martedì 21 novembre 2017

Casa in comodato genitori e figli: vantaggi fiscali


Casa in comodato genitori e figli: vantaggi fiscali

L’AUTORE: Maria Monteleone


Casa in prestito: come avere la riduzione Imu e Tasi.

Chi concede in comodato un immobile non di lusso al genitore o al figlio che lo adibisce ad abitazione principale, ha diritto alla riduzione del 50% della base imponibile Imu e Tasi.

Cos’è il comodato

Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito con il quale una parte (comodante) consegna un’immobile a un’altra parte (comodatario) che se ne serve per un tempo o per un uso determinati e si assume l’obbligo di restituire lo stesso immobile ricevuto. Il comodato non può costituirsi con un atto unilaterale come il testamento, né può essere oggetto di un preliminare.

Il comodato è molto simile alla locazione, salvo per il fatto che quest’ultima è normalmente a titolo oneroso (per cui è dovuto un canone), mentre il comodato è a titolo gratuito.

Il comodato non è una donazione perché non comporta il passaggio della proprietà del bene; vi è infatti l’obbligo di restituzione a carico del comodatario, anche dopo un periodo lungo.

Per il contratto di comodato è prevista la libertà di forma, per cui è valida anche la stipula orale.

Bonus Imu e Tasi casa in comodato

La base imponibile ai fini Imu/Tasi è ridotta del 50% per le unità immobiliari (ad eccezione di quelle di lusso ovvero quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9) concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta, entro il primo grado, che le utilizzano come abitazione principale.

Possono beneficiare dell’agevolazione i proprietari di immobili che concedono in comodato un’abitazione a parenti in linea retta entro il primo grado (genitori e figli), i quali devono a loro volta utilizzarlo come abitazione principale.

Bonus Imu e Tasi comodato: requisiti

Per usufruire di tale agevolazione necessario che:

  • il comodante sia un parente in linea retta entro il primo grado del proprietario (genitore o figlio);
  • la casa sia utilizzata come abitazione principale;
  • il contratto sia registrato;
  • il comodante possieda un solo immobile in Italia;
  • il comodante risieda anagraficamente nonché dimori abitualmente nello stesso comune in cui è situato l’immobile concesso in comodato.

Il beneficio si applica anche nel caso in cui il comodante, oltre all’immobile concesso in comodato, possiede nello stesso comune un altro immobile adibito a propria abitazione principale e non classificato nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9.

Bonus Imu e Tasi comodato: come si ottiene

Per usufruire della riduzione al 50% di Imu e Tasi, il contratto di comodato deve essere registrato utilizzando l’apposito modello 69 da presentare, in duplice copia, all’Agenzia delle Entrate.

Possono essere registrati anche i contratti di comodato stipulati verbalmente. In questo caso, nel modello 69 dovrà essere indicato, come tipologia dell’atto la seguente dicitura “Contratto verbale di comodato”. Ai fini della decorrenza dell’agevolazione, rileva la data in cui è stato concluso il contratto e non quella in cui lo stesso è stato registrato.

Acquistare la prima casa con il mutuo: quali agevolazioni sono previste?

Esiste una particolare agevolazione per chi vuole acquistare o ristrutturare la prima casa ma non riesce sostenere i costi del mutuo. Si tratta di un fondo di garanzia statale, istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze, che consente di richiedere mutui ipotecari fino a 250.000 euro avvalendosi delle garanzie statali per la metà dell’importo.

Accedendo al Fondo di garanzia statale, non possono essere chieste ulteriori garanzie personali dalla banca, (per esempio garanzie dei genitori) oltre all’ipoteca e all’eventuale assicurazione.

Come comprare casa con mutuo agevolato

Possono beneficiare del Fondo di garanzia prima casa coloro che richiedono un mutuo prima casa non superiore a 250.000 euro. Il mutuo deve essere erogato per il solo acquisto o per l’acquisto e la ristrutturazione e/o accrescimento dell’efficienza energetica di un immobile situato in Italia che abbia le seguenti caratteristiche:

  • deve essere adibito ad abitazione principale (ciò vuol dire che l’acquirente o un suo familiare deve stabilirvi la dimora abituale – risultante dal certificato anagrafico o da un’autocertificazione)
  • non deve rientrare nelle categorie catastali A1 (abitazioni signorili), A8 (ville) e A9 (castelli, palazzi);
  • non deve avere caratteristiche di lusso.
Chi può accedere al mutuo agevolato

Il Fondo offre garanzie statali pari al 50% della quota capitale del mutuo richiesto, facilitando così l’accesso al credito. Il Fondo è aperto a tutti, indipendentemente dall’età e dal reddito dei mutuatari.

È però prevista o applicato al mutuo non superiore al Tasso Effettivo Globale Medio (TEGM) pubblicato trimestralmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze ai sensi della legge antiusura per i mutui erogati a:

  • giovani coppie: nuclei familiari costituiti da almeno due anni, coniugati o conviventi more uxorio, con uno dei componenti con età inferiore ai trentacinque anni;
  • nucleo monogenitoriale con figli minori: persona singola non coniugata, separata, divorziata o vedova con almeno un figlio convivente minore;
  • giovani di età inferiore ai 35 anni titolari di un rapporto di lavoro atipico;
  • conduttori di alloggi di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari (Iacp).
Come accedere al Fondo di garanzia mutuo prima casa

La domanda di accesso al Fondo deve essere presentata direttamente alla banca aderente all’iniziativa cui si richiede il mutuo, utilizzando l’apposita modulistica per la richiesta di accesso al Fondo di garanzia per la prima casa disponibile sul sito di Consap Spa, su quello del Dipartimento del Tesoro e delle Banche aderenti.

Detrazioni fiscali mutuo prima casa

La legge riconosce una detrazione fiscale Irpef del 19%, con un tetto massimo di 4.000 euro di spesa annuale, per un totale di non oltre 760 euro. La detrazione viene calcolata sugli interessi passivi e su tutti gli oneri accessori derivanti dal mutuo (onorari notaio, spese perizia, commissioni banca ecc.).

Per aver diritto alla detrazione fiscale sugli interessi pagati alla banca sul mutuo prima casa è necessario che sussistano le seguenti condizioni:

  • deve essere stipulato un contratto di mutuo per l’acquisto della prima casa di residenza;
  • la banca deve aver acceso un’ipoteca a garanzia del corretto e puntuale pagamento del mutuo; ogni altra garanzia, come ad esempio, la fideiussione non è sufficiente. L’ipoteca può gravare anche su immobili diversi da quello acquistato;
  • la banca deve avere sede in Italia;
  • sul documento attestante il pagamento degli interessi deve essere riportata l’annotazione degli estremi dell’atto di acquisto dell’immobile.

domenica 19 novembre 2017

Seconda rata Imu e Tasi 2017, indicazioni delle Finanze sul pagamento


Gtres Gtres

Il Dipartimento delle Finanze (Df) ha pubblicato un comunicato che contiene le prime indicazioni per la seconda rata Imu e Tasi 2017, la cui scadenza è fissata per il 18 dicembre 2017.

