giovedì 17 gennaio 2019

Mutui: le previsioni per il 2019 promettono tassi bassi

“MutuiOnline informa”

Mutui: le previsioni per il 2019 promettono tassi bassiUn’economia segnata dall’instabilità: dai dazi alle querelle (accese o blande che siano) con l’Europa, i mercati restano ballerini. Una situazione di incostanza che, anche se grava non poco su azioni e affini, non nuoce invece a chi sta per chiedere un mutuo. Anzi, proprio per questa stessa instabilità i tassi, sia variabili che fissi, resteranno bassi se non addirittura bassissimi.

Lo conferma una recente analisi de Il Sole 24 Ore che spiega come e perchè chi ha investito nel mattone chiedendo un finanziamento può evitare di allarmarsi.

Tutto parte dalla decisione della Banca Centrale Europea, guidata da Mario Draghi, di non aumentare il costo del denaro, complice il rallentamento dell’economia: questo fa presagire ad un mancato rialzo dei tassi nel corso del 2019. Pil e inflazione permettendo, i contratti future sull’indice Eonia, ossia quello che riguarda i tassi a brevissima scadenza, vedranno un possibile nuovo incremento solo agli inizi del 2020, dandoci almeno un anno di respiro da preoccupazioni.

Per intenderci, chi sta pagando un mutuo a tasso variabile da qualche anno a questa parte già beneficia di un Euribor negativo che potrebbe essere stabile per tutto il 2019. Stesso discorso vale anche per chi ha davanti a sé un pagamento a tasso fisso, dato dalla somma di Spread e indice Irs che, durante un periodo di scarsa propensione al rischio degli investitori, solitamente scende. Dunque la “pace” per chi vuole optare per un mutuo a tasso fisso è garantita almeno fino alle prossime elezioni europee (fissate per il 24 maggio).

Intanto se si è incuriositi dalle dinamiche che fanno alzare o abbassare i tassi si può approfondire il tutto leggendo la news "Mutui: cosa succede ai tassi di interesse" sul sito MutuiOnline.it.

Nonostante il panorama del mercato del mattone sia sereno è meglio non perder tempo in caso si voglia investire, chiedendo un mutuo per comprare casa dal momento che non è detto che la situazione non possa cambiare nel giro di qualche mese.

Questo mentre sembra essere in atto una vera e propria corsa verso i minimi come lo stesso quotidiano economico ha notato consultando i dati dell’Osservatorio di MutuiOnline.it che indicano come l'importo medio erogato sia di 124.450 euro, oltre a sottolineare che il 33,6% delle richieste di mutuo abbiano una durata a 20 anni, contro il 23,35% che opta per una durata a 30 anni.

Per quanto riguarda il valore del mutuo, quasi 1 mutuatario su 3 richiede più del 70% di loan to value, cioè il rapporto tra l'importo del finanziamento e il costo dell’abitazione che si vuole acquistare.

Ad ogni modo in un periodo in cui i tassi fanno registrare un record “positivo” dopo l’altro il consiglio è di dare sempre un’occhiata allo stato delle cose. È possibile farlo consultando l'Osservatorio tassi di MutuiOnline.it.

Si può sempre iniziare a farsi un’idea consultando i migliori mutui del giorno. Inoltre si possono verificare quali sono le opzioni migliori per il proprio budget inserendo i propri dati senza impegno nell’apposito form presente sul nostro portale.

Ad esempio al 7 gennaio 2019 un impiegato di 35 anni interessato a un mutuo di 100mila euro da ripagare in 20 anni per un immobile in quel di Milano del valore di 200mila euro tra le offerte migliori a tasso fisso troverà quella di Cariparma – Crédit Agricole che offre una rata mensile di 484,85 euro e un tasso fisso dell’1,55%, un Taeg dell'1,70%. A parità di richieste ma optando per un tasso variabile una delle opzioni più allettanti è quella di Bnl – Gruppo Bnp Paribas che prevede una rata di 439,54 mensili e un tasso variabile dello 0,54% con un Taeg dello 0,72%.

mercoledì 16 gennaio 2019

Prestito sulla casa…hai più di 60 anni?




Prestito sulla casa

L’AUTORE: Denise Ubbriaco

Superati i sessant’anni d’età è possibile chiedere un finanziamento alla banca senza doverlo restituire? Scoprilo in questo articolo.

