mercoledì 26 giugno 2019

Mutuo per acquistare casa? fai attenzione…perchè pagare un immobile meno dell’ammontare dell’importo erogato dalla banca potrebbe costarti molto caro….

Acquisto casa: come il valore del mutuo ti frega col Fisco

Il mio amico  ha saputo che….

Quell’altro  ha detto che si può fare…

Ma Fanno tutti così…il cugino di mia nonna è riuscito a……

Sarà vero??

Cosa?

Lo so che che tutti vorrebbero ottenere un mutuo che consenta di pagare oltre l’acquisto della casa anche i mobili,il trasloco,il cane,la colf,e il regalino alla suocera ma…..se chiedi un mutuo per acquisto prima casa dunque all’80% certi magheggi potrebbero avere risvolti inaspettati…

Leggi l’articolo di seguito:

Acquisto casa: come il valore del mutuo ti frega col Fisco

26 Giugno 2019 | Autore: Paolo Remer


Acquisto casa: come il valore del mutuo ti frega col Fisco


Paolo Remer 


Impossibili i pagamenti in nero quando il mutuo supera il valore dichiarato nell’atto: il Fisco recupera la differenza.

Compri casa da un costruttore ed hai fatto il mutuo per avere i soldi necessari all’acquisto. Fin qui, nulla di strano. Il problema arriva se l’importo del mutuo supera il valore dell’immobile: precisamente, se nell’atto di compravendita dichiari un prezzo inferiore all’80% rispetto alla somma presa in mutuo sono guai grossi con il fisco, che ti manda un avviso di accertamento e così ti frega proprio quando eri tu che pensavi di aver fregato lui.

Facciamo un esempio: il tuo mutuo è di 120.000 euro; nell’atto dal notaio, però, tu e l’impresa venditrice dichiarate un valore inferiore attribuito al bene immobile acquistato, diciamo 76.000 euro. Pensate di risparmiare sulle imposte ma non è così: la sproporzione tra la somma presa in mutuo ed il valore dichiarato è evidente e il fisco se ne accorge subito.

Scatta l’accertamento, il valore dell’appartamento viene riportato a quello del mutuo (anzi, un po’ di più, come vedremo tra poco) e dovrai pagare le imposte sulla differenza ed anche le sanzioni. Non c’è rimedio, perché la cosa non si spiega se non con un prezzo dichiarato fasullo, che nasconde un pagamento in nero fatto per evadere le tasse.

L’esempio che abbiamo fatto corrisponde ad un caso deciso proprio oggi con sentenza della sezione tributaria della Cassazione [1]. Un’impresa costruttrice aveva venduto un appartamento ad un privato che si era finanziato con un mutuo. Le parti però davanti al notaio avevano dichiarato un prezzo fittizio, inferiore al reale e, soprattutto, molto più basso della somma presa in mutuo dall’acquirente.

Sappiamo che le banche solitamente arrivano a finanziare al massimo l’80% del valore dell’immobile e prima di concedere il mutuo fanno una perizia sull’immobile per vedere quanto vale effettivamente. Le banche si garantiscono con l’ipoteca (se le rate del mutuo non vengono pagate l’immobile viene pignorato e venduto all’asta ed il creditore si soddisfa così sul ricavato) e non rischiano mai di dare un finanziamento di importo maggiore del valore del bene per cui viene concesso. Anche volendo non potrebbero: la soglia dell’80% è fissata dalla legge [2] e sono rari i casi in cui il mutuo arriva a coprire il 100% perché per ottenere questo servono garanzie speciali che pochi sono in grado di offrire.

Tornando al caso deciso dalla Cassazione, il ragionamento del fisco, accolto dai giudici, è il seguente: è impossibile che un immobile finanziato con un mutuo di 120.000 euro possa essere stato venduto ad appena 76.000. Quell’appartamento – oltretutto nuovo di zecca – valeva molto di più, diciamo almeno 150.000 euro (abbiamo visto che il mutuo erogato copriva l’80% del valore). Questo è il valore reale della casa. Oltretutto, nel caso esaminato quello stesso costruttore aveva venduto un altro appartamento nello stesso palazzo ad un valore ben maggiore.

Quindi l’acquirente avrà pagato al costruttore proprio quella cifra, dichiarando solo poco più della metà nell’atto pubblico. Tutta la differenza è stata pagata in nero: c’è stata sottofatturazione ed evasione fiscale delle imposte sull’acquisto della casa. Il reddito d’impresa viene rettificato con facilità dall’Agenzia Entrate e tutto il dovuto (Ires, Irap ed Iva) è recuperato a tassazione. L’impresa costruttrice aveva impugnato la cartella, ma inutilmente: i giudici tributari le hanno dato torto e la Cassazione ha confermato, condannandola a pagare anche le spese di giudizio.

note

[1] Cass. sent. n. 16951/2019 del 26 giugno 2019.

[2] Art. 38 D.Lgs. 1 settembre 1993, n.385 “Testo Unico Bancario” e delibera Cicr (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) del 22 aprile 1995.

giovedì 13 giugno 2019

Condomini: sui parcheggi si pagano IMU e TASI


di Redazione PMI.it

Risultati immagini per parcheggio

IMU e TASI si pagano anche sui parcheggi condominiali e senza esoneri prima casa, con versamento e dichiarazione a cura dell'amministratore: dettagli, normativa, scadenze.

IMU e TASI si pagano anche sui parcheggi condominiali e a versare le imposte deve essere l’amministratore, utilizzando le disponibilità finanziarie del condominio stesso e attribuendo le quote al singolo condomino. Questo vale, in generale, per il versamento delle imposte relative alle parti comuni dell’edificio.

=> Scadenza acconto IMU TASI 2019: novità sulle aliquote

Imposte sulle parti comuni

I proprietari dei singoli appartamenti di un condominio, infatti, devono versare le imposte comunali sugli immobili di loro proprietà ma devono anche partecipare al pagamento di IMU e TASI per le parti comuni dell’edificio.

A individuare l’amministratore del condominio come colui che è responsabile del pagamento di tali imposte è l’articolo 19 della legge n. 388/2000 sull’ICI, che ha poi lasciato il posto all’IMU. Il decreto legislativo n. 504/1992 ha inoltre affidato all’amministratore anche l’obbligo dichiarativo.

=> Amministratori condominio verso nuovi obblighi

Tra le parti comuni vi sono anche i parcheggi, ai quali si applicano IMU e TASI. Tra l’altro queste imposte, con riferimento alle parti comuni, si applicano anche ai proprietari di immobili utilizzati come abitazione principale, normalmente esonerati.

Questo perché il beneficio non può essere esteso ad una proprietà che non è esclusiva del singolo, ma è di proprietà di un soggetto giuridico diverso, ovvero il condominio.

Va ricordato poi che l’articolo 2, comma 1, lettera g) del decreto 16/2014 ha abrogato il comma 670 dell’art. 1 della Legge di Stabilità che stabiliva l’esenzione dal pagamento per le aree pertinenziali di immobili già tassati e per le aree condominiali Comuni, prevedendo così l’applicazione della tassa sui servizi indivisibili sulle parti comuni condominiali, compresi i parcheggi.


Ricordiamo che la prossima scadenza per il versamento dell’acconto, o dell’unica rata, di IMU e TASI è prevista per il 17 giugno 2019. L’eventuale seconda rata andrà versata entro il 16 dicembre.

Debiti del condominio, chi li paga?


Ecco cosa dice la sentenza n. 12715 della Cassazione 

I debiti del condominio, chi li paga? Vediamo quanto specificato dalla sentenza n. 12715 della Cassazione.

Con la sentenza n. 12715 del 14 maggio 2019, la terza sezione civile della Cassazione ha specificato che nel caso in cui l’amministratore non paghi i fornitori, i condomini rischiano non solo il pignoramento dei propri beni, ma anche della quota di spese comuni dovuta al condominio sulla base dei riparti approvati dall’assemblea.

Per il recupero di quanto dovuto, dunque, i creditori del condominio hanno la possibilità di intraprendere una nuova strada nel caso in cui il conto corrente condominiale non sia capiente. Cambia quindi qualcosa rispetto a quanto previsto dalla riforma del condominio del 2012.

Nello specifico, con la riforma del condominio, da un lato il legislatore ha obbligato l’amministratore a fornire ai creditori che lo richiedano i dati personali dei condomini in mora nel versamento delle spese condominiali, dall’altro ha previsto che il credito vada recuperato in primis nei confronti di questi ultimi e solo in via subordinata verso tutti gli altri comproprietari.

Sulla base di quanto previsto dall’articolo 63 disp. att. c.c., chi vanta un credito nei confronti della compagine condominiale deve in primo luogo ottenere un titolo esecutivo nei confronti del condominio, in persona dell’amministratore pro tempore, ricevere poi da quest’ultimo i dati personali dei morosi, in modo da agire esecutivamente nei loro confronti. Solo nel caso in cui queste azioni si rivelino in tutto o in parte infruttuose, si potrà agire esecutivamente – e sempre pro quota – nei confronti dei condomini non morosi, previa notifica anche a questi ultimi del titolo e del precetto. Una procedura lunga e complicata, tanto che in questi anni numerosi tribunali hanno ammesso la possibilità di pignorare il conto corrente condominiale.