Il termine ordinario per il pagamento, il 16 dicembre, cade quest'anno di sabato. Per questa ragione, il versamento slitterà, come ricorda il Df a lunedì 18 dicembre. Il versamento deve essere eseguito a saldo dell'imposta dovuta per l'intero anno, con eventuale conguaglio sulla prima rata versata, sulla base delle delibere pubblicate alla data del 28 ottobre 2017 nel sito informatico www.finanze.it.

Ai fini della corretta individuazione delle aliquote necessarie per il pagamento, il Df ha pubblicato un documento con le indicazioni per il versamento della seconda rata Imu e Tasi 2017

PDF icon indicazioni-versamento-seconda-rata-imu-tasi-2017.pdf

venerdì 17 novembre 2017

Come obbligare il vicino a rimuovere l’amianto


Come obbligare il vicino a rimuovere l’amianto


Denunciare agli organi competenti la presenza dell’eternit

L’amianto è un minerale contenuto nell’eternit. Negli scorsi decenni l’eternit è stato un materiale ampiamente utilizzato nell’edilizia pubblica e privata per le sue grandi capacità di resistenza. Tuttavia si è poi scoperto essere estremamente dannoso per l’ambiente e la salute dell’uomo e pertanto ne è stato vietato l’impiego a partire dai primi anni ’90 [1]. Per questa ragione è possibile anche obbligare il vicino a rimuovere l’amianto, eventualmente presente.

Quando obbligare il vicino a rimuovere l’amianto

L’amianto contenuto in genere nelle tettoie, nelle canne fumarie, nell’isolamento dei caminetti in eternit costituisce un pericolo solo se danneggiato, crepato, fessurato quando cioè si polverizza ed è friabile. Solo in questi casi infatti le fibre che lo compongono liberandosi nell’aria possono entrare a contatto dei soggetti e causare gravi malattie dell’apparato respiratorio. Solo in questi casi quindi sorge l’obbligo di rimozione dell’amianto.

Come obbligare il vicino a rimuovere l’amianto

Prima di capire come sia possibile obbligare il vicino alla rimozione dell’amianto friabile e degradato è bene fare alcune precisazioni. È bene sapere  che è dovere della Regione censire tutti gli edifici pubblici e privati che presentino coperture o manufatti in eternit, e che è dovere dei proprietari o dei responsabili della struttura pubblica segnalarne la presenza alle autorità e provvedere a proprie spese alla rimozione attraverso ditte specializzate iscritte nell’apposito Albo nazionale dei gestori ambientali  ed autorizzate al rilascio della certificazione a conclusione lavori.

Se il vicino non ha quindi segnalato all’autorità sanitaria la presenza ad esempio di una copertura di eternit in evidente stato di degrado o lo ha fatto, ma non ha provveduto a suo smaltimento, è possibile rivolgersi all’Azienda sanitaria locale (ASL), ai vigili urbani o al nucleo tutela ambientale dei Carabinieri e denunciarne la presenza, lo stato e il rischio. La segnalazione può anche avvenire in forma anonima ma è consigliabile sempre renderla personalmente e firmarla, affinché sia presa seriamente in considerazione.

Una volta fatta la denuncia sarà l’autorità coinvolta a contattare l’agenzia regionale competente ad esaminare la presenza ed eventuale quantità di amianto nell’aria, decidendo solo dopo queste misurazioni come intervenire.

Quando non si può obbligare il vicino a rimuovere l’amianto

Come anticipato la presenza in una costruzione vicina di lastre di eternit o materiale contenente amianto integri, non obbligano il vicino alla rimozione non costituendo rischio alcuno per la salute dell’uomo o per l’ambiente. Il proprietario sarà semplicemente obbligato a monitorare lo stato di degrado e ad intervenire prontamente nel caso. Preventivamente, per evitare il rischio di spaccature, potrà chiedere alle ditte specializzate di intervenire con alcune tecniche come la verniciatura con specifici smalti, l’incapsulamento o sovracopertura. Qualora invece dovesse decidere di intervenire a seguito di lesioni potrà farlo solo attraverso le ditte in grado di provvedere non solo alla rimozione ma anche al suo smaltimento. Questo perché al momento della rimozione l’estrazione dei manufatti può causarne la rottura e il conseguente rischio di contaminazione. Le ditte specializzate sono invece capaci di arginare completamente questo rischio con l’uso di tecniche e strumenti adatti.

La legge riconosce un bonus per il proprietario che sostituisce la copertura del tetto in eternit con dei pannelli fotovoltaici che ricoprono almeno il 90% della superficie precedente coperta.

Occupazione abusiva di casa: chi mi risarcisce?


Occupazione abusiva di casa: chi mi risarcisce?


Per il ritardo nell’emissione o esecuzione dell’ordine di sgombero del Prefetto paga lo Stato.

Una importantissima sentenza del Tribunale di Roma [1] depositata ieri potrebbe dare finalmente un ristoro a tutti i proprietari di quelle abitazioni che sono state occupate da abusivi e il cui sgombero da parte della polizia non è intervenuto in modo tempestivo. Secondo i giudici di roma, per “l’affitto mancato” paga il Ministero dell’Interno. E questo perché la pubblica amministrazione ha un dovere di tutela del cittadino anche dalle forme di abusivismo: impedire che si commetta un illecito equivale a favorirlo, insomma, e lo Stato non può essere complice delle violazioni del diritto. Per cui, se ti stai chiedendo «chi mi risarcisce per l’occupazione abusiva di casa» e sai già che la risposta non può certo essere l’abusivo – in quanto nullatenente – ecco la soluzione.

Occupazione abusiva di casa: come difendersi

Chi ha già letto il nostro articolo Occupazioni abusive e sgombero: quale tutela? sa già che, mai come in materia di tutela della casa – che pure dovrebbe essere considerata bene primario per l’individuo – il nostro ordinamento è quantomai deficitario. Non c’è solo il caso dell’affitto non pagato e dello sfratto dell’inquilino moroso, ma anche quello dell’occupazione abusiva dell’appartamento: tra lungaggini del procedimento di sgombero e tutela penale ridotta al lumicino, chi ha la disavventura di tornare a casa e trovare la porta chiusa con un abusivo dentro scopre che non è così facile tornare in possesso della propria abitazione. Come si può difendere chi trova un abusivo dentro casa? Chi è vittima di un’occupazione abusiva di casa deve rivolgersi direttamente al Prefetto e chiedere che adotti i provvedimenti urgenti, ordinando al personale delle forze dell’ordine di avviare lo sgombero [2]. Il Prefetto, però, nell’emettere l’ordinanza di sgombero, ha un certo margine di autonomia e può decidere quali sono le situazioni più urgenti, a cui ottemperare immediatamente, e quelle meno. Tra le variabili da valutare c’è il numero degli immobili da sgomberare, le possibili turbative per l’ordine e la sicurezza pubblica, i diritti dei proprietari degli immobili occupati, nonché l’assistenza che gli enti locali potranno prestare agli occupanti.