Hai più di sessant’anni e, non avendo accesso al credito, ti chiedi come far fronte alle difficoltà economiche, alle spese sanitarie e/o alle spese straordinarie o magari come riuscire a dare una mano ai tuoi figli per comprare casa o per fare un investimento. Non tutte le banche sono disposte a concedere prestiti a chi ha superato i sessant’anni d’età e, in caso contrario, difficilmente il reddito della pensione è sufficiente a pagare la rata del prestito ottenuto. E allora ti domandi se ci sia o meno una soluzione in grado di venire incontro alle tue esigenze. Buone notizie: se hai una casa di proprietà esistono due possibili alternative. La prima è vendere la tua casa in nuda proprietà. Un’opzione molto svantaggiosa sia per chi vende, in quanto l’immobile viene messo in vendita ad un prezzo ribassato, sia per chi compra, poiché il venditore continuerà a viverci e l’acquirente non sa in che momento potrà entrare in possesso della casa acquistata. Una seconda e più vantaggiosa alternativa è data dal prestito ipotecario vitalizio (PIV). Come ottenere il prestito sulla casa? Cos’è e come funziona il PIV? Si tratta di una particolare forma di finanziamento pensata per chi, come te, ha un patrimonio immobiliare, una bassissima pensione, difficoltà di accesso ai finanziamenti bancari e vuole risolvere i suoi problemi di liquidità senza dover vendere la propria casa.  Continua a leggere il mio articolo. Cercherò di darti tutte le informazioni necessarie sull’argomento.

Indice

  • 1 Chi può richiedere il prestito ipotecario vitalizio?
  • 2 Prestito ipotecario vitalizio: documentazione precontrattuale
  • 3 Qual è la procedura per fare richiesta di prestito ipotecario vitalizio?
  • 4 Come funziona il prestito ipotecario vitalizio?
  • 5 Cosa succede se la vendita della casa non copre il debito?
  • 6 Come estinguere gli interessi in vita?
  • 7 Rimborso integrale del prestito
  • 8 Quali sono le banche aderenti?
    • 8.1 Prestito vitalizio ipotecario Unicredit
    • 8.2 Prestito vitalizio ipotecario Banca Intesa Sanpaolo
    • 8.3 Prestito Vitalizio Ipotecario MPS

Chi può richiedere il prestito ipotecario vitalizio?

I requisiti per richiedere il PIV sono disciplinati dalla Legge n. 44 del 2015 [1] e dal successivo Decreto del ministero dello Sviluppo Economico n. 226 del 2015 [2].

Possono richiedere il prestito ipotecario vitalizio tutte le persone fisiche che hanno compiuto sessant’anni d’età ed hanno un immobile residenziale, cioè un immobile avente destinazione urbanistica di civile abitazione. Se queste persone sono coniugate o conviventi more uxorio da almeno cinque anni (situazione che deve essere documentata da un certificato di residenza storico), il contratto di finanziamento deve essere sottoscritto da entrambi, anche se l’immobile è di uno solo. C’è da aggiungere che anche l’altro partner deve avere il requisito anagrafico previsto, vale a dire aver compiuto i sessant’anni d’età.

La presenza di tali requisiti non determina la sussistenza di un diritto all’erogazione del PIV, in quanto il creditore valuterà autonomamente se erogare o meno il finanziamento proprio come accade per qualsiasi altro prestito.

Prestito ipotecario vitalizio: documentazione precontrattuale

La documentazione precontrattuale fornita dal finanziatore al richiedente è uguale a quella utilizzata per i mutui ipotecari. Almeno 15 giorni prima della stipula del contratto, l’istituto erogante deve consegnare al richiedente un prospetto informativo che indica chiaramente l’importo finanziato, la percentuale del valore di perizia dell’immobile in garanzia e la somma erogata al netto dei costi e delle imposte.

Ogni anno, il finanziatore deve inviare al richiedente un resoconto che mostra tutti gli importi che costituiscono il capitale finanziato e quelli che corrispondono al capitale da restituire alla scadenza.

Qual è la procedura per fare richiesta di prestito ipotecario vitalizio?

Per inoltrare la richiesta del PIV devi prima ottenere un preventivo. Individua gli istituti finanziatori che prevedono questa formula di prestito o consulta i siti comparatori che ti consentono di confrontare i preventivi di più banche per individuare la soluzione più conveniente.