Ma vediamo il caso che ha dato adito alla sentenza n. 12715/2019. Un fornitore del condominio ha agito in via esecutiva nei confronti di quest’ultimo, nella persona del suo amministratore pro tempore, procedendo al pignoramento presso terzi dei crediti vantati da quest’ultimo nei confronti dei singoli condomini sulla base del riparto del preventivo approvato dall’assemblea. Il condominio e uno dei condomini terzi pignorati, che era debitore del primo per le spese deliberate per la gestione dei beni e dei servizi comuni, hanno proposto opposizione all’esecuzione. In primo grado, il tribunale ha ritenuto infondata l’azione del condominio e inammissibile quella del singolo condomino. La decisione è stata confermata in appello ed entrambi gli opponenti hanno proposto ricorso in Cassazione. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Suprema corte, che però ha ritenuto di esaminare il merito della questione dedotta in giudizio, in considerazione della particolare importanza della stessa.

La terza sezione civile della Cassazione ha quindi stabilito che i creditori possano anche espropriare i crediti vantati dal condominio nei confronti dei singoli comproprietari in relazione ai contributi dovuti e non ancora versati. In questo modo, il creditore del condominio può pignorare le quote che devono versare i singoli condomini in base al preventivo approvato dall’assemblea a prescindere dal fatto che gli stessi siano morosi, come invece previsto dall’articolo 63 disp. att. c.c.. Pur non avendo debiti pregressi con il condominio, anche il condomino in regola con i pagamenti è infatti naturalmente debitore dei ratei in scadenza relativi alle spese comuni e, se raggiunto dalla notifica dell’atto di pignoramento presso terzi, sarebbe obbligato a versare dette somme in favore del creditore del condominio invece che sul conto corrente condominiale.

La Suprema corte ha evidenziato come, secondo i principi generali di cui agli artt. 2740 e 2910 c.c., mediante l’espropriazione forzata sia possibile espropriare al debitore tutti i suoi beni, inclusi i crediti. Affinché l’espropriazione dei crediti vantati dal condominio verso i singoli condomini sia legittima è sufficiente che sia configurabile, sul piano sostanziale, un effettivo rapporto obbligatorio tra le parti avente a oggetto il pagamento dei contributi condominiali.

Secondo i giudici è innegabile che tra condominio e singoli condomini sussista un rapporto obbligatorio relativo al pagamento dei contributi necessari alla gestione dei beni e dei servizi comuni, come presupposto dallo stesso articolo 63 disp. att. c.c., il quale consente all’amministratore di ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo contro i condomini sulla base del solo riparto approvato dall’assemblea. Secondo la Suprema corte, quindi, essendo configurabile sul piano sostanziale un credito del condominio nei confronti dei singoli condomini, laddove sussista un titolo esecutivo in favore di un soggetto terzo nei confronti del condominio, detto credito può essere espropriato ai sensi dei richiamati artt. 2740 e 2910 c.c. e la relativa esecuzione non può che svolgersi nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 ss. c.p.c..

Come sottolineato dalla sentenza, nell’ordinamento non si trova una norma che vieti espressamente detta possibilità e non si può ritenere che tale conclusione violi il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali. Il suddetto principio implica che l’esecuzione contro il singolo condomino non possa avere luogo per l’intero debito del condominio, ma solo nei limiti della sua quota di partecipazione. Laddove l’esecuzione avvenga direttamente contro il condominio, e non contro il singolo condomino, non solo l’esecutato è il condominio, debitore per l’intero, ma l’espropriazione dei beni e diritti del condominio, cioè di beni che, proprio in quanto condominiali, appartengono pro quota a tutti i condomini, finisce addirittura per attuare il richiamato principio di parziarietà.

I giudici di legittimità hanno voluto sottolineare il principio di diritto per cui il creditore del condominio che disponga di un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso ha facoltà di procedere all’espropriazione di tutti i beni condominiali, inclusi i crediti vantati dal condominio nei confronti dei singoli condomini per i contributi dagli stessi dovuti in base a stati di ripartizione approvati dall’assemblea, in tal caso nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi.

mercoledì 12 giugno 2019

Imu e Tasi comodato d'uso: come ottenere la riduzione


Gtres 


Il 17 giugno è l'ultimo giorno in cui i proprietari di seconde case e di abitazioni di lusso potranno versare la seconda rata di Imu e Tasi per il 2019.

Imu e comodato d'uso

Gli immobili concessi in comodato d'uso gratuito (familiare o no) possono usufruire di uno sconto del 50% sulla base imponibile, a patto che rispettino determinate condizioni. La legge di Stabilità 2016 e la circolare n.1/DF del 17 febbraio 2016, hanno definito i requisiti e i campi di applicazione della riduzione del 50% della base imponibile di Imu e Tasi.

  • può essere utilizzato dai proprietari di un solo imobile oppure di 2 immobili nello stesso comune uno dei quali deve essere necessariamente adibito ad abitazione principale. L'immobile o i due immobili devono essere ubicati nello stesso comune dove il proprietario ha la residenza e la dimora abituale;
  • per "immobile" è inteso un immobile ad uso abitativo;
  • si considerano anche le pertinenze secondo i limiti previsti per l'abitazione principale (massimo tre pertinenze, una per ogni categoria catastale c2, c6 e c7);
  • il possesso di un'altra tipologia, come un terreno agricolo, un'area edificabile o un capannone non esclude la possibilità di usufruire della riduzione del 50%, purché gli immobili ad uso abitativo siano massimo 2, situati entrambi nel comune di residenza del proprietario e uno risulti essere la sua abitazione principale;
  • la riduzione si applica anche agli immobili storici, quindi nel caso di un immobile storico dato in comodato d'uso gratuito la base imponibile sarebbe ridotta al 25%;
  • il comodato si applica solo tra figli e genitori, non è valido tra parenti al di là del primo grado;
  • Sono esclusi i comodati per le abitazioni di lusso (categorie catastali a1, a 8 e a9);
  • per beneficiare della riduzione della base imponibile, il propietario deve attestare il possesso dei requisiti al comune tramite apposita dichiarazione;
  • il contratto di comodato deve essere necessariamente registato presso l'Agenzia delle Entrate. Non vale nessuna scrittura privata. Per ottenere l'agevolazione non vale la data della registrazione, ma la data della stipula dello stesso.

Comodato d'uso gratuito

Come specificato dal Mef, poiché la base imponibile della Tasi è la stessa dell'Imu, la riduzione vale anche ai fini Tasi, per cui il proprietario verserà l'imposta con riduzione del 50% in base alla quota di ripartizione prevista dal Comune (dal 70% al 90%) mentre il comodatario con pagherà la Tasi perché per lui l'immobile è abitazione principale.

Imu e Tasi, le sanzioni per il pagamento in ritardo


Gtres 

Il 17 giugno è l'ultimo giorno a disposizione per pagare la prima rata 2019 di Imu e Tasi. Ma che succede a chi non ha rispettato la scadenza prevista? Molto semplice: si va incontro a sanzioni, il cui importo varia a seconda del tempo impiegato per regolarizzare la propria posizione con il Fisco

Tramite il "ravvedimento operoso", il contribuente ha un anno di tempo per versare quanto dovuto con un importo maggiorato con gli interessi e le sanzioni dovute. Ecco come funziona questo strumento.

Pagamento Imu in ritardo

Il ravvedimento operoso prevede il pagamento, oltre la somma dovuta, anche di sanzioni e interessi, che possono variare a seconda del ritardo con il quale verranno versati gli importi. Ci sono quattro diversi tipi di ravvedimento:

  • Ravvedimento sprint - per un ritardo fino a 14 giorni si calcola una sanzione pari allo 0,2% al giorno fino a un massimo del 2,8% per 14 giorni di ritardo più gli interessi (dal 1º gennaio 2015 il tasso di interesse annuo è stato fissato allo 0,5%);
  • Ravvedimento lungo - ritardo dal 31º giorno fino a un anno. La sanzione è del 3,75% più gli interessi, da calcolarsi al saggio legale annuo dello 0,5%;
  • Ravvedimento breve - per un ritardo dal 15º fino al 30º giorno, la sanzione da applicare sarà pari al 3% più gli interessi da calcolare (aliquota dello 0,5% annuo);
  • Ravvedimento medio - si applica dopo il 30º giorno e fino al 90º e prevede una sanzione fissa del 3,33% dell'importo da versare più gli interessi giornalieri calcolati sul tasso di riferimento annuale.

domenica 9 giugno 2019

Bce: Draghi blocca i tassi, cosa succede ora?


Gtres 

Mario Draghi, presidente della Bce, ha deciso di mantenere i tassi d’interesse agli attuali minimi record. Vediamo cosa potrebbe comportare e le prime reazioni dei mercati.

Nella nota diffusa dalla Banca centrale europea si legge che i tassi non verranno mutati "almeno fino alla prima metà del 2020". Fino ad allora, quindi, il tasso principale rimarrà a zero, quello sui depositi a -0,40% e quelli sui rifinanziamenti marginali a 0,25%.