Con il proprio provvedimento il Prefetto stabilisce la data dello sgombero o l’eventuale rinvio, le condizioni di ricollocazione degli occupanti e l’assistenza da parte degli enti locali.

Se il Prefetto nega lo sgombero richiesto dal proprietario della casa occupata abusivamente, quest’ultimo può far ricorso al Tar. Il tribunale amministrativo riconosce al titolare dell’immobile, come unico risarcimento per la perdita – anche per lunghi periodi – della disponibilità del suo immobile, la sola emissione di un’ulteriore provvedimento diretto ad assicurare la cessazione dell’occupazione.

La legge però se disciplina l’ipotesi del diniego del Prefetto, nulla dice in merito al silenzio o al ritardo nell’adottare l’ordine di sgombero. Ed è qui che interviene la sentenza del Tribunale di Roma. Secondo i giudici della Capitale, il ministero dell’Interno è responsabile dei danni cagionati al proprietario dell’immobile per non aver tempestivamente operato lo sgombero.

Affitto mancato, paga il ministero del’Interno

Le forze di polizia – si legge nella sentenza – sono «vincolate, nella attività di tutela dell’ordine pubblico e della pubblica sicurezza e del rispetto delle leggi, ed in particolare nella tutela della legalità, ad intervenire nell’interesse del singolo». Questa omissione fa scattare una responsabilità (tecnicamente si chiama «responsabilità extra contrattuale») da parte del Ministero [3].

Il proprietario dell’immobile occupato abusivamente non deve dimostrare di aver subito un danno poiché questo è già implicito nel fatto stesso della perdita della disponibilità del bene la cui natura è normalmente fruttifera (sia che lo si fitti che lo si abiti), e dalla impossibilità di conseguire l’utilità da esso ricavabile.

Questo principio, a detta dei commentatori, potrebbe trovare spazio anche nei casi di mancato pagamento del canone di affitto. Difatti, in tali ipotesi, dopo l’ordine di sfratto del tribunale, l’ufficiale giudiziario si deve valere spesso della forza pubblica e questa non è sempre disponibile, con la conseguenza che per ottenere il rilascio dell’immobile bisogna attendere numerosi mesi se non anni.

Rimborso TARI, casistica e procedura


Procedura di rimborso TARI nei Comuni che hanno sbagliato il calcolo della tassa sui rifiuti gonfiando la parte variabile della tariffa: in arrivo circolare interpretativa MEF:


Iniziamo subito dicendo che la parte variabile della TARI va calcolata solo una volta considerando l’intera superficie dell’immobile; non può essere applicata anche nel singolo calcolo relativo alle pertinenze: questa è la regola generale, quindi tutti coloro che hanno invece pagato somme superiori perché i Comuni hanno calcolato diversamente la tassa sui rifiuti avranno diritto a un rimborso TARI.

Il caso è scoppiato nelle ultime settimane dopo l’interrogazione parlamentare del deputato Giuseppe L’Abbate (M5S), il quale ha segnalato l’errore nel calcolo della TARI commesso dal suo Comune (Polignano a Mare). La questione sollevata, però, non riguarda un singolo Comune ma molte amministrazioni, fra cui figurano anche alcune delle più grosse città italiane, come Milano e Napoli.

Il Codacons minaccia ricorsi, altre associazioni di consumatori si mobilitano. E il Ministero delle Finanze preannuncia un documento con tutti i chiarimenti interpretativi. Nel frattempo, vediamo cosa possono fare i contribuenti per capire se hanno pagato una tariffa troppo alta e come muoversi per chiedere il rimborso TARI.

Diritto al rimborso TARI

Facciamo un esempio per chiarire qual è l’errore, basandoci sul caso dell’onorevole L’Abbate. Appartamento di 100 mq con due pertinenze, una cantina di 20 mq e un garage di 30 mq.
La quota fissa, pari a 2 euro, si applica al 100% sull’abitazione e al 50% sulle pertinenze. La quota variabile, pari a 141 euro, si applica solo una volta alla metratura complessiva. Quindi il calcolo corretto è 200 + 50 + 141. Risultato: 391 euro.

Se, invece si applicano i 141 euro di quota fissa anche al garage e alla cantina, alla fine si pagano 673. Un rincaro di 282 euro. Il ministero ha chiarito che si tratta di un errore, quindi non dovrebbe esserci bisogno di fare ricorsi

Procedura di rimborso TARI

I Comuni stanno correndo ai ripari in vario modo (es.: Milano ha prima dichiarato che i contribuenti verranno rimborsati, ora sta invece pensando a distribuire i maggior costi sostenuti in questi anni a causa del calcolo errato su tutti i contribuenti).

Ad ogni modo esiste una procedura per chiedere il rimborso, presentando un’istanza in forma libera, da inviare per raccomandata, con i dati relativi alla bolletta “gonfiata”, o anche a più bollette nel caso in cui l’errore si sia protratto per più anno (ipotesi probabile, visto che i Comuni effettuano il calcolo nello stesso modo nel corso degli anni).

La cosa importante, quindi, è controllare il proprio bollettino TARI per verificarne la regolarità.

Prescrizione

Il termine di decadenza per la domanda di rimborso è di cinque anni dal pagamento. Ricordiamo che comunque l’errore può riguardare la TARI, non la vecchia TARSU (che non prevedeva distinzione fra quota fissa e variabile). Nel caso in cui il Comune non risponda entro 90 giorni, si può presentare ricorso alla commissione tributaria locale.

Comuni a rischio

Fra i Comuni a rischio errori: Milano, Napoli, Ancona, Catanzaro. Segnaliamo anche alcune amministrazione dove invece il calcolo dovrebbe essere corretto: Roma, Torino, Bologna, Firenze, Bari, Palermo, Trieste, Aosta, Campobasso, Potenza.

Genova, segnalata fra le città in cui si riscontravano irregolarità, dichiara che le bollette TARI sono regolari e non è stata inserita due volte la tariffa variabile; la stessa precisazione è arrivata dal Comune di Cagliari.

Da chiarire

Nell’attesa della circolare interpretativa del MEF, segnaliamo che le questioni irrisolte e i problemi interpretativi legati alla TARI sono diversi: innanzitutto, c’è un aspetto che riguarda in particolare le imprese, ancora in attesa del decreto sulla separazione fra rifiuti urbani e speciali non pericolosi che consentirà di evitare la doppia spesa che spesso le aziende sostengono per smaltire i rifiuti prodotti nei magazzini o nei laboratori. Fra gli altri problemi che invece vengono spesso segnalati dai contribuenti, quello delle seconde case, con delibere comunali che in alcuni caso prevedono meccanismi presuntivi per stabilire il numero degli occupanti, e quindi la parte variabile.

martedì 14 novembre 2017

È il momento di comprare.Mutui, quale sarà l'effetto delle decisioni di Draghi sui tassi?