Una volta scelta la banca, il richiedente può procedere alla compilazione della domanda. Occorre sottoscrivere l’apposito modulo e presentare:

  • la carta d’identità;
  • il codice fiscale;
  • lo stato di famiglia;
  • la relazione notarile preliminare o l’atto di provenienza;
  • altri eventuali documenti richiesti dalla banca.

Quando il richiedente presenta la sua domanda e la relativa documentazione, la banca esprime il suo parere di fattibilità. Il responso definitivo ci sarà subito dopo la perizia, uno dei momenti più salienti della procedura.

La valutazione dell’immobile residenziale viene effettuata da un perito indipendente della banca. La cifra del prestito dipende dalla stima dell’immobile e dall’età del richiedente.

L’ultima fase della procedura è rappresentata dalla stipula del contratto che deve avere la forma di atto pubblico.

Come funziona il prestito ipotecario vitalizio?

Per la richiesta di un prestito ipotecario vitalizio, la banca o l’istituto finanziario liquida una cifra che corrisponde alla metà (fino ad arrivare al 60%) del valore della casa di cui si è proprietari, secondo una stima effettuata da un perito indipendente. Il denaro arriva subito sul conto del richiedente in un’unica tranche e non bisogna restituirlo finché si è in vita, bensì dopo il decesso. In caso di persone coniugate o conviventi, il rimborso avverrà dopo la morte del firmatario più longevo.

Dopo la morte di chi ha sottoscritto il contratto di finanziamento, la banca entrerà in possesso della casa. Gli eredi (figli, nipoti o altro) potranno lasciare alla banca, che ha concesso il prestito, l’immobile residenziale dato in garanzia e mettere un punto a questa storia. In alternativa, se ne hanno la possibilità, potranno saldare il debito entro 12 mesi e, se la banca accetta, potranno vendere la casa per conto loro.

Superato questo periodo, la banca potrà vendere l’immobile al prezzo di mercato stimato dal perito, senza ricorrere alla procedura esecutiva giudiziaria, riducendo il prezzo del 15% ogni 12 mesi.

Cosa succede se la vendita della casa non copre il debito?

Per vari motivi, potrebbe accadere che l’immobile residenziale sia venduto ad un prezzo finale più basso del previsto e non riesca a coprire per intero l’ammontare della cifra data in prestito e degli interessi maturati. Le cause potrebbero essere legate alla crisi del mercato immobiliare o al tempo trascorso tra la sottoscrizione del prestito e la vendita della casa. Cosa succede in questo caso? La banca non potrà rivalersi mai in nessun modo sugli eredi del debitore. Il debito si considera saldato una volta che la banca entra in possesso della casa.

Se, invece, la casa viene venduta ad un importo superiore rispetto a quello previsto e rispetto al necessario per coprire il debito con la banca, la cifra in eccesso spetta agli eredi.

Come estinguere gli interessi in vita?

Chi richiede il PIV, se ne ha la possibilità e lo desidera, può accordarsi con la banca e rimborsare in vita gli interessi e le spese. Questa ipotesi non è consigliata, in quanto fa venir meno uno dei principali vantaggi di questo prestito: non versare rate periodiche.

Inoltre, espone il debitore ad un rischio non indifferente: se non ha la possibilità di pagare o risulta moroso, il contratto di prestito potrebbe decadere. Nel caso di mancato pagamento delle rate per sette volte, non necessariamente consecutive, la banca potrebbe decidere di chiedere la risoluzione del contratto e la restituzione immediata dell’intero importo.

Rimborso integrale del prestito

Il prestito ipotecario vitalizio è una forma di finanziamento molto vantaggiosa, in quanto il denaro viene accreditato sul proprio conto e non va restituito subito, se non dopo la morte del debitore. Tuttavia, dovresti fare attenzione ad alcuni dettagli.

Ci sono ipotesi in cui bisogna restituire subito alla banca la cifra ottenuta in prestito. Un caso potrebbe essere la vendita dell’immobile residenziale dato in garanzia alla banca per ottenere il prestito. E’ chiaro che una volta venduto l’immobile, la garanzia viene meno ed il prestito deve essere restituito.

Un’altra ipotesi riguarda il compimento di atti con dolo o colpa grave o la realizzazione di modifiche (senza l’accordo con il finanziatore) rispetto allo stato dell’immobile che possano ridurne il valore in modo significativo. In tal caso, l’immobile non corrisponderà più a quello dato in garanzia alla banca sulla base del cui valore, in sede di perizia, è stato concesso il prestito. Pertanto, il contratto decade ed il prestito deve essere restituito.