"Il Consiglio direttivo - si legge nella nota della Bce - si attende ora che i tassi di interesse di riferimento della Bce si mantengano su livelli pari a quelli attuali almeno fino alla prima metà del 2020 e in ogni caso finché sarà necessario per assicurare che l'inflazione continui stabilmente a convergere su livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio termine".

La Bce lancia inoltre un nuovo maxi-prestito alle banche, il Tltro-III, grazie al quale gli istituti di credito che concederanno prestiti netti superiori a un valore di riferimento beneficeranno di un tasso d'interesse ribassato "fino a raggiungere un livello pari al tasso medio applicato ai depositi presso la banca centrale per la durata dell'operazione, con l'aggiunto di 10 punti base". Attualmente il tasso sui depositi è -0,40% e dunque tale tasso potrà arrivare fino a -0,30%.

Quello che doveva essere un messaggio più accomodante, ovvero garantire che i tassi dell’area restino sugli stessi livelli almeno fino alla metà del prossimo anno, è stato infatti letto in modo diametralmente opposto dal mercato.

Uno dei segni tangibili è l’avanzata dell’euro, tornato a quota 1,13 dollari per la prima volta da quasi due mesi a questa parte. In secondo luogo, anche le Borse europee hanno reagito abbastanza freddamente, tanto che hanno chiuso in ordine sparso non lontane dalla parità (+0,11% per Piazza Affari) e ben al di sotto dei massimi di giornata.

Discorso a parte, invece, per i movimenti dei titoli di Stato, che hanno avuto una reazione più in linea con la sostanza del discorso di Draghi. A dimostrazione c’è il calo dei rendimenti in tutta Europa (esclusa l’Italia, ma soltanto per via delle perduranti tensioni sul nostro debito pubblico).

Mercato dei mutui, la strana frenata del 2019


mutuo casa 

Nonostante le condizioni restino ancora favorevoli, a sorpresa per il mercato dei mutui ci si potrebbe aspettare un 2019 all’insegna della contrazione. Lo dicono i dati MutuiSupermarket.

Secondo la bussola Crif-Mutuisupermarket, infatti, le nuove domande di mutuo hanno registrato complessivamente un calo di circa il 9% nel periodo da gennaio ad aprile oltre ad un calo del 5-6% nelle erogazioni da parte degli istituti di credito nel primo trimestre dell’anno.

Un dato sorprendente che di certo poco ha a che fare con l’andamento dei tassi: dal punto di vista finanziario infatti tutto continua ad essere favorevole alla stipula di un mutuo. I tassi, sia fissi che variabili, rimangono su livelli decisamente bassi grazie all’andamento di Eurirs ed Euribor, sempre sui minimi. Anche gli spread bancari, benché in lieve aumento negli ultimi mesi  - come evidenziato anche dalla relazione annuale di Banca d’Italia – concorrono comunque ad un tasso finito che è più conveniente rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

“I migliori fissi – segnala MutuiSupermarket, - oggi si collocano a un costo complessivo (Taeg, Tasso annuo effettivo globale che comprende oltre agli interessi anche eventuali spese iniziali e accessorie) inferiore al 2%. È vero che negli ultimi mesi le banche più aggressive hanno aumentato un po’ gli spread (portandoli dal paradossale 0 intorno allo 0,5%, si veda grafico) ma questo aumento è stato compensato dalla contemporanea perdita di 30-40 punti base degli indici Irs, sulla base dei quali si calcola il tasso finale il giorno della stipula dal notaio. A conti fatti il Taeg medio dei mutui a tasso fisso non è quindi mutato e rimane appunto sui livelli più bassi di sempre. Mentre i migliori prestiti ipotecari a tasso variabile continuano a viaggiare abbondantemente sotto l’1% (si parte da uno spread dello 0,9% a cui va poi sottratto l’indice Euribor che si aggira intorno a -0,3%)”.

Resta poi vera la concomitanza di tassi bassi e prezzi in calo delle abitazioni, che ha determinato il boom di compravendite negli ultimi tempi. “Nel primo trimestre del 2019 – sottolinea Mutuisupermarket, - il prezzo medio al mq degli immobili usati (i più venduti) è diminuito dello 0,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno mentre quello degli immobili di nuova costruzione è cresciuto del . Valori che sintetizzano un mercato dei prezzi relativamente stabile, non certo in preda a un’euforia dalla quale prendere le distanze”.

In tutto questo, non risulta che le banche siano meno propense ad erogare prestiti: potrebbero anzi, nei prossimi mesi, operare un nuovo taglio dei tassi offerti. Come mai, allora, questa frenata nel mercato dei mutui?

“Non sono diminuite, come prevedibile, solo le surroghe, - spiega Stefano Rossini, ad di MutuiSupermarket.it. - Ma sorprende registrare anche una contrazione delle erogazioni di mutuo con finalità acquisto casa. E i motivi sono principalmente due. Da un lato il venir meno di una buona parte del supporto del fondo Consap, rifinanziato in extremis ma solo per 100 milioni rispetto agli iniziali 650. Si tenga conto che questo fondo che nel 2018 ha garantito circa il 17% del totale dei volumi erogati, in particolare mutui con percentuale di finanziamento oltre l’80% che rappresentano una importante fetta del mercato. Dall’altro lato, - prosegue Rossini, - sta pesando il progressivo clima di incertezza politico-economica, da legarsi a previsioni di crescita asfittica per l’Italia. È importante ricordare che per la gran parte dei privati e famiglie potenziali mutuatari la decisione di acquisto casa parte in primo luogo da una sostanziale sicurezza personale circa le proprie prospettive reddituali ed economiche sul medio e lungo periodo e solo in un secondo momento prende in considerazione il costo dei mutui e i prezzi delle case”.

I conti in bilico del governo potrebbero poi portare ad una soluzione tampone che potrebbe sfociare in soluzioni estreme che si ripercuotano sulla casa. “C’è poi anche chi, - segnala Rossini, - inizia a temere che nel peggior scenario politico immaginabile, ovvero l’arrivo in futuro di un governo tecnico, possa essere introdotta una patrimoniale sugli immobili”.

sabato 8 giugno 2019

Trasformazione da balcone a veranda, serve il permesso di costruire


Serve il permesso di costruire per la trasformazione da balcone a veranda 


Per la trasformazione da balcone a veranda serve il permesso di costruire. A stabilirlo il Tar della Campania nella sentenza 2318/2019. Vediamo perché.

La realizzazione di una veranda rappresenta un intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio con incremento delle superfici e dei volumi e necessita di permesso di costruire. Non è, infatti, una pertinenza urbanistica né può essere camuffato da volume tecnico.

Il Tar ha sottolineato che la creazione di un nuovo volume – come la veranda edificata sulla balconata di un appartamento – altera i prospetti e la sagoma dell’edificio, determinando una variazione planovolumentrica e architettonica dell’immobile. Secondo quanto spiegato dai giudici, in materia edilizia una veranda è da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà, trattandosi di un’opera destinata a non sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell’immobile.

Il Tar ha evidenziato che “la chiusura di una veranda, a prescindere dalla natura dei materiali utilizzati e dalle dimensioni modeste, costituisce un aumento volumetrico, anche ove realizzata con pannelli in alluminio, atteso che, in materia urbanistico-edilizia, il presupposto per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue, così da ottenere una superficie chiusa su un minimo di tre lati”.

I giudici hanno affermato che la realizzazione di una veranda non può essere considerata una pertinenza a fini urbanistici. La giurisprudenza precisa che è necessario distinguere tra il concetto di pertinenza previsto dal diritto civile dal concetto di pertinenza in senso urbanistico, che non trova applicazione in relazione a quelle costruzioni che assumono una funzione autonoma rispetto ad altra costruzione, con conseguente loro assoggettamento al regime del permesso di costruire.

In materia edilizia si possono qualificare come pertinenze solo le opere prive di autonoma destinazione e che esauriscano la loro destinazione d’uso nel rapporto funzionale con l’edificio principale, così da non incidere sul carico urbanistico. Ai fini urbanistici, gli interventi edilizi che, pur legati da un vincolo di servizio al bene principale, non sono tuttavia coessenziali ma ulteriori ad esso, in quanto suscettibili di un utilizzo in modo autonomo e separato e poiché occupano aree e volumi diversi, non possono ritenersi beni pertinenziali, con conseguente loro assoggettamento al regime proprio del permesso di costruire.

Il Tar ha poi sottolineato che il vano creato con la chiusura del balcone non può essere considerato volume tecnico, non computabile nel calcolo della volumetria massima consentita, trattandosi quest’ultima di una nozione riferibile solo alle opere edilizie completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere impianti serventi una costruzione principale, per esigenze tecnico-funzionali della costruzione stessa.

Articolo visto su
Chiusura del balcone in veranda, il Tar spiega perché serve il PdC (Edil portale)

Condonare la veranda. Che cos'è il permesso in sanatoria?

Risultati immagini per veranda in legno


Condonare una veranda, se non esistono leggi sulla sanatoria degli abusi edilizi, è cosa possibile solamente se quella costruzione si sarebbe potuta fare fin dall'inizio

In ambito legislativo esiste una differenza tra condono e permesso di costruire in sanatoria che nel gergo comune si fatica a distinguere.

