari, termici e fotovoltaici fino ad una superficie di 25 mq, specificando che tale previsione non si applica nelle zone territoriali omogenee ‘A’ (centri storici) e nelle aree vincolate ai sensi dell’articolo 136, comma 1, lettere b) e c), del Codice, “ferme restando le diverse e più favorevoli previsioni del Dlgs 115/2008”.
In realtà - chiarisce il Mibact -, un’interpretazione corretta del Dlgs 115/2008 e dell’articolo 6 del Testo Unico Edilizia (Dpr 380/2001) dimostra che, per gli impianti solari, l’esenzione vale solo per il lato edilizio, non per quello paesaggistico: il comma 3 dell’art. 11 del Dlgs 115/2008 è chiaro nello stabilire che sono considerati interventi di manutenzione ordinaria e non sono soggetti alla disciplina della denuncia di inizio attività di cui agli articoli 22 e 23 del TU Edilizia quelli relativi a impianti la cui superficie non sia superiore a quella del tetto stesso.
Analogamente, l’articolo 6, comma 2, lettera d) del TU Edilizia considera ‘liberi’ - ma ai soli fini edilizi - i suddetti impianti, relativi ai pannelli solari, fotovoltaici, a servizio degli edifici, da realizzare al di fuori della zona ‘A’, senza nulla dire sul versante paesaggistico.

Autorizzazione paesaggistica semplificata o ordinaria

Quindi, l’installazione di piccoli impianti solari fotovoltaici non è esonerata dalla richiesta di autorizzazione paesaggistica ma è soggetta alla forma semplificata allorquando ci si trovi in aree o su immobili sottoposti a vincolo ex lege (art. 142 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) o a vincolo delle tipologie a) e d) dell’art. 136.
Invece, allorquando tali impianti ricadano in aree o su immobili sottoposti a vincoli ai sensi delle lettere b) e c) del predetto art. 136, il Dpr 139/2010, allegato 1, n. 28 prevede non la ‘liberalizzazione’ ma l’assoggettamento a procedura di autorizzazione paesaggistica ‘ordinaria’ (art. 146 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).
È infatti evidente, afferma il Mibact, che l’esclusione di tali ultimi tipi di vincoli dalla semplificazione - legata alla particolare delicatezza e rilevanza di quelle tipologie di beni paesaggistici - conduce non certo all’esclusione di ogni forma di tutela, bensì al rafforzamento di tali misure, mediante per l’appunto l’esclusione dalla semplificazione e la previsione del regime autorizzatorio ordinario.
La generica formulazione: “ferme restando le diverse e più favorevoli previsioni del Dlgs 115/2008”, di cui al n. 28 dell’allegato 1 al Dpr 139/2010 - conclude il Ministero -, è priva in realtà di concreta applicazione, atteso che né il Dlgs 115/2008, né il Dpr 380/2001 hanno introdotto alcun regime più favorevole al caso in esame.

Installazione ‘libera’ solo se i pannelli sono invisibili dall’esterno

Tale ricostruzione è alla base di un Regolamento relativo all’individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, che il Mibact sta predisponendo e che verrà a breve sottoposto all’esame del Consiglio dei Ministri.
In tale rielaborazione - anticipa il Mibact - si è condiviso di qualificare come ‘libera’ l’installazione di pannelli solari, sottraendola al previo controllo autorizzativo paesaggistico, nel solo caso in cui il posizionamento degli impianti sul tetto o sul lastrico solare sia tale da non poter essere visibile dall’esterno.