Quali sono le banche aderenti?

Le banche che prevedono questo tipo di finanziamento non sono molte. Vediamo le soluzioni proposte da Unicredit, Banca Intesa Sanpaolo ed MPS.

Prestito vitalizio ipotecario Unicredit

Il PIV di Unicredit prende il nome di “Valore casa”. E’ un finanziamento riservato a coloro che hanno un’età compresa tra i 65 e gli 85 anni e può essere a tasso fisso o variabile. Ecco i tassi applicati: per i prestiti a tasso fisso con capitalizzazione annuale degli interessi è previsto il 4,50%, mentre per quelli a tasso variabile con pagamento mensile degli interessi c’è l’applicazione dell’Euribor (365 giorni) a tre mesi.

La garanzia è rappresentata da un’ipoteca di primo grado su un immobile che ha la natura di prima casa. L’importo minimo finanziabile è di 30.000 euro, mentre il valore massimo è legato al valore dell’immobile, all’età del richiedente e al tipo di prestito scelto. L’erogazione del prestito avviene in un’unica soluzione.

I Taeg corrispondono al 4,65% e al 4,31% e prendono in considerazione anche altre spese legate all’operazione (istruttoria, invio di avvisi e rendiconti, polizza assicurativa per incendio fabbricati, perizia tecnica e imposta sostitutiva dello 0,25%).

Prestito vitalizio ipotecario Banca Intesa Sanpaolo

“Per Te” è il nome del prestito vitalizio ipotecario di Banca Intesa Sanpaolo. E’ riservato a coloro che hanno un’età compresa tra i 60 ed i 90 anni. Un finanziamento a medio/lungo termine con tasso fisso garantito da un’ipoteca di primo grado su un immobile ad uso abitativo di proprietà del richiedente e con capitalizzazione annuale degli interessi. Il Tan ammonta al 4%, mentre il Taeg al 4,126% nella versione con rimborso graduale degli interessi.

Prestito Vitalizio Ipotecario MPS

Il prestito vitalizio ipotecario di MPS si chiama PrestiSenior. L’età della persona finanziata può oscillare tra i 60 ed i 90 anni. Il richiedente può ricevere l’importo in un’unica soluzione o richiederne l’accredito in versamenti annuali fino a 20 tranche. Il tasso di interesse è fisso e l’importo massimo erogabile è di 250.000 euro (e non può andare oltre il 50%) per chi opta per l’unica soluzione. I versamenti annuali possono andare da un minimo di 2.400 fino ad un massimo di 25.000 euro.

Fonte :La legge uguale per tutti

Abusi edilizi. Il coniuge comproprietario è responsabile?


Reati edilizi: profili di responsabilità del proprietario o comproprietario non committente

Risultati immagini per abuso edilizio


Avv. Rosario Dolce del Foro di Palermo
05/12/2018


In tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario o comproprietario non committente non può essere ricavata per la obiettiva contitolarità sul bene, oppure in ragione di un assunta omessa vigilanza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40, secondo comma, codice penale, a mente del quale: Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Il principio appena reso è stato riproposto dalla Corte di Cassazione sezione. III Penale, con sentenza n. 53000/18, depositata il 26 novembre.



Il fatto. Con sentenza Corte di appello di Napoli, in riforma di una pronuncia emessa dal Tribunale di Torre Annunziata, dichiarava non doversi procedere nei confronti di Caio per essere i reati allo stesso ascritti, in quanto estinti a causa della sua morte.

Il Giudice collegiale dichiarava, ancora, non doversi procedere nei confronti della moglie, Mevia,in ordine alle contravvenzioni contestate, per esser estinte a causa dell'intervenuta prescrizione, pur rideterminando la pena per il delitto di cui all'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in un anno di reclusione[norma, frattanto, dichiarata illegittima, per violazione degli articoli3 e 27 della Costituzione,nella parte in cui, anche quando non risultino superati i limiti quantitativi previsti dalla successiva lettera b), punisce l'autore delle opere abusive con la sanzione della reclusione da uno a quattro anni, anziché con le pene più lievi previste dal precedente comma 1 ? che rinvia all'art. 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380].