Per semplificare si potrebbe dire che un conto è fare ciò che non si può, sperando d'essere perdonati, altro è fare ciò che si sarebbe potuto fare senza però prima chiedere i dovuti permessi.

Tra un comportamento e l'altro c'è una significativa differenza: questa diversità incide e non poco sulle conseguenze cui va incontro chi ha tenuto una determinata condotta, nonché sulle possibilità concrete sanare la propria posizione.


Per affrontare la questione del permesso in sanatoria è utile partire da un caso concreto: gli esempi aiutano sempre a comprendere la reale portata delle norme. Ecco qui una situazione che ci è stata sottoposta: «Qualche anno fa (era il 2009) ho costruito una veranda sul balcone che si affaccia sul cortile interno. Siccome adesso sto per vendere la casa vorrei, per evitare problemi, condonarla: è possibile? Ho sentito parlare di una sorta di sanatoria permanente.»

Rispondiamo al dubbio del nostro lettore: quello che si potrebbe ottenere (in ragione del fatto che per quel periodo non sono state emanate così dette leggi di condono edilizio) è il permesso in sanatoria.


Si tratta di una procedura prevista dal Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (d.p.r. n. 380 del 2001). Il permesso in sanatoria è disciplinato dall'art. 36 (norma di rango legislativo) specificato dedicato all'accertamento della conformità.

A mente del primo comma di tale disposizione qualora siano stati realizzati interventi in assenza di permesso di costruire, in difformità da esso, oppure in mancanza di segnalazione certificata di inizio attività «il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda», purché l'autore dell'abuso sia ancora nei termini previsti per la demolizione nei casi sopra indicati e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative.

Se in costanza del termine vengono comminate le sanzioni amministrative, la richiesta di permesso in sanatoria non è più possibile. Detta diversamente: il pentimento dev'essere sincero, non si può riparare al danno dopo essere stati scoperti.


I commi secondo e terzo del medesimo art. 36 specificano che:

«Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso.

Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata».

La richiesta dev'essere presentata con l'ausilio di un tecnico abilitato e può essere avanzata solamente se l'opera avrebbe astrattamente potuto ottenere il permesso o comunque esser realizzata seguendo le normali procedure di legge.

Contro il silenzio diniego è possibile proporre ricorso al tribunale amministrativo regionale (T.A.R.) competente per territorio.


Nel caso della veranda, quindi, il nostro lettore, con l'aiuto del suo tecnico, deve verificare se sussistono i presupposti per l'ottenimento del permesso in sanatoria di cui trattasi.

Ciò per quanto concerne i profili amministrativi della vicenda: restano sempre impregiudicati i diritti degli altri condòmini in tema di alterazione del decoro architettonico dell'edificio.

=> La veranda deve essere abbattuta se antiestetica

Come dire: una veranda sanabile potrebbe comunque dover essere smontata se lesiva dell'estetica dell'edificio.

Rispetto a tale questione è utile ricordare che «in tema di condominio, non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un'opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino» (Cass. 7 settembre 2012, n. 14992).

Insomma la veranda che s'inserisce in un contesto già degradato (es. per la presenza di altre verande) ottenuto in permesso comunale non dovrebbe andare incontro a rischi di natura condominiale. Il condizionale è d'obbligo dato che quella citata in tal senso è una sentenza e non un articolo di legge.

Va poi ricordato che è «del tutto legittimo che le norme del regolamento di condominio - ove di natura contrattuale, id est predisposte dall'unico originario proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti d'acquisto dai subentrati condomini ovvero adottate con il consenso unanime di questi ultimi in sede assembleare, questione, comunque, non sollevata in questa sede - possano derogare od integrare la disciplina legale ed, in particolare, possano dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 CC, estendendo il divieto d'immutazione sino alla conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio quali risultanti nel momento della sua costruzione od esistenti in quello della manifestazione della volontà negoziale» (Cass. 6 ottobre 2009 n. 11121).

Come dire: occhio al contenuto del regolamento contrattuale perché il permesso in sanatoria del comune potrebbe non bastare.

Fonte: https://www.condominioweb.com/veranda-abusiva-come-condonarla.1201

Avv. Alessandro Gallucci

martedì 4 giugno 2019

Parcheggio condominiale: può essere diviso?


Parcheggio condominiale: può essere diviso?

L’AUTORE: Angelo Forte

Se ed in che modo è possibile procedere alla divisione del parcheggio condominiale

La vita condominiale dovrebbe e potrebbe essere scuola di democrazia per gli italiani. E invece i tribunali e le cronache traboccano di liti condominiali: non manca giorno che il condominio non venga vissuto come occasione di discussioni, recriminazioni, scontri ed alterchi con esiti che, in alcuni casi, risultano addirittura tragici. Una buona parte delle liti condominiali riguardano l’esatta individuazione dei beni di proprietà condominiale. Sembrerà assurdo ma in tanti casi si discute, in modo spesso acceso, anche per capire se un bene sia o meno di proprietà dei condomini. Simili problemi, che alla fine ingolfano anche le aule di tribunale, potrebbero tranquillamente essere risolti solamente avendo una conoscenza di base della legge ed anche dei regolamenti condominiali. Ed invece così non è: la grande maggioranza dei proprietari di abitazioni ubicate in condominio non conosce le regole fondamentali della vita condominiale e non sa con certezza come capire se un bene sia di proprietà condominiale o meno. Ciò riguarda anche i tantissimi parcheggi condominiali cioè quelle aree, coperte o scoperte, destinate alla sosta dei veicoli di proprietà dei condomini. Parcheggio condominiale: può essere diviso? Tenteremo allora, nel seguito, di capire se e quando un parcheggio situato nell’area condominiale (o nelle immediate adiacenze) possa essere considerato di proprietà dei condomini e se può essere diviso nel caso in cui i condomini manifestassero questa intenzione per poterne godere in modo separato.

Il parcheggio è una parte comune condominiale?

Occorre innanzitutto capire se e quando un parcheggio sia condominiale, se cioè appartenga in comproprietà a tutti i condomini.

A questo riguardo la legge [1] stabilisce che sono proprietà comune di tutti i proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio (cioè dei cosiddetti condomini), se non risulta nulla in contrario dal titolo (cioè dagli atti di acquisto delle singole abitazioni), tutte quelle parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate ed anche le aree destinate a parcheggio.

Questo significa che la legge presume che il parcheggio, cioè l’area che abbia avuto questa destinazione negli atti di acquisto e/o nel regolamento condominiale, sia un bene di proprietà condominiale (cioè di proprietà dei condomini in proporzione alle loro quote millesimali).

L’area destinata a parcheggio sarà dunque un’area di proprietà condominiale a meno che non esista una specifica ed espressa indicazione contraria nel regolamento condominiale oppure negli atti di acquisto con i quali i proprietari hanno acquistato i loro appartamenti.

Pertanto se un’area ha ricevuto la destinazione a parcheggio nei titoli di acquisto oppure nel regolamento condominiale e in essi non è detto nulla in contrario, esso andrà incluso tra i beni comuni.

La legge presume che l’area destinata a parcheggio sia un bene di proprietà comune

Come si divide un parcheggio condominiale?

Ma un parcheggio che sia di proprietà condominiale si può dividere?

Cioè si può procedere, attraverso un rogito notarile, ad assegnare in proprietà esclusiva ai singoli condomini una porzione dell’area destinata a parcheggio, cioè ad operare la divisione?

A questa domanda, dopo aver precisato nel precedente paragrafo quando un parcheggio possa essere considerato di proprietà condominiale, si deve dare una risposta positiva, ma a determinate condizioni.

La legge [2] infatti stabilisce che le parti comuni di un edificio condominiale non possono essere divise, a meno che la divisione possa essere realizzata senza rendere più incomodo l’uso della cosa ad ogni condomino e sempre che ci sia il consenso di tutti i partecipanti al condominio, nessuno escluso.

Sono perciò due le condizioni che la legge richiede affinché si possa procedere a dividere anche il parcheggio condominiale:

  • il consenso di tutti i condomini (occorre cioè una delibera votata da tutti i condomini che rappresentino tutti i mille millesimi);
  • e la circostanza che, una volta eseguita la divisione, a nessuno dei condomini risulti più difficile utilizzare il parcheggio rispetto a prima della divisione.

Alla luce delle indicate condizioni imposte dalla legge, e di quanto ha ulteriormente specificato la giurisprudenza [3], sarà pertanto inutile anche iniziare a discutere della divisione del parcheggio se:

  • anche un solo condomino avesse già manifestato la sua contrarietà all’operazione;
  • se una perizia tecnica preventiva (molto opportuna) accertasse che l’area a parcheggio risultante dopo la divisione, cioè dopo l’assegnazione in proprietà esclusiva ai condomini di singole porzioni del parcheggio, fosse di più disagevole utilizzo rispetto a prima della divisione;
  • se dalla medesima perizia preventiva risultasse anche che le operazioni divisionali avessero come effetto quello di limitare, rispetto a ciò che era prima, le utilità che le proprietà esclusive (cioè i singoli appartamenti) traevano dal parcheggio stesso: ad esempio, la divisione non potrà avvenire se, una volta completate le relative operazioni, dal parcheggio giungesse agli appartamenti meno luce o meno aria o più intensi rumori o se il parcheggio risultasse non più utilizzabile come tale.