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Donald Trump ha scelto di cambiare la guida della Fed, sostituendo dal febbraio prossimo Janet Yellen (erano 40 anni che un governatore non veniva mandato a casa dopo un solo mandato quadriennale) con Jerome Powell, che già siede nel board della banca centrale americana. La Bank of England è tornata ad alzare il tasso ufficiale dopo dieci anni, portandolo da 0,25% a 0,50%, con la comunicazione al mercato che altre strette potranno arrivare nei mesi a venire. In tutto ciò spicca l’atteggiamento della Bce, con Mario Draghi che invece resta fermo nella politica dei tassi a zero, offrendo un’ulteriore spinta a chi sottoscrive un finanziamento per l’acquisto di un immobile.

Finanziamenti a basso costo

“La decisione di prorogare fino a settembre 2018 il quantitave easing - con acquisti di titoli di stato pari a 30 miliardi di euro al mese - ha preso in contropiede alcuni osservatori che prevedevano una riduzione più rapida della spinta monetaria al sistema economico europeo”, commenta Stefano Rossini, ad di MutuiSupermarket.it. “Questa decisione ha come effetto di ritardare di qualche mese l’aumento del costo del denaro in Europa, permettendo quindi alle banche di mantenere per un periodo più esteso un’offerta di mutui a tassi ridotti e molto competitivi”. Infatti, le mosse di Draghi si aggiungono al rinnovato interesse degli istituti di credito per il business dei mutui (che ha tassi di sofferenze ridotti rispetto alle altre tipologie di prestiti), che sta portando a una prolungata battaglia sui prezzi. Anche perché con il prodotto mutuo spesso le banche riescono a conquistare un cliente, al quale poi possono proporre altri prodotti della casa, soprattutto quelli in grado di offrire margini più elevati ai conti aziendali.

Euribor negativo

“Per quanto riguarda i mutui a tasso variabile, gli analisti di mercato si attendono a questo punto un Euribor negativo (il parametro di base per la misurazione del tasso variabile, ndr) per tutta la durata del quantitative easing e alcuni pronosticano un ritorno al segno positivo non prima di fine 2019 inizio 2020”, aggiunge Rossini. Con riferimento ai mutui a tasso fisso - che si basano sull’indice IRS determinato dall’andamento delle previsioni sui tassi per i prossimi 20 - 30 anni – “le migliori offerte continueranno la dinamica in atto di rialzo progressivo, anche se a questo punto a ritmi più contenuti rispetto a quanto atteso prima della recente comunicazione della Bce”.

Cosa attendersi

Roberto Anedda, direttore marketing di MutuiOnline.it, offre una visione di quello che possono attendersi coloro che hanno in mente di accedere a un finanziamento per l’acquisto della casa. “I futures sull’Euribor ipotizzano una risalita dell’indice solo a partire dalla metà del 2018, ma con un ritmo molto graduale”. Questo significa che anche i mutui a tasso variabile non sono attesi a strappi verso l’alto. “Attualmente l’Euribor è tra -0,30% e –0,37% e i futures vedono un ritorno allo zero solo verso la fine del 2019”, aggiunge l’esperto. “Per rivedere livelli intorno all’1%, invece, si dovrebbe attendere il 2022”. A conti fatti questo significa che la scelta del tasso variabile dovrebbe rimanere sensibilmente più conveniente del fisso ancora per diverso tempo. Così, può essere il caso di scegliere questa opzione, ferma restando la possibilità di surrogare il contratto dopo qualche anno, se davvero la situazione dei tassi ufficiali portasse troppo in alto la rata dei mutui. Senza dimenticare che il sistema adottato dalle banche italiane (detto “alla francese”), la maggior parte degli interessi si paga nei primi anni.

È il momento di comprare

Buone notizie quindi per chi è interessato all’acquisto di una casa nei prossimi anni. Considerando le durate dai vent’anni in su, le più richieste per i mutui, i migliori tassi fissi segnalati da Mutuionline.it si attestano al di sotto del 2%, e i tassi variabili più convenienti si trovano tra 0,60% e 0,80%. “Si potrà godere ancora per diverso tempo dello scenario favorevole che si è concretizzato in questi ultimi due anni, con tassi sui mutui vicini ai minimi storici”, ricorda Anedda. Che invita a considerare anche un altro aspetto: “I prezzi delle case sono in calo” e ormai il trend ribassista si va esaurendo, considerando che in qualche piazza (a cominciare da Milano) ci sono i primi segnali di ritorno alla crescita.

lunedì 13 novembre 2017

Fisco Tari, tutte le verifiche per essere sicuri di ottenere il rimborso



di Luigi Lovecchio

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Rimborsi in vista per la tassa sui rifiuti: in presenza di abitazioni con pertinenze (garage, posti auto, eccetera), la quota variabile della tariffa non può essere moltiplicata per il numero delle unità immobiliari ma deve essere calcolata solo una volta. Il chiarimento giunge dalla risposta delle Finanze all’interrogazione parlamentare del 18 ottobre scorso (si veda il Sole 24 Ore del 19 ottobre).Si tratta di una precisazione che appare condivisibile, alla luce della nozione civilistica di pertinenza, contenuta negli articoli 817 e seguenti, codice civile.

In arrivo il chiarimento del Mef
E a tal proposito va sottolineato che Il Dipartimento finanze del ministero
dell'Economia ha annunciato che emanerà «in tempi molto brevi un documento di chiarimento sulle modalità di corretta applicazione della Tari». Lo si apprende da fonti Mef le quali precisano che sono già previste modalità per chiedere i rimborsi qualora un Comune non applichi la tassa in maniera corretta. I chiarimenti in arrivo serviranno però a evitare interpretazioni diverse da parte di singoli comuni.

Le vie per il rimborso
Si apre quindi la strada alla restituzione della tassa pagata in eccesso, poiché in molte realtà comunali, anche grandi, la quota variabile della tariffa rifiuti è stata indebitamente applicata più volte.

Vediamo quali sono le verifiche da effettuare per procedere alla richiesta di rimborso:
•In primo luogo, bisogna verificare se si tratta di una annualità in cui la tassa è stata suddivisa in quota fissa e quota variabile. Se infatti è stata applicata la vecchia Tarsu, il tributo aveva una struttura unitaria che non contemplava le due quote e dunque nessun rimborso sarà possibile. In linea di principio, a decorrere dal 2013 la stragrande maggioranza dei comuni ha abbandonato le precedenti modalità di calcolo del prelievo;

•Ugualmente, non dovrebbe esserci spazio ai rimborsi nei comuni e per gli anni in cui è stata applicata la tariffa puntuale sui rifiuti. Questa tipologia di entrata, infatti, prevede che la quota variabile sia calcolata per ciascun utente in ragione delle quantità di rifiuti effettivamente conferite al servizio pubblico;

•Poi occorre verificare se il comune è realmente incorso nell'errore in esame. Per far questo, è sufficiente leggere con attenzione gli avvisi di pagamento del tributo che dovrebbero dettagliare, per ciascuna unità immobiliare distintamente accatastata, il calcolo dell'importo da versare. Se ci si accorge che, in corrispondenza delle unità immobiliari della casa e delle relative pertinenze, sono state conteggiate separatamente più volte le quote variabili di tariffa, allora vi sono le premesse per la richiesta del rimborso;