Orbene, Mevia, non soddisfatta dell'esito del secondo grado di giudizio, propone ricorso innanzi la Suprema Corte di Cassazione deducendo la violazione dell'articolo 192 codice procedura penale, in relazione ai reati urbanistici ed ambientali (per quel che qui è dato interessare), ovvero per violazione del principio di valutazione delle prove.

Secondo la predetta ricorrente la Corte di appello avrebbe riconosciuto la sua responsabilità sol perché comproprietaria dell'immobile oggetto dell'abuso, invero pacificamente realizzato dal defunto marito.

Quindi condannandola al reato di che trattasi in forza di una responsabilità di carattere oggettivo e pure senza contestualizzare l'effettiva partecipazione all'abuso edilizio.

La sentenza. In tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario o comproprietario non committente - ammonisce il giudice di legittimità - non può essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene né può essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l'inapplicabilità dell'art. 40, secondo comma, codice penale.

La responsabilità del proprietario o comproprietario non committente, invece, dev'essere dedotta da indizi ulteriori rispetto all'interessein sito nel diritto di proprietà, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato (cfr, Corte di Cassazione, Sez. 3, n. 44202 del 10/10/2013).

In particolare, si è evidenziato che questa responsabilità può dedursi da elementi quali:

  • la piena disponibilità della superficie edificata;
  • l'interesse alla trasformazione del territorio;
  • i rapporti di parentela o affinità con l'esecutore del manufatto;
  • la presenza ela vigilanza durante lo svolgimento dei lavori;
  • il deposito di provvedimenti abilitativi (anche in sanatoria);
  • la fruizione dell'immobile secondo le norme civilistiche sull'accessione;
  • nonché tutti quei comportamenti (positivi o negativi) da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione - anche morale - alla realizzazione del fabbricato.

Si tratta, dunque, di una responsabilità che può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria e la cui valutazione si sottrae al sindacato di legittimità, se congruamente motivata. Sulla scorta di tale presupposto è stato rigettata l'impugnazione sollevata da Mevia. Ma esaminiamo, ancora più in dettaglio, le ragioni dell'assunto giurisprudenziale.


Conclusione. La Corte di appello di Napoli aveva, infatti, richiamato nella sentenza impugnata taluni dei parametri citati, ed in forza di questi - con logico e congruo argomento -aveva avuto cura di confermare la responsabilità della comproprietaria Mevia, in ordine agli abusi compiuti.

In particolare, nella sentenza era stato correttamente evidenziato che la ricorrente:

  1. era comproprietaria, insieme al defunto marito, dell'immobile oggetto degli abusi;
  2. in costanza di matrimonio, aveva goduto del regime patrimoniale della comunione dei beni;
  3. era risultata residente presso lo stesso luogo;
  4. ancora lì aveva dichiarato domicilio per le notificazioni.

L'insieme di tali elementi, secondo il Giudice di legittimità, è, allora, ben in grado di legittimare la valutazione posta in essere dalla corte di merito, la quale, con argomentazione non manifestamente illogica, quindi non censurabile, aveva ravvisato in Meviala sussistenza di un comune interesse all'edificazione con il marito, per soddisfare esigenze familiari, e, dunque, era stato riscontrato,nel suo operato, una piena e cosciente volontà alla partecipazione all'abuso dall'altro commesso o, comunque, una compartecipazione almeno morale all'esecuzione dell'opera abusiva.

Proprietà esclusiva del cortile e condivisione di aree di parcheggio Il cortile condominiale si presume comune se il contrario non risulta da un titolo


Avv. Leonarda Colucci - Foro di Brindisi
05/09/2018


Spesso per la condivisione di aree di parcheggio nei cortili nascono accesi conflitti aventi ad oggetto il diritto o meno di parcheggiare in base ad una presunta proprietà esclusiva del cortile.

In assenza di un titolo che dimostri la proprietà esclusiva del cortile in capo ad un condomino, gli altri possono continuare a parcheggiare o devono subire passivamente l'insipienza degli inquilini più arroganti?


La vicenda.Tizio e Caio, assumendo di essere nudi proprietari di alcuni immobili ubicati in un edificio composto anche da cortile ciascuno per i rispettivi millesimi di proprietà, citano in giudizio Mevio e Sempronio che dal 1997 impediscono di parcheggiare i propri veicoli nel cortile nella convinzione di essere proprietari esclusivi dello stesso.