Un parcheggio condominiale si divide solo con il consenso di tutti i condomini

Abuso edilizio come sanarlo

 

Abuso edilizio come sanarlo


L’AUTORE: Mariano Acquaviva

Come si sana un abuso edilizio? Quando è possibile chiedere la sanatoria e quali sono le condizioni? Quanto si deve pagare per sanare un abuso edilizio?

L’abuso edilizio è uno degli illeciti più commessi in Italia: un po’ perché la normativa urbanistica è complessa e non sempre comprensibile, un po’ perché si spera di non essere scoperti ed, eventualmente, di ricorrere a qualche condono, gli abusi edilizi sono diffusissimi su tutto il territorio. Ti sei mai chiesto, in presenza di un abuso edilizio, come sanarlo? In altre parole, è possibile porre rimedio alla violazione di una norma edilizia? Se è stato commesso un reato, è possibile evitarne le conseguenze? Come? Se cerchi risposte a queste domande, sei nel posto giusto: con questo articolo vedremo come sanare un abuso edilizio.

Indice

  • 1 Quando c’è abuso edilizio?
  • 2 Abuso edilizio: demolizione e ripristino
  • 3 Abuso edilizio: quali sanzioni?
  • 4 Abuso edilizio: quando è reato?
  • 5 Abuso edilizio: quando si può sanare?
  • 6 Come sanare un abuso edilizio
  • 7 Contributo di costruzione: cos’è?

Quando c’è abuso edilizio?

Non possiamo comprendere come sanare un abuso edilizio se prima non sappiamo di cosa stiamo parlando. Il reato di abuso edilizio consiste nella realizzazione di una costruzione in assenza di idoneo titolo edilizio (ad esempio, senza permesso di costruire o, quando il permesso non è necessario, in mancanza della comunicazione di avvio dei lavori), oppure in difformità dello stesso [1]: in quest’ultima ipotesi, pensa a colui che costruisce un’abitazione di duecento metri quadri, trascurando completamente il permesso di costruire che gli consente di arrivare massimo a cento metri quadri.

Abuso edilizio: demolizione e ripristino

Se l’abuso edilizio viene scoperto dall’autorità, viene ingiunta al proprietario e al responsabile dell’abuso la rimozione o la demolizione.

Se non si provvede al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene, il suolo su cui l’opera è stata costruita e quella necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune.

Abuso edilizio: quali sanzioni?

Riassumendo, l’autore di un abuso edilizio va incontro a sanzioni diverse a seconda della tipologia di abuso commesso:

  • demolizione della costruzione irregolare e rimessa in ripristino dello stato dei luoghi;
  • acquisizione al patrimonio comunale in caso di non avvenuta demolizione;
  • arresto o ammenda, in presenza di reato (vedi prossimo paragrafo).

Abuso edilizio: quando è reato?

L’abuso edilizio costituisce reato e non semplice illecito amministrativo nelle seguenti ipotesi:

  • quando c’è inosservanza delle norme, delle prescrizioni o delle modalità esecutive, è prevista l’ammenda fino a 10.329 euro;
  • in caso di assenza del permesso di costruire o di opera in totale difformità, la legge prevede l’arresto fino a due anni e ammenda che va dai 5.164 ai 51.645 euro;
  • in caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, la pena è l’arresto fino a due anni e ammenda che va dai 15.493 ai 51.645 euro.

Abuso edilizio: quando si può sanare?

La legge consente a chi ha commesso un illecito in materia edilizia di poter riparare al proprio errore: si parla, in questi casi, di sanatoria dell’abuso edilizio. Va fatta un’importante precisazione: non tutti gli abusi edilizi sono sanabili, ma solamente quelli che non contrastano con il piano regolatore generale, cioè con lo strumento urbanistico che regola l’attività edificatoria all’interno del territorio comunale.

Se la costruzione è conforme al piano regolatore generale ma è stata realizzata senza idoneo titolo edilizio (o in difformità di esso), si può evitare la demolizione del bene chiedendone la sanatoria. La sanatoria può avvenire nel caso in cui l’immobile è conforme alla normativa vigente:

  • al momento della sua edificazione;
  • al momento della richiesta di sanatoria.

Come sanare un abuso edilizio

Per sanare un abuso edilizio bisogna presentarne apposita istanza all’ufficio comunale competente entro novanta giorni dall’accertamento dell’illecito (stesso termine dell’ingiunzione di ripristino dello stato dei luoghi).

Una volta presentata l’istanza, il responsabile dell’ufficio comunale deve decidere in merito alla richiesta di sanatoria, entro il termine massimo di sessanta giorni: come già ricordato, la sanatoria può essere concessa solamente se è accertata la doppia conformità dell’immobile.

Se l’istanza di sanatoria, pur sussistendone i presupposti, è respinta, è possibile impugnare il diniego del responsabile comunale e fare ricorso al giudice amministrativo.

Contributo di costruzione: cos’è?

La sanatoria può essere concessa solamente pagando un contributo di costruzione. Questo ha un importo pari all’entità dell’abuso o all’incremento del valore venale del bene: nello specifico, il contributo di costruzione non può essere inferiore a 516 euro ed è raddoppiato quando si costruisce senza la dichiarazione di inizio attività o in difformità all’autorizzazione.

Ricorda bene: la sanatoria non consente di evitare l’eventuale sanzione penale. In altre parole, la sanatoria non riguarda l’aspetto penale dell’abuso edilizio.

note

[1] D.P.R. n. 380/2001.

[2] Art. 44, d.P.R. n. 380/2001.

domenica 2 giugno 2019

Detrazione IMU: meno il 70%!



detrazione imu prima casa

Cambia tutto sulla detrazione dell’IMU. La novità è dovuta al decreto legge 30/04/2019 che mette in evidenza il cambio di rotta sulla deducibilità dell’imposta.

Andiamo per ordine!

La quota circa la deducibilità dell’IMU era stata già aumentata dal 20 al 40 per cento con la legge di bilancio del 2018.

Tuttavia con il decreto crescita viene varato un provvedimento che apporta delle modifiche alla deducibilità dell’IMU molto interessanti e che interesseranno già il 2019.

Per l’anno corrente la quota deducibile viene dunque estesa al 50 % e nel biennio 2020/2021 arriverà fino alla quota del 60%.

Bisogna però specificare e ricordare che nel caso di ritardo del pagamento dell’imposta del 2018, la deduzione da applicare è quella relativa al periodo precedente.

Su questo punto l’agenzia delle Entrate ha specificato infatti che è necessario tenere conto del principio di competenza temperale quando si ha a che fare con la deducibilità.

A partire dal 2022 i contribuenti porteranno in detrazione l’IMU al 70 per cento.

La guida completa sulle detrazioni fiscali per le ristrutturazioni 2019!



Detrazioni fiscali ristrutturazioni 2019 proroga

Le detrazioni fiscali ristrutturazioni 2019 costituiscono un’ottima possibilità per chi intende ristrutturare casa e vuole avere l’opportunità di risparmiare sulle spese godendo di alcune agevolazioni sulla casa.

Stiamo parlando delle detrazioni fiscali ristrutturazioni 2019 dell’Agenzia delle Entrate.

Si ha sentito parlare di detrazioni fiscali ristrutturazioni 2019 proroga ci si riferisce alle agevolazioni che sono state prorogate fino al 31 dicembre 2019 in seguito alla legge di bilancio di quest’anno.

Qual è il procedimento da adottare per ottenere le detrazioni?

Cominciamo subito col dirti che l’obiettivo principale della detrazione fiscale 2019 ristrutturazione consiste nell’assicurare degli interventi agli immobili che vadano nella linea dell’innovazione e della riqualificazione.

In questa guida vogliamo mettere in evidenza quali sono le detrazioni fiscali 2019 ristrutturazione, quali sono i documenti utili per ottenere la detrazione fiscale ristrutturazioni 2019 e quali modalità di pagamento devi utilizzare, in modo che ti siano riconosciute le detrazioni fiscali per ristrutturazione 2019.

In Questo Articolo ti Parliamo di:

  • Quali sono le detrazioni
  • I documenti
  • Chi può richiedere le detrazioni
  • Le modalità di pagamento
  • Che cos’è l’ecoprestito
  • Il bonus mobili
  • Il sisma bonus
  • La sostituzione della caldaia

Quali sono le detrazioni

Secondo l’Agenzia Entrate le detrazioni fiscali ristrutturazioni 2019 consistono in una detrazione fiscale del 50% entro il limite di 96.000 euro di spese sostenute.

Si tratta dunque di un vero e proprio bonus per le detrazioni fiscali lavori ristrutturazione 2019.

Quindi riguarda tutti gli interventi che vengono messi in atto per ristrutturare le case e le parti comuni degli edifici residenziali in tutto il territorio nazionale.