•Allo scopo di ottenere la restituzione delle quote variabili versate in aggiunta a quella della casa di abitazione, occorre presentare una apposita istanza, entro il termine perentorio di 5 anni dal pagamento. Il comune tuttavia ha il diritto di pretendere che il contribuente dimostri che le unità immobiliari utilizzate in aggiunta all'abitazione siano davvero pertinenze di questa. Se le prime sono ubicate nello stesso stabile o nelle vicinanze della casa, la dimostrazione potrebbe ritenersi raggiunta;

•Bisogna inoltre prestare attenzione al soggetto cui rivolgere l'istanza. Se l'entrata era gestita da una società privata e gli avvisi di pagamento erano per l'appunto emessi a nome della stessa, allora anche la domanda deve essere inoltrata a tale società. Se la società dell'epoca non c'è più, perché è subentrato un altro gestore, allora sarà opportuno proporre l'istanza tanto al comune che al nuovo gestore;

•Decorsi 90 giorni, se non si ottiene risposta si può proporre ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale competente, sino allo scadere del termine di prescrizione. Se invece il comune e/o il gestore notificano un provvedimento di rigetto espresso della domanda, allora il ricorso deve essere proposto entro e non oltre 60 giorni dalla notifica del diniego.

TAG: Luigi Lovecchio, Commissione Tributaria Provinciale, Il Dipartimento, Unità immobiliare, Comune, Quota variabile, Fisco

sabato 11 novembre 2017

Posso unire due appartamenti confinanti di due diversi condomini?


Posso unire due appartamenti confinanti di due diversi condomini?

È possibile unire due appartamenti confinanti, di cui si è proprietari e che però appartengono a due condomini diversi,  allo scopo di avere un unico appartamento?

No: non secondo la più recente giurisprudenza non può essere consentita l’unione di due appartamenti che fanno parte di edifici condominiali differenti. In questo senso ha ritenuto di esprimersi la Suprema Corte di Cassazione con una (relativamente) recente sentenza [1]. In questo caso anche la semplice apertura di una porta nel muro perimetrale appartenente a due condomini diversi comporta un’alterazione ed un uso indebito della cosa comune. Non solo. Bisogna anche tenere conto che si tratta di opere che andrebbero a costituire una servitù di passaggio.

La stessa Corte, in una precedente sentenza [2], aveva già chiarito che il singolo condomino può eseguire delle opere sul bene comune a patto che non impedisca un paritario uso da parte degli altri condomini, ma è importante, in ogni caso, che l’opera non vada a costituire una servitù. In sostanza, secondo quanto è stato stabilito dalla Suprema Corte l’apertura di un varco nel muro perimetrale per esigenze riferibili al singolo condomino “è consentita, quale uso più intenso del bene comune, con eccezione del caso in cui tale varco metta in comunicazione l’appartamento del condominio con un’altra unità immobiliare attigua, pur di proprietà del medesimo, ricompresa in un diverso edificio condominiale”.

Tasse sulla casa: quando pagare?



Chi è proprietario di una sola casa non deve pagare Imu e Tasi a determinate condizioni. Le imposte scattano a partire dal secondo immobile di proprietà.

Non è facile orientarsi nella giungla delle tasse sulla casa: tra esenzioni, sconti e doppie imposizioni, il contribuente rischia di perdersi. Le domande più frequenti ed a cui si vorrebbe una risposta semplice e immediata sono spesso le stesse: se ho una sola casa devo pagare l’Imu e la Tasi? E sulla seconda casa cosa devo pagare? A queste e ad altre simili questioni cercheremo di dare risposta in questo articolo dedicato appunto alle tasse sulla casa: quando pagare?

Si pagano Imu e Tasi sulla prima casa?

Chi possiede una sola casa dove vi vive con la propria famiglia non deve pagare né Imu, né Tasi. Fanno eccezione solo le case di lusso, quelle cioè accatastate come A1, A8 e A9.

La legge infatti prevede l’esenzione dal pagamento di Imu e Tasi per la cosiddetta «abitazione principale». L’abitazione principale è la casa dove il proprietario e la sua famiglia hanno la residenza e vivono abitualmente. L’esenzione vale anche per le pertinenze dell’abitazione principale, cioè per magazzini, box, garage, tettoie, ecc.In particolare si considerano pertinenze dell’abitazione principale solo quelle accatastate come C2, C6 e C7, fino a un massimo di una sola pertinenza per categoria. Ad esempio se il proprietario di casa ha due garage, può usufruire dell’esenzione dal pagamento di Imu e Tasi per uno solo; se invece è titolare di garage e soffitta, per entrambi non paga le imposte.

Moglie e marito con residenze diverse: si paga l’Imu?

Nel caso in cui i due coniugi abbiano la residenza anagrafica in immobili diversi situati nello stesso Comune, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile.

Viceversa, se ciascuno dei due coniugi (o delle parti dell’unione civile) è proprietario di una casa in cui ha residenza anagrafica e dimora abitualmente e queste sono ubicate in Comuni diversi, entrambi possono fruire, ciascuno per la propria abitazione, delle agevolazioni per l’abitazione principale.

Casa in affitto: chi paga l’Imu e la Tasi?

Nel caso di appartamento in affitto a un inquilino, tocca al proprietario versare interamente l’Imu e la Tasi (prima del 2016, la Tasi veniva divisa tra il proprietario e l’affittuario in base a percentuali fissate dal Comune variabili tra il 70 e il 90% a carico del padrone di casa). Se l’appartamento però non viene adibito ad abitazione principale, l’affittuario non gode di questa particolare esenzione, per cui dovrà ugualmente versare la Tasi secondo le percentuali indicate dal Comune (tra il 10 e il 30% a carico dell’inquilino, e tra il 90 e il 70% a carico del locatore).

È possibile avere uno sconto sulla Tasi?

La disciplina statale della Tasi va coordinata con le norme locali. Ogni Comune può prevedere delle riduzioni ed esenzioni per la Tasi nelle seguenti ipotesi:

  • abitazioni con unico occupante;
  • abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo;
  • locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente;
  • abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di 6 mesi all’anno, all’estero;
  • fabbricati rurali ad uso abitativo.

Per sapere chi può godere dell’agevolazione bisogna chiamare l’ufficio tributi del Comune.

Si pagano Imu e Tasi sulla seconda casa?

Chi possiede una seconda casa oltre a quella principale adibita a residenza e dimora abituale deve sempre pagare l’Imu. L’Imu dunque è obbligatorio per la seconda casa.

Riguardo alla Tasi, il Comune ha margini di discrezionalità per abolire la tassa o ridurla, stabilendo agevolazioni se l’abitazione ha un unico occupante, se viene utilizzata solo per uso stagionale o in modo discontinuo per brevi periodi, per chi vive per più di sei mesi all’estero e nel caso di fabbricati rurali a uso abitativo.