Pertanto gli istanti (Tizio e Caio) chiedono di accertare la comproprietà del cortile condominiale, con condanna dei convenuti (Mevio e Sempronio) alla restituzione della propria quota di cortile ed al risarcimento dei danni sopportati per non aver potuto usufruire, per oltre un ventennio, del cortile.

I convenuti hanno contestato tale assunto eccependo di essere proprietari esclusivi del cortile in virtù di atto pubblico di acquisto dell'immobile di loro proprietà risalente agli anni ottanta.


La sentenza.La domanda degli attori è stata parzialmente accolta, mentre è stata respinta la domanda di risarcimento del danno.La quarta sezione civile del tribunale di S. Maria Capua Vetere ha accertato, infatti, la natura condominiale del cortile e, quindi, la sua appartenenza in comune e pro indiviso a tutti i proprietari degli immobili del fabbricato. (Tribunale di S. Maria Capua Vetere, IV sez. civ., 11.5.2018 n. 1652)

Soffitto e pavimento. Gli spazi pieni o vuoti non essenziali alla struttura divisoria sono privati.


Gli spazi, siano essi pieni o vuoti, esistenti al di sotto del soffitto o del pavimento, risultano complementari e non essenziali alla struttura divisoria


Avv. Paolo Accoti
06/07/2018


Sono oggetto di proprietà comune tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, tra le quali, il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate.


Sono altresì di proprietà comune le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune (art. 1117 Cc).

Tale elencazione non è esaustiva, considerato che alcuni beni, quand'anche non espressamente menzionati, in ragione delle loro caratteristiche funzionali e strutturali risultano comunque comuni.

A tal proposito, al fine di stabilire la condominialità, o meno, dei beni non elencati nell'art. 1117 Cc, occorre avere riguardo alle caratteristiche strutturali di tali beni rispetto all'edificio, pertanto, deve considerarsi il loro rapporto di dipendenza con il complesso immobiliare ovvero la loro attitudine funzionale, anche solo potenziale, e tanto a prescindere dall'utilità particolare che può trarre dagli stessi il singolo condomino.

Ciò posto, non rientra nei beni comuni, ma rimane in proprietà del singolo condomino, lo spazio vuoto sovrastante gli appartamenti e, in particolare, la controsoffittatura, in quanto la stessa non ha una funzione portante ovvero divisoria dei due appartamenti sovrapposti ma, esclusivamente, una funzione decorativa.


A tal proposito, infatti, appare pacifico che gli spazi, siano essi pieni o vuoti, esistenti al di sotto del soffitto o del pavimento, risultano complementari e non essenziali alla struttura divisoria, conseguentemente, gli stessi rimangono esclusi dalla comunione e sono di proprietà dei condòmini proprietari dei piani sovrapposti.

Questi i principi di diritto enunciati dalla Corte di Cassazione, II Sezione civile, nell'ordinanza n. 15048, pubblicata in data 11 giugno 2018.

Accadeva che con ricorso per reintegra in possesso, ex art. 703 Cpc, un condomino, proprietario dell'appartamento sottostante a quello del condomino convenuto, lo evocava in giudizio al fine di essere reintegrato nel possesso della controsoffittatura del soffitto.

Assumeva, infatti, che il proprietario dell'appartamento sovrastante, durante alcuni lavori di ristrutturazione aveva invaso la sua proprietà, costituita dallo spazio esistente tra il soffitto e la controsoffittatura, mediante l'installazione di tubi e condutture allocati al servizio esclusivo del suo appartamento.


Il Tribunale di Venezia rigettava la domanda, con sentenza di primo grado confermata dalla Corte d'Appello di Venezia, nel frattempo adita dal ricorrente, la quale respingeva il gravame.

Il condomino originario ricorrente non demorde e impugna la sentenza di secondo grado innanzi alla Corte di Cassazione, deducendo la violazione degli artt. 1102, 1117, 1140 e 1125 Cc.

La Corte di Cassazione prende atto della circostanza per la quale la Corte territoriale nel rigettare la domanda possessoria, ha ritenuto che il solaio fosse in compossesso tra i due appartamenti e che, pertanto, alcuno spoglio poteva configurarsi.

Evidenzia a tal proposito il Giudice di legittimità che, in linea generale, il solaio che separa il piano sottostante da quello sovrastante è di proprietà comune ai due piani, in relazione alla sua funzione di sostegno per il piano superiore e di copertura del quello inferiore.