Ecco quali sono le spese ammesse per usufruire delle detrazioni fiscali per ristrutturazione casa 2019:

  • interventi di manutenzione sia ordinaria che straordinaria che vengono effettuati sulle singole unità immobiliari o sulle parti comuni in riferimento ad immobili di qualsiasi categoria catastale;
  • interventi che siano finalizzati al ripristino dell’immobile danneggiato in seguito a calamità naturali;
  • interventi che abbiano come obiettivo l’eliminazione delle barriere architettoniche;
  • interventi che servono per prevenire il rischio di atti illeciti;
  • interventi che servono per contenere l’inquinamento acustico;
  • interventi per il risparmio energetico;
  • interventi per misure antisismiche;
  • interventi di bonifica dall’amianto;
  • riparazioni degli impianti in nome della sicurezza domestica;
  • installazione di apparecchi di rilevazione di gas;
  • interventi per realizzare posti auto;
  • monitoraggio di vetri anti infortunio;
  • installazione corrimano.

In particolare questo elenco fa riferimento alle detrazioni fiscali per ristrutturazione prima casa 2019.

I documenti

Per avere lo sconto dell’Irpef al 50% della spesa sostenuta bisogna conservare per le detrazioni fiscali ristrutturazioni 2019 i documenti utili.

In questo modo poi questi documenti si potranno presentare all’Agenzia delle Entrate insieme alla richiesta delle detrazioni fiscali per ristrutturazione edilizia 2019.

Si tratta dei seguenti documenti:

  • ricevuta di pagamento dell’imposta Imu;
  • nel caso delle parti comuni di edifici, la delibera dell’assemblea per l’esecuzione dei lavori con in allegato la tabella della ripartizione delle spese;
  • la domanda di accatastamento;
  • la dichiarazione di consenso per l’esecuzione degli interventi;
  • le concessioni e le autorizzazioni per svolgere i lavori;
  • la dichiarazione sostitutiva che indica l’inizio dei lavori e la loro compatibilità con le spese ammesse dalle agevolazioni.


Tutti i dati che riguardano i lavori di ristrutturazione in seguito ai quali si ha il conseguimento di un risparmio energetico devono essere trasmessi tramite il sito dell’ENEA.

Soltanto in questo modo si può beneficiare poi della detrazione del 50%.

I titolari che vogliono richiedere le detrazioni hanno l’obbligo di inviare una comunicazione all’ENEA entro 90 giorni dalla data del collaudo o di fine dei lavori di ristrutturazione.

L’ENEA ha pubblicato anche un’apposita guida, che contiene le istruzioni su come comunicare questi dati.

Naturalmente l’obbligo di comunicazione all’ente non riguarda tutti i lavori edilizi, ma soltanto quelli che determinano la possibilità di risparmio energetico.

Si tratta delle seguenti categorie di lavori:

  • strutture edilizie;
  • infissi;
  • impianti tecnologici;
  • elettrodomestici.

Chi può richiedere le detrazioni

Chi ha diritto a chiedere le agevolazioni?

Precisiamo che la detrazione del 50% sull’Irpef non spetta soltanto al proprietario dell’immobile.

Infatti i beneficiari sono anche i titolari dei diritti di godimento dell’edificio e coloro che ne sostengono le spese.

A titolo esemplificativo elenchiamo a chi possono spettare i benefici:

  • proprietari;
  • titolare di diritti di godimento, come usufrutto o uso;
  • locatari;
  • comodatari;
  • soci di cooperative;
  • società semplici o comunque in generale tutti i soggetti che producono redditi in forma associata;
  • imprenditori individuali.

Le modalità di pagamento

Il bonus delle ristrutturazioni prevede dei criteri anche molto specifici in termini di pagamenti delle spese sostenute per compiere i lavori di ristrutturazione.

Infatti per poter ottenere i benefici stabiliti dalle agevolazioni secondo le norme di legge bisogna ricorrere a determinate modalità di pagamento, che sono quelle corrette e ammesse.

In particolare è necessario usare un bonifico bancario o postale, indicando dei dati specifici.

Deve essere indicata la causale del versamento, secondo tale dicitura: “bonifico relativo a lavori edilizi che danno diritto alla detrazione prevista dall’articolo 16-bis del Dpr 917/1986”.

Deve essere poi indicato il codice fiscale del beneficiario della detrazione e il codice fiscale o la partita Iva del soggetto beneficiario del pagamento.

È da precisare che le detrazioni possono essere richieste anche se si è fatto ricorso ad un finanziamento per l’esecuzione dei lavori.

In questo caso però la società che ha finanziato gli interventi deve pagare tramite un bonifico, sempre secondo precise istruzioni per la compilazione.

Nello specifico deve essere indicato il codice fiscale del soggetto che riceve il pagamento.

Il titolare che intende beneficiare del bonus deve conservare la ricevuta del bonifico.

Che cos’è l’ecoprestito

Oltre alle vere e proprie agevolazioni che prevedono il 50% della detrazione Irpef, per ristrutturare la casa è possibile avvalersi anche di altri benefici, molto importanti da tenere in considerazione, se devi sostenere delle spese.

Per esempio una di queste agevolazioni è costituita dall’ecoprestito.

Ma che cos’è di preciso?

Si tratta di un prestito a tasso agevolato che può essere utilizzato da coloro che vogliono realizzare una ristrutturazione e non hanno fondi a disposizione.

In particolare questo prestito va a beneficio di coloro che, attraverso i lavori edilizi, vogliono apportare miglioramenti di efficienza energetica.

Il bonus mobili

La legge di bilancio 2019 ha prorogato anche il bonus mobili.

Anche questa è un’opportunità molto importante da sfruttare se hai intenzione di rinnovare la tua abitazione.

Il bonus mobili è valido fino al 31 dicembre 2019.

È un’opportunità riservata a chi esegue lavori di ristrutturazione della propria casa e vuole acquistare mobili per qualsiasi ambiente domestico, compresa anche la stanza da bagno.

In particolare per esempio possono usufruire del bonus mobili coloro che intendono sostituire gli elettrodomestici, acquistando nuovi elettrodomestici a risparmio energetico, almeno di classe A+.

Oppure il bonus mobili potrà essere un’opportunità da non sottovalutare anche per chi ha intenzione di sostituire la caldaia.

Il bonus mobili consiste in una detrazione pari al 50% delle spese sostenute entro il limite di 10.000 euro.

La richiesta deve essere fatta contestualmente alla dichiarazione dei redditi e verrà ripartita in 10 rate.

Forse non tutti sanno dell’esistenza anche del bonus verde.

Si tratta di una detrazione al 36% per tutti quegli interventi che prevedono la ristrutturazione e la cura degli spazi verdi privati.

Il sisma bonus

Molto interessante anche il sisma bonus.

Si tratta di una detrazione fiscale sugli interventi che vengono fatti per adeguare le case a livello antisismico.

Può essere suddiviso in due parti in riferimento a due categorie differenti.

Se in seguito ai lavori si passa ad una classe inferiore di rischio, la detrazione delle spese è pari al 75%.

Invece, se in seguito ai lavori si abbassa il rischio di due classi, la detrazione può arrivare all’85%.

La sostituzione della caldaia

Anche nel caso della caldaia abbiamo due tipi di detrazione:

  • la detrazione fiscale è pari al 50% se, con la ristrutturazione edilizia, acquisti una caldaia a condensazione con un’efficienza uguale a quella che è necessaria per appartenere alla classe energetica A;
  • la detrazione fiscale è pari al 65% se acquisti una caldaia a condensazione di classe A o superiore. In particolare hai diritto a questa detrazione del 65% se la caldaia appartiene alle classi quinta, sesta o ottava oppure se acquisti e installi un sistema di termoregolazione evoluta.

Molto importante è sottolineare che un’attenzione particolare viene riservata all’installazione di sistemi che prevedono la contabilizzazione del calore.

La legge prescrive l’obbligo di installare dei contatori che siano in grado di calcolare sia il consumo di calore effettivo che il raffreddamento dell’acqua calda.

L’obiettivo è sempre quello del risparmio energetico.

Si può avere diritto alle agevolazioni se si installano impianti con caldaie a condensazione o pompe di calore ad alta efficienza oppure se si ricorre ad impianti geotermici per sostituire i tradizionali impianti di climatizzazione invernale.

In tutte queste circostanze puoi avere una detrazione del 65% sulle spese, per un valore massimo di bonus di 30.000 euro.

Per acquistare la caldaia e poter usufruire delle detrazioni fiscali devi scegliere il bonifico come metodo di pagamento, ricorrendo in particolare al cosiddetto bonifico parlante.

È da dire, volendo specificare, che tutto il sistema di detrazioni dell’ecobonus 2019 è volto comunque a favorire interventi di riqualificazione energetica anche attraverso l’installazione di pannelli solari, per i quali è prevista una detrazione del 65%.

Per l’installazione di schermature solari invece la detrazione è del 50%.

sabato 1 giugno 2019

Dubbi sul contratto transitorio?



contratto transitorio senza più nessun dubbio per chi vuole stipularlo

Tutto quello c’è da sapere sul contratto transitorio.