Casa in comproprietà: chi deve pagare l’Imu e la Tasi?

Veniamo all’ipotesi di una casa cointestata a due o più persone (succede spesso in caso di successione ereditaria o di coniugi). Come funziona la divisione e il pagamento delle tasse sulla casa? Ogni proprietario deve pagare la propria quota di Imu e di Tasi. Ad esempio, su una casa in comproprietà al 50%, i titolari pagheranno ciascuno metà dell’imposta; invece nel caso di divisione per quote differenti ciascuno deve versare le imposte in base alla propria quota di proprietà.

L’Imu si calcola proporzionalmente alla quota e ai mesi di possesso dell’immobile (il mese si considera intero se il possesso è durato più di 15 giorni). Per la Tasi vale lo stesso principio con una differenza: in caso di comproprietà dell’abitazione, l’imposta può essere interamente versata anche da un solo comproprietario.

Se il proprietario della casa è in casa di cura paga le tasse sulla casa?

Qualora il proprietario della casa sia ricoverato in una casa di cura dove ha fissato la propria residenza deve ugualmente pagare l’Imu e la Tasi sulla casa vuota? La risposta dipende dal Comune. Infatti l’amministrazione locale può considerare la vecchia abitazione ancora come quella principale ed escluderla dalla tassazione. Ma ciò a patto che non venga data in affitto. Anche in questo caso è necessario recarsi all’ufficio tributi del Comune per maggiori informazioni.

Sulla casa assegnata all’ex coniuge chi paga l’Imu e la Tasi?

Se la casa, di proprietà del marito, viene assegnata alla moglie dopo la separazione e/o il divorzio, è quest’ultima che deve pagare l’Imu. Difatti il pagamento dell’Imu spetta a chi rimane nell’immobile, indipendentemente dal fatto che sia o meno il proprietario. Tuttavia, la moglie godrà dell’esenzione Imu in quanto si tratta dell’abitazione principale e pertanto non dovrà versare nulla. In buona sostanza, in caso di immobile assegnato all’ex coniuge, l’Imu non è dovuto da entrambi i soggetti.

Invece la Tasi va ripartita tra proprietario e occupante secondo le percentuali fissate dal Comune: le percentuali a carico dell’occupante possono variare tra il 10 e il 30%.

Casa prestata al figlio: chi paga la Tasi?

Immaginiamo un’ipotesi molto ricorrente nelle famiglie: il padre dà in prestito la propria casa al figlio perché vi vada a vivere da solo o con la famiglia. Si verifica una ipotesi di «comodato».La TASI è dovuta dal proprietario e dal parente comodatario (se quest’ultimo non la utilizza come abitazione principale). Tuttavia, in presenza in caso di parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale è dovuta solo dal proprietario nella misura del 50% della sua quota (variabile dal 70% al 90%). Inoltre,  il contratto di comodato deve essere registrato (3); il comodante deve risiedere e dimorare abitualmente nel comune in cui si trova l’immobile concesso in comodato; deve infine possedere un solo immobile ad uso abitativo (non di lusso) in Italia e, eventualmente, un altro immobile (non di lusso) adibito a propria abitazione principale, nel medesimo comune.

domenica 5 novembre 2017

Mutui, quale sarà l'effetto delle decisioni di Draghi sui tassi?


Notizie immobiliari|Luigi Dell'Olio (collaboratore di idealista news)

 

Donald Trump ha scelto di cambiare la guida della Fed, sostituendo dal febbraio prossimo Janet Yellen (erano 40 anni che un governatore non veniva mandato a casa dopo un solo mandato quadriennale) con Jerome Powell, che già siede nel board della banca centrale americana. La Bank of England è tornata ad alzare il tasso ufficiale dopo dieci anni, portandolo da 0,25% a 0,50%, con la comunicazione al mercato che altre strette potranno arrivare nei mesi a venire. In tutto ciò spicca l’atteggiamento della Bce, con Mario Draghi che invece resta fermo nella politica dei tassi a zero, offrendo un’ulteriore spinta a chi sottoscrive un finanziamento per l’acquisto di un immobile.

Finanziamenti a basso costo

“La decisione di prorogare fino a settembre 2018 il quantitave easing - con acquisti di titoli di stato pari a 30 miliardi di euro al mese - ha preso in contropiede alcuni osservatori che prevedevano una riduzione più rapida della spinta monetaria al sistema economico europeo”, commenta Stefano Rossini, ad di MutuiSupermarket.it. “Questa decisione ha come effetto di ritardare di qualche mese l’aumento del costo del denaro in Europa, permettendo quindi alle banche di mantenere per un periodo più esteso un’offerta di mutui a tassi ridotti e molto competitivi”. Infatti, le mosse di Draghi si aggiungono al rinnovato interesse degli istituti di credito per il business dei mutui (che ha tassi di sofferenze ridotti rispetto alle altre tipologie di prestiti), che sta portando a una prolungata battaglia sui prezzi. Anche perché con il prodotto mutuo spesso le banche riescono a conquistare un cliente, al quale poi possono proporre altri prodotti della casa, soprattutto quelli in grado di offrire margini più elevati ai conti aziendali.

Euribor negativo

“Per quanto riguarda i mutui a tasso variabile, gli analisti di mercato si attendono a questo punto un Euribor negativo (il parametro di base per la misurazione del tasso variabile, ndr) per tutta la durata del quantitative easing e alcuni pronosticano un ritorno al segno positivo non prima di fine 2019 inizio 2020”, aggiunge Rossini. Con riferimento ai mutui a tasso fisso - che si basano sull’indice IRS determinato dall’andamento delle previsioni sui tassi per i prossimi 20 - 30 anni – “le migliori offerte continueranno la dinamica in atto di rialzo progressivo, anche se a questo punto a ritmi più contenuti rispetto a quanto atteso prima della recente comunicazione della Bce”.

Cosa attendersi

Roberto Anedda, direttore marketing di MutuiOnline.it, offre una visione di quello che possono attendersi coloro che hanno in mente di accedere a un finanziamento per l’acquisto della casa. “I futures sull’Euribor ipotizzano una risalita dell’indice solo a partire dalla metà del 2018, ma con un ritmo molto graduale”. Questo significa che anche i mutui a tasso variabile non sono attesi a strappi verso l’alto. “Attualmente l’Euribor è tra -0,30% e –0,37% e i futures vedono un ritorno allo zero solo verso la fine del 2019”, aggiunge l’esperto. “Per rivedere livelli intorno all’1%, invece, si dovrebbe attendere il 2022”. A conti fatti questo significa che la scelta del tasso variabile dovrebbe rimanere sensibilmente più conveniente del fisso ancora per diverso tempo. Così, può essere il caso di scegliere questa opzione, ferma restando la possibilità di surrogare il contratto dopo qualche anno, se davvero la situazione dei tassi ufficiali portasse troppo in alto la rata dei mutui. Senza dimenticare che il sistema adottato dalle banche italiane (detto “alla francese”), la maggior parte degli interessi si paga nei primi anni.