Tanto è vero che, l'art. 1125 Cc, in materia di spese per la manutenzione dei soffitti, prevede che le stesse vengano sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani; viceversa, a carico del proprietario del piano superiore rimane la copertura del pavimento mentre, a carico del proprietario del piano inferiore è ascrivibile l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.

Tale regola, tuttavia, vige solo per le strutture essenziali alla struttura, vale a dire quelle che hanno una funzione di sostegno e copertura, tanto è vero che «la presunzione di condominialità riguarda il solaio in se stesso considerato e non anche lo spazio pieno o vuoto che esso occupa, con la conseguenza che non è consentito al proprietario di uno degli appartamenti limitare o restringere la proprietà esclusiva dell'altro appartamento occupando gli spazi vuoti (Cass. 23.3.1991 n. 3178, Cass. 23.3.1995 n.2286).».

Nel caso di specie, osserva la Suprema Corte, atteso che «la situazione di comunione parziale inerisce solo alla parte strutturale, le eventuali opere che accedono al soffitto o al pavimento e che apportano dei benefici solo ad uno dei due proprietari, cosi come tutto ciò che non ha il carattere dell'essenzialità per la struttura, restano esclusi dalla comunione e possono essere utilizzati dal condomino nell'esercizio del diritto dominicale.

Va, pertanto, escluso che tra il soffitto del piano inferiore e il pavimento del piano superiore possano esistere altre opere le quali non facciano parte del solaio e delle quali bisogna accertare di volta in volta la destinazione, al fine di verificare a chi appartengano (Cass. 21.10.1976 n. 3715).».

Nel caso concreto risulta accertato che il proprietario dell'appartamento soprastante abbia collocato, in alcuni punti, dei tubi e dei cavi posti al di sotto delle assi di sostegno delle travi del pavimento e, pertanto, tra lo spazio tra il solaio e il controsoffitto dell'appartamento sottostante ritenuto erroneamente, dalla Corte territoriale, bene in comunione tra i proprietari dei due appartamenti.


A tal proposito, ricorda la Corte di Cassazione, «quando gli spazi pieni o vuoti, che accedano al soffitto od al pavimento, non siano essenziali alla struttura divisoria, rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale.».

Conseguentemente, il proprietario dell'appartamento sovrastante utilizzando come se fosse di sua proprietà lo spazio tra il solaio e la controsoffittatura - con funzione meramente estetica -, ha spogliato nel possesso il proprietario dell'appartamento sottostante.

Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e la sentenza cassata e rinviata per nuovo esame innanzi ad altra sezione della Corte d'Appello di Venezia.


La rampa per il disabile rientra ora nell'edilizia libera. Comune e condominio non hanno alcun potere decisionale

Risultati immagini per rampa disabili


Niente Cila per realizzare una rampa necessaria al diversamente abile per accedere in casa

Non occorre alcun titolo abilitativo per la rampa disabili e il comune non può pretendere la deliberazione dell'assemblea condominiale. Il TAR Campania condanna il Comune ad annullare il blocco imposto ad un condomino per la realizzazione di una rampa di accesso per disabili; non occorre alcun titolo abilitativo, rientrando negli interventi di edilizia libera e né tanto meno può, il Comune, imporre la convocazione dell'assemblea condominiale, essendo compito del condominio.


Il TAR Campania (sentenza n. 3916/18) ha condannato il Comune per aver imposto la sospensione dei lavori di realizzazione di una rampa per disabili, rilevando la mancanza della CILA quale titolo abilitativo e basandosi anche sul presupposto dell'assenza di una delibera condominiale autorizzativa degli stessi lavori.

Il TAR ha ritenuto inutile questo titolo abilitativo; il D.Lgs. n. 222/2016 ( Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell'art. 5 della L. 7 agosto 2015, n. 124 (Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche), ha infatti adottato il Glossario degli interventi sottoposti al regime giuridico di edilizia libera, cioè realizzabili senza alcun titolo abilitativo (come previsto dal D.P.R. 380/2001 - Testo Unico dell'Edilizia, ex art. 6, co. 1, lett. da a) a e-quinquies e dal D.Lgs. n. 128/2006, ex art. 17).

Sulla base di quanto indicato dal Glossario, una delle categorie per le quali è dettagliato il tipo di intervento eseguibile e l'elemento edilizio oggetto dello stesso intervento, riguarda l'eliminazione delle barriere architettoniche.