Sono sempre particolarmente numerosi i quesiti che riceviamo rispetto alla stipula di un contratto transitorio. La preoccupazione dei proprietari riguarda principalmente la motivazione di transitorietà e la minaccia di una possibile “trasformazione” in contratti liberi di 4 anni + 4. Molti, ancora, i dubbi dei proprietari relativi all’applicazione della cedolare secca, soprattutto con aliquota agevolata del 10%. Le domande, lato inquilino, riguardano invece prevalentemente la durata del contratto, la possibilità di prendere la residenza e altri aspetti delle condizioni contrattuali.

Vista la mole di quesiti sull’argomento “contratto transitorio” abbiamo deciso di raccogliere un po’ di casi, che ci auguriamo possano essere delle tracce interessanti per i numerosi proprietari ed inquilini interessati ad andare in affitto con un contratto di tipo transitorio.

DURATA

Buongiorno, dovrei locare una stanza all'interno di un appartamento a lavoratore con contratto a tempo DETERMINATO per due anni. Vorrei fare un contratto transitorio, ma la durata massima consentita è di 18 mesi.
Leggo da un forum:
Devo trasferirmi per almeno tre anni in un’altra città, per motivi di lavoro. Posso stipulare un contratto di locazione a uso transitorio?
Il termine massimo della locazione ad uso transitorio è di 18 mesi. Quindi, se la documentazione del datore di lavoro non consente di sostenere che il periodo è di 18 mesi o inferiore, non è possibile stipulare un contratto di locazione a uso transitorio. Se invece viene stipulato il contratto ad uso transitorio ed esso specifica che la durata è di tre anni, la clausola è nulla e la durata del contratto viene automaticamente riportata a 18 mesi.
A questo proposito vorrei capire:
Stipulando un contratto di 18 mesi rischio che il conduttore possa impugnarlo e venga trasformato in 4+4?
Diversamente, se faccio un contratto a due anni, corro lo stesso rischio o la NULLITA' si riferisce solo alla clausola specifica della durata (che tornerebbe a 18 mesi in caso di controversia) e il resto del contratto rimane transitorio a tutti gli effetti?
La ringrazio per l'attenzione
Doriana

Cara Doriana,
il contratto transitorio ha una precisa durata, che è stata recentemente rivista in quella che è la durata minima, oggi non più vincolata al minimo di un mese, ma che rimane invariata nel massimo di 18 mesi, considerati dal legislatore come periodo massimo che soddisfa un’esigenza abitativa di tipo transitorio e non stabile. Quindi entrando nel merito di un caso specifico, riguardante un’esigenza che per l’inquilino è di due anni, diciamo che la soluzione suggerita è quella di stipulare uno dei contratti “residenziali”, quindi libero di 4 anni + 4 o a canone concordato di 3 anni + 2, ricordando che l’inquilino ha facoltà di disdetta in qualsiasi momento. Se le parti sono d’accordo potrebbero anche già accordarsi su una disdeta con un preavviso magari ridotto dai canoni 6 mesi a soli 3 mesi e senza necessità che ci siano gravi motivi; seppure nel caso di questo inquilino un eventuale trasferimento lavorativo costituirebbe grave motivo.

Rispondendo però al quesito specifico di Doriana, diciamo che nel caso di un contratto che supera la durata dei 18 mesi, lo stesso può essere ricondotto ad un contratto di 4 anni + 4 e pertanto la nullità si riferisce alla tipologia di contratto, che decade, decadendo il periodo considerato di tipo transitorio.

PRIMA CASA E RESIDENZA

Buongiorno,
mi trovo nella situazione di voler affittare il mio bilocale sito nel comune di Milano per il periodo di una anno. E' la mia prima casa e ho quindi la residenza in loco. E' possibile farlo con un contratto transitorio? in caso affermativo, dovrò spostare la residenza? Ho il domicilio già in un altro comune.
Grazie mille,
Cordialmente,
Silvia

Diciamo che il caso di Silvia è interessante perché riguarda in realtà un po’ tutti i tipi di contratti. La questione è legata principalmente al dubbio che ha un proprietario rispetto all’utilizzo della prima casa. Se l’immobile non viene utilizzato come propria abitazione principale dal proprietario allora è corretto cambiare residenza e avere la residenza lì dove si abita effettivamente. Detto questo, la possibile soluzione (se il proprietario ha particolari esigenze), se l’immobile lo permette dal punto di vista della metratura, è di affittare una porzione di casa, giustificando la residenza del proprietario con l’utilizzo privato del resto della casa. Qui la questione poi sul punto di vista anagrafico/fiscale, dove proprietario ed inquilino, se quest’ultimo prendesse a sua volta la residenza, potrebbero ritrovarsi all’interno dello stesso nucleo familiare con conseguenze su Isee e altre documentazioni fiscali.
È vero certamente che rispetto a contratti di lunga durata, capita più spesso che per i contratti transitori l’inquilino non abbia necessità di prendervi la residenza e pertanto il proprietario potrà mantenervi la propria. È comunque vero che poi nella dichiarazione dei redditi il proprietario non potrà dichiarare contemporaneamente l’immobile come prima casa e indicare poi il reddito da locazione.

Motivazioni: vere o finte?

Buongiorno,
Vorrei cortesemente sapere se un contratto transitorio di 6 mesi per motivi di studio in realtà inesistenti, il contratto si trasforma in 4+4 e se il conduttore può far valere tale diritto e come.
Grazie.
Cordialmente
Buongiorno. Se il contratto transitorio viene stipulato senza reali motivazioni di transitorietà, l’inquilino ha diritto di impugnare il contratto e chiederne la trasformazione in un regolare contratto libero di 4 anni + 4, avendo di fatto un’esigenza abitativa stabile e non legata a particolari contingenti motivi.
Gentile esperto
Vivo a Roma e dovendo ristrutturare l'appartamento di mia proprietà dove abito volevo affittarne uno con contratto transitorio. Però una nota catena di agenzie immobiliare si è rifiutata di farmi vedere un appartamento che mi interessava dicendo che condizione indispensabile per stipulare un contratto transitorio è non avere la residenza nello stesso comune. Io ho obiettato che sapevo che la condizione era avere una necessità transitoria come appunto la ristrutturazione del proprio appartamento ma non c'è stato nulla da fare. Volevo sapere con certezza se posso o meno affittare con contratto transitorio un appartamento a Roma per il tempo necessario a ristrutturare il mio.
La ringrazio molto

Caro lettore, confermiamo del tutto i suoi più che leciti dubbi!
La condizione per poter stipulare un contratto transitorio non è affatto vincolata semplicemente alla residenza. Ma a motivi precisi tali per cui il periodo in cui si ha necessità di abitare quell’immobile è un periodo relativamente breve. Nella maggior parte degli accordi territoriali che riportano un elenco di motivazioni che legittimano l’utilizzo del contratto transitorio quella della ristrutturazione è una motivazione considerata pienamente valida. Ci dispiace che nel suo caso ci sia stata una pignoleria non giustificata ed un non volere verificare con esattezza cosa prevedono questi contratti.

Rinnovo: sì o no

Salve Isabella, io mi trovo nell'aver affittato a Fi, per motivi lavorativi, un appartamento con contratto transitorio per la durata di 12 mesi in quanto a tale termine sarei tornato nella mia città. Poiché il progetto a cui partecipo ha portato un ritardo di 3 mesi avrei la necessità di prorogare l'affitto. Tale proroga quale conseguenza comporterà per me e per il locatore? Grazie in anticipo per una sua cortese risposta.
Pasquale

Gentile Pasquale, solitamente il contratto transitorio non è rinnovabile, considerando che va a soddisfare una precisa esigenza abitativa che, proprio per definizione, è limitata nel tempo.
Cosa vuol dire che il contratto transitorio non è rinnovabile?
Vuol dire che in caso il contratto venga rinnovato ancora come transitorio allo stesso inquilino, questi potrebbe chiederne la “trasformazione” in contratto di 4 anni + 4 . Il suo caso, però, è un caso particolare e poiché qui è proprio l’esigenza di transitorietà ad essersi rinnovata e per un periodo molto breve, potete procedere con un nuovo contratto della durata solo di tre mesi.

Quale contratto?

Qualche informazione sui contratti transitori:
Posso utilizzare il template standard per la compilazione del contratto (ne ho comprato uno da buffetti ma è quello standard dei 4 +4) ?
Se si può, come posso specificare che si tratta di questo tipo di contratto ?
Grazie
Saluti
Nando

Caro Nando, il contratto transitorio, rientrando tra i contratti del “secondo canale”, dei contratti a canone concordato richiede l’utilizzo di un preciso template, del modello di contratto, in particolare, allegato all’accordo territoriale di riferimento. Non si tratta di un adattamento di un contratto standard, ma di un modello preciso che dovrà compilare e personalizzare, perché venga considerato valido.

Salve vorrei sapere di quali documenti deve essere in possesso il conduttore e il locatore per poter stipulare un contratto di affitto transitorio. Se possibile vorrei avere un FAC simile o una copia di un modello da compilare per poter stipulare un contratto transitorio. Grazie

Caro lettore, come indicato prima deve usare un modello preciso, qui può trovare un fac simile. È importante rispetto al contratto specificare e documentare le motivazioni di transitorietà.