È il momento di comprare

Buone notizie quindi per chi è interessato all’acquisto di una casa nei prossimi anni. Considerando le durate dai vent’anni in su, le più richieste per i mutui, i migliori tassi fissi segnalati da Mutuionline.it si attestano al di sotto del 2%, e i tassi variabili più convenienti si trovano tra 0,60% e 0,80%. “Si potrà godere ancora per diverso tempo dello scenario favorevole che si è concretizzato in questi ultimi due anni, con tassi sui mutui vicini ai minimi storici”, ricorda Anedda. Che invita a considerare anche un altro aspetto: “I prezzi delle case sono in calo” e ormai il trend ribassista si va esaurendo, considerando che in qualche piazza (a cominciare da Milano) ci sono i primi segnali di ritorno alla crescita.

Proroga cedolare secca 2018: cosa prevede la manovra


Notizie immobiliari|Redazione


Nella manovra appena approdata in Senato è contenuta la famosa proroga della cedolare secca al 10% per i contratti a canone concordato, oltre ad altre misure che riguardano il settore immobiliare. Ma contrariamente alle prime bozze circolate, non vi è traccia della stabilizzazione, né tantomeno dell'estensione delle agevolazioni anche ai locali commerciali. Vediamo cosa prevede il nuovo testo.

Cedolare secca 2018 canoni concordati

Per i contratti stipulati a canone concordato è arrivata la tanto attesa proroga dell'aliquota al 10%. Contrariamente alle prime bozze della manovra che circolavano nei giorni scorsi e in cui era previsa una stabilizzazione dell'agevolazione, l'estensione varrà per il prossimo biennio 2018-2019.

Il contratto di locazione a canone concordato è caratterizzato da un canone calmierato, a differenza del canone libero che dipende dai prezzi di mercato. Tale tipologia può essere utilizzata per i contratti a uso abitativo, a uso transitorio e per gli studenti universitari. Riguarda le abitazioni di proprietà dei privati concesse in locazione a privati, studenti e cooperative/enti senza scopi di lucro.

Nel contratto di locazione a canone concordato il canone non può superare un tetto massimo stabilito da accordi territoriali tra le principali organizzazioni dei proprietari e degli inquilini. La durata del contratto di locazione a canone concordato può essere di 3 anni + 2 di rinnovo (o 3) per le abitazioni; di 6 mesi fino a 3 anni per gli studenti universitari; di 1 mese fino a 18 mesi per i contratti transitori.

cedolare secca 10 agenzia entrate

Ma a quali contratti si applica la cedolare secca al 10%? Seconda un recente chiarimento dell'Agenzia delle Entrate, la cedolare ridotta si applica ai "contratti di locazione che, oltre a essere riferiti a unità immobiliari ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia, nonché i comuni confinanti con gli stessi e gli altri comuni capoluogo di provincia) e negli altri comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), siano stipulati a canone concordato sulla base di appositi accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini (articolo 9, comma 1, Dl 47/2014)".

Il commento di Confedilizia

Confedilizia, da tempo impegnata per l'estensione della cedolare secca ai locali commerciali, in una nota ha commentato le novità della manovra. "Per quanto riguarda gli affitti abitativi, viene prorogata fino al 2019 la speciale aliquota del 10% della cedolare secca per le locazioni a canone calmierato, che era stata prevista per un quadriennio con scadenza al 31 dicembre 2017, ma la limitazione di questo regime fiscale a due anni rischia di impedirne l'effetto incentivante, soprattutto considerata la durata quinquennale dei contratti interessati. All'esame parlamentare, poi, è affidata l'elaborazione di una norma che - come richiesto dalla maggioranza e da gran parte dell'opposizione in sede di esame della nota di aggiornamento al Def - introduca anche nel settore non abitativo una tassazione sostitutiva dei redditi da locazione

sabato 4 novembre 2017

Omessa registrazione affitto uso commerciale


Omessa registrazione affitto uso commerciale


Anche il contratto di locazione di immobile a uso non abitativo deve essere registrato a pena di nullità.

La legge, come noto, impone che il contratto di affitto a uso abitativo sia non solo scritto, ma anche registrato presso l’Agenzia delle Entrate. In caso contrario – è il caso del cosiddetto «affitto in nero» o con semplice accordo verbale – il contratto è nullo. La conseguenza è drammatica per il locatore: alcun canone gli è dovuto, è possibile il recesso senza preavviso e non potrà usare la procedura di sfratto in caso di morosità ma dovrà agire con una causa ordinaria di occupazione senza titolo. Detto ciò, che succede in caso di omessa registrazione di affitto a uso commerciale?

Come noto la locazione a uso abitativo presenta numerose differenze rispetto alla locazione a uso non abitativo, non in ultimo la durata massima della morosità oltre la quale avviare lo sfratto: dopo 20 giorni di ritardo nel caso dell’affitto a uso abitativo, quando risulta “grave” (a parere del giudice) nel caso dell’affitto a uso commerciale.

Una recente sentenza della Cassazione [1] affronta quindi il problema della mancata registrazione dell’affitto a uso commerciale. Ecco cosa dicono i giudici supremi.

In tema di locazione immobiliare per uso non abitativo, la mancata registrazione del contratto si pone in contrasto con la legge [2] secondo cui: i «contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Il contratto è dunque nullo per violazione di norme imperative.

Tuttavia, è possibile sanare la nullità con una registrazione tardiva del contratto stesso. La registrazione tardiva non solo regolarizza le parti da un punto di vista fiscale (le sanzioni per l’evasione fiscale sono infatti ridotte se la registrazione avviene entro un anno, grazie al meccanismo del ravvedimento operoso), ma anche “mette in salvo” il contratto da tutte le conseguenze civilistiche della nullità. Il che significa che per le annualità/mensilità in cui il contratto non è stato registrato non è più possibile chiedere la restituzione dei canoni di locazione. La registrazione, dunque, anche se avviene in ritardo rispetto al termine di legge (30 giorni dalla data di stipula del contratto) ha effetto “retroattivo” e sana il contratto che, altrimenti, sarebbe stato nullo e non avrebbe prodotto alcun effetto.

La registrazione tardiva con effetto sanante è implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l’esigenza di contrastare l’evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonché con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributaria con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998.

Tanto è anche il pensiero delle Sezioni Unite della Cassazione che, sul tema, si sono riferite in particolare al contratto di locazione a uso abitativo [3]. Leggi sul punto la guida: Affitto: nuovi termini per la registrazione. In pratica, con la registrazione tardiva dell’affitto – sia esso a uso abitativo che a uso commerciale – si può usufruire dei seguenti vantaggi:

Vantaggi fiscali

  • se la registrazione avviene entro 90 giorni, si può sfruttare la sanzione ridotta del 12%,
  • dal 91° giorno oltre la scadenza, ma entro l’anno, la sanzione è nella misura ridotta del 15%;
  • oltre l’anno la sanzione è pari al del 120% dell’imposta di registro dovuta.