Unico contratti, più inquilini.

Ho stipulato lo scorso anno un unico contratto di affitto ad uso transitorio con tre persone.
Il contratto è stipulato con canone concordato e con cedolare secca.
Alla scadenza una persona lascia per motivi di lavoro, e ne dovrebbe subentrare un'altra, che mi chiede di stipulare tre contratti separati.
I tre contratti potrebbero sempre rientrare nella tipologia a canone concordato e fruire della tassazione cedolare secca? Quali potrebbero essere per me gli inconvenienti?
Grazie per il vs parere

È possibile stipulare sia un unico contratto con tre inquilini indicati come conduttori, sia stipulare tre singoli contratti. In questo secondo caso deve fare attenzione al calcolo del canone concordato che dovrà derivare per ogni contratto dal valore al mq moltiplicato per i mq concessi in esclusiva più 1/3 dei mq in comune. Ogni conduttore in questa seconda ipotesi è responsabile solo per le proprie pattuizioni contrattuali, con la conseguenza che nel caso in cui volesse andar via dovrà semplicemente mandare disdetta e rispettare i termini di preavviso; non preoccupandosi che gli altri due che rimangono debbano sopportare anche le sue spese.

Transitorio o studente fuori sede?

Buon pomeriggio,
devo affittare un appartamento solo con contratto “Transitorio”. Per un anno.
Si sono presentati due candidati uno studente e un lavoratore a tempo determinato (da un anno gli viene rinnovato il contratto di lavoro quello attuale ha una durata di 7 mesi).
L’affitto partirebbe da settembre e a novembre al lavoratore a tempo determinato scade il contratto.
Posso fare un contratto di affitto transitorio unico ad entrambi ?
Grazie
Cordiali saluti.
Angela

Gentile Angela, può stipulare un unico contratto per entrambi gli inquilini: il lavoratore e lo studente; la durata a questo punto deve essere unica e i 12 mesi sono corretti, mentre nelle motivazioni riporterà quella del lavoratore e dello studente. Anche la motivazione come studente è valida per stipulare un contratto transitorio. Lo studente potrà accedere alle agevolazioni anche a fronte di un contratto transitorio e non solo come contratto per studente fuori sede.

Se il proprietario vende?

Salve ho un contratto di locazione immobile di tipo transitorio della durata di 18 mesi che scadrà il 30.4.2017. ho saputo che la proprietaria vuole vendere e siccome la mia transitorietà è ancora in atto (faccio carabiniere nella città dove ho locato l immobile) io volevo continuare a stare in quella casa o quantomeno volevo capire se potevo acquistarla ma nulla mi è stato detto. siccome ho un bambino di un anno volevo capire come posso tutelarmi. Grazie

Per fortuna, come spigato nell’apposito articolo, anche se l’immobile venisse venduto mentre è in corso il suo contratto di affitto, lei avrebbe diritto di rimanere, fino al termine della locazione. Termine indicato dal contratto; il contratto rimane valido in ogni sua pattuizione che il nuovo acquirente dovrà accettare e non potrà modificare. Per lei si tratta solo, al limite, del fastidio di dover concedere e indicare disponibilità di giorni ed orari in cui far visitare l’appartamento.

Tassa sui rifiuti: chi paga?

Buongiorno,
volevo chiedere un parere, consulenza per questo caso:
Io ero in affitto a Novara un appartamento ammobiliato (regolare contratto di affitto registrato) fino al 30 giugno 2015.
A dicembre 2016 mi sono arrivate multe per la tassa rifiuti per gli anni 2010-2011-2012-2013-2015. Poiché a Novara dal 2007 le linee guide dicono “Per gli immobili concessi in locazione ammobiliati per uso abitativo continuativo o saltuario, per uso abitativo transitorio, per uso abitativo transitorio a favore di studenti universitari responsabile del versamento della tassa e dei correlati obblighi dichiarativi è il soggetto proprietario”, tale tassa sarebbe dovuta essere intestata al proprietario e corrisposta da lui, il quale poi mi avrebbe chiesto i soldi, in quanto nel contratto la tassa rifiuti non era inclusa nelle spese condominiali. In seguito a chiarimenti con il personale addetto, questi avvisi di pagamento (comprensivi di tassa e sanzioni) mi sono stati quindi annullati in quanto l’appartamento era arredato, come si evince dal contratto, e non vuoto, come invece risultava dalla autocertificazione del proprietario (penso fatta dopo il 2014).
Ora immagino che tali avvisi di pagamento (tasse e sanzioni) relativamente a quegli anni verranno mandate al proprietario. La mia domanda è: può ancora ad oggi il proprietario rivalersi su di me per il pagamento di quelle tasse? E per il pagamento delle sanzioni (che sono derivate da un suo errore-mancata o errata autocertificazione-)?
grazie
Elisa

Cara Elisa, capiamo bene la preoccupazione e nel suo caso se quello è il regolamento in vigore a Novara può in ogni caso stare tranquilla. L’imposta rimane a carico del proprietario, che era quindi intestatario del tributo e tenuto a pagare e le imposte non versate e le sanzioni, dovute a sue omissioni e non certo a una sua dimenticanza. Se invece, come lei scrive, tali linee guida sono state modificate dal 2017 e in precedenza, per gli anni a cui si riferiscono le cartelle, la tassa era a carico degli inquilini (la maggior parte dei regolamenti comunali in materia prevede che la tassa grava sugli inquilini che occupano l’immobile per oltre sei mesi), allora la richiesta appare lecita e dovrà procedere a pagare imposte e sanzioni, dovute ad una sua non curanza e dimenticanza nel denunciare l’occupazione dell’immobile ai fini della tassa sui rifiuti. Potrà al limite concordare con l’ufficio tributi eventuali dilazioni di pagamento e ovviamente pagare solo per il periodo in cui ha effettivamente abitato nella casa.

Cedolare secca: agevolata?

Buonasera,
È possibile applicare la cedolare secca al 10% per la locazione di una camera in un appartamento sito nella città di Roma, a canone concordato, transitorio per 10 mesi, su richiesta dell' inquilino, francese in Italia per Erasmus ?
Grazie
Anna

Gentile Anna, dal momento in cui l’immobile si trova in un comune ad alta tensione abitativa e che applica il canone concordato, potrà usufruire, sul reddito percepito, la cedolare secca, con aliquota agevolata al 10%, invece che al 21%. Questo secondo le nuove disposizioni incluse in un chiarimento interpretativo fornito dell’Agenzia delle entrate.


Fattura o ricevuta?

Ciao devo stipulare un contratto di affitto transitorio, la persona che dovrebbe venire in affitto ha bisogno della fattura per la propria azienda in che modo posso risolvere il problema?

Il contratto transitorio è un contratto abitativo e come tutte le locazioni abitative in capo a proprietari privati non prevede l’applicazione dell’Iva e quindi l’emissione di una fattura. Quello che potrà fare è rilasciare una ricevuta dell’avvenuto pagamento del canone mensile, che prevede l’applicazione, perché sia valida, di una marca da bollo di 2 euro, a carico dell’inquilino.

Posso prendere la residenza in un contratto transitorio?

Salve, avrei gentilmente bisogno di un'informazione.
Abitiamo in un appartamento con contratto transitorio a un anno con scritto nel contratto che non possiamo prendere la residenza...siamo stranieri con permesso di soggiorno e pertanto per rinnovare i documenti per la tessera sanitaria e il resto necessitiamo della residenza....vorrei solo sapere se questa è una condizione regolare. Grazie

Dal momento in cui si vive stabilmente in un luogo e con un titolo regolare per farlo (il contratto di affitto è un titolo regolare per abitare in una casa) è un vostro diritto chiedere la residenza presso l’ufficio anagrafe, che si occuperà di verificare la richiesta (in poche parole di accertarsi che abitate realmente lì) e quindi concedervi la residenza. Naturalmente se gli accordi con i proprietari sono diversi è giusto informarlo di questa richiesta, del motivo per cui avete bisogno della residenza. A questo punto quello che potrebbe essere in discussione è il tipo di contratto prescelto: si tratta di un transitorio regolare? La motivazione di transitorietà è a carico del proprietario o dell’inquilino?

Deposito sì o no?

Salve vorrei avere chiarimenti sul contratto ad uso transitorio che abbiamo stipulato 2 mesi fa', per la durata di 4 mesi, il mio quesito è il seguente, è prevista la cauzione su questo tipo di contratto?

Il deposito cauzionale, come garanzia per eventuali danni a fine rapporto di locazione, può essere richiesto anche per contratti brevi; solitamente la cifra viene proporzionata alla durata complessiva del contratto, limitandosi magari ad un mese o due massimo per contratti di durata di un anno.

Oltre ogni dubbio!

Buona sera,
vorrei sapere se affitto una casa per 3 mesi con contratto transitorio possono utilizzarlo anche i miei amici.

Non sappiamo quanto serio fosse questo nostro lettore nel porci questo quesito.. che a noi comunque ha fatto sorridere. Seriamente rispondiamo che dal momento in cui un immobile viene concesso in affitto (per intero) è solo o sono solo gli inquilini che possono disporne. A questi vanno consegnate tutte le copie delle chiavi.