Vantaggi civilistici

Il contratto è valido anche per il periodo anteriore alla registrazione, periodo che altrimenti sarebbe stato affetto da nullità.

note

[1] Cass. sent. n. 20858/17 del 6.09.2017.

[2] Legge n. 311 del 2004, art. 1, co. 346.

[3] Cass. S.U. sent. n. 23601/2017.

Il fitto di casa è detraibile?


Il fitto di casa è detraibile?

L’AUTORE: Ambrogio Dal Bianco

I giovani fino a 30 anni, gli studenti universitari fuori sede, gli inquilini a basso reddito e i lavoratori dipendenti trasferiti per motivi di lavoro possono usufruire di una apposita detrazione.

Indice

Le fonti della detrazione

In base alla legge sugli immobili adibiti ad uso abitativo è possibile stipulare diverse tipologie di contratti di locazione sulla base di accordi territoriali definiti e sottoscritti da diversi comuni, dalle organizzazioni di proprietari e inquilini, destinati ad essere rinnovati periodicamente per adeguarne il contenuto al mercato [1].

Quest’anno il Ministero delle infrastrutture e del commercio è intervenuto sulla disciplina prevedendo la possibilità, sia per i proprietari che per gli inquilini, di usufruire di benefici fiscali, sotto forma di detrazioni dall’Irpef in sede della dichiarazione dei redditi per i canoni di locazione pagati e ciò a prescindere dalla localizzazione degli immobili, purchè esistano degli accordi territoriali [2].

Le agevolazioni per il proprietario

Per il proprietario che stipula un contratto di locazione a canone concordato il reddito da tassare è dato, come di consueto, dal valore più alto tra la rendita catastale, rivalutata del 5%, e il canone di locazione (aggiornato con le rivalutazioni Istat), ridotto del 5%.

Qualora si stipuli un contratto concordato, la riduzione è prevista per un ulteriore 30%, quindi il reddito imponibile derivante al proprietario dai contratti stipulati o rinnovati a seguito di accordo definito in sede locale è ulteriormente ridotto.

Il proprietario potrà inoltre optare per la cedolare secca che comporterà la tassazione separata del canone con un aliquota del 21% ridotta al 10% per i contratti di locazione concordati.

Altre agevolazioni riguardano l’imposta di registro, giacchè il corrispettivo annuo da considerare per il calcolo dell’imposta è assunto per il 70% del totale. Si avrà diritto all’agevolazione (riduzione del 30% della base imponibile) se l’immobile locato si trova in un Comune considerato ad alta “tensione abitativa” e se la locazione ha ad oggetto immobili urbani ad uso abitativo.

Le imposte di bollo e registrazione vengono azzerate se si opta per la tassazione con la cedolare secca.

Infine, per i proprietari che concedono con contratto concordato un immobile a titolo di abitazione principale ad una persona che vi prenda la residenza anagrafica, l’aliquota per IMU e TASI è ridotta al 75% [3].

In ogni caso, nessuna detrazione è prevista se il reddito è superiore a 30.987,41.

Le detrazioni per i contratti di locazione a favore di giovani

Per i contratti stipulati con giovani di età compresa tra i 20 anni e 30 anni per l’unità immobiliare da destinare ad abitazione principale è prevista, in sede della dichiarazione dei redditi una detrazione pari a  991,60 euro.

Questa detrazione spetta per i primi 3 anni, se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro.

Sarà però necessario che l’immobile in questione sia diverso dall’abitazione principale dei genitori.
Ai fini dell’agevolazione, il requisito dell’età è soddisfatto qualora ricorra anche per una parte del periodo d’imposta in cui si intende fruire della detrazione.

Detrazioni per i contratti di affitto a favore di lavoratori dipendenti trasferiti

Specifiche detrazioni sono previste a favore dei lavoratori dipendenti, che per motivi di lavoro:

  • – trasferiscono la propria residenza nel comune del lavoro o limitrofo;
  • – il nuovo comune di trovi ad almeno 100 chilometri di distanza dal precedente e comunque fuori dalla propria regione;
  • – la residenza nel nuovo comune sia stata trasferita da non più di 3 anni dalla richiesta della detrazione.

Tale detrazione sarà pari a:

  • – 991,60 euro se il reddito complessivo non supera i 15.493,71 euro;
  • – 495,80 euro se il reddito complessivo supera i 15.493,71 euro ma non i 30.987,41 euro

e potrà essere fruita per i primi 3 anni dal trasferimento della residenza.

Detrazioni per i contratti di affitto stipulati con studenti universitari

La detrazione Irpef è prevista anche per gli studenti universitari che stipulano o rinnovano un contratto di locazione.

In questo caso sarà riconosciuta una detrazione del 19% calcolata su un importo massimo di 2.633,00 euro e potrà beneficiarne sia lo studente che il familiare di cui lo stesso risulta fiscalmente a carico.
tale detrazione sarà accordata al ricorrere delle seguenti condizioni:

  • – l’università si trovi in un comune distante almeno 100 chilometri da quello di residenza dello studente;
  • – il comune di residenza dello studente appartenga comunque ad una provincia diversa da quella in cui è situata l’università;
  • – il contratto di locazione sia stipulato, o rinnovato, a canone “convenzionale” [4].

Recentemente sono stati chiariti gli schemi contrattuali che consentono la detrazione dei canoni corrisposti da studenti che frequentano università italiane, consistenti in:

  • – contratti di locazione stipulati o rinnovati relativi a un’unità immobiliare destinata a uso abitativo. Sono detraibili, quindi, anche i canoni corrisposti in relazione a contratti a uso transitorio o quelli relativi a un posto letto singolo redatti in conformità alla legge senza che sia necessario la stipula di un contratto specifico per studenti;
  • – i contratti di ospitalità e gli atti di assegnazione in godimento o locazione stipulati con enti per il diritto allo studio, università, collegi universitari legalmente riconosciuti, enti senza fine di lucro e cooperative [5].

Detrazioni per contratti di locazione stipulati con inquilini di alloggi sociali adibiti ad abitazione principale

La detrazione Irpef è prevista anche per gli inquilini di alloggi sociali adibiti ad abitazione principale. Per alloggi sociali devono quelli concessi a soggetti o nuclei familiari disagiati che non sono in grado di accedere al libero mercato [6].

In tali casi l’importo della detrazione spetta nella misura di:

  • – 900,00 euro se il reddito complessivo non supera i 15.493,71 euro;
  • – 450,00 euro se il reddito complessivo supera i 15.493,71 euro ma non i 30.987,41 euro.
note

[1] legge 431/98, articolo 2 comma 3.

[2] decreto interministeriale del 16/01/2017.

[3] legge 208/15, articolo 1, commi 53-54.

[4] ai sensi della legge 431/98.

[5] circolare dell’Agenzia delle entrate n. 7 del 4 aprile 2017.

[6] decreto del Ministro delle infrastrutture del 22 aprile 2008.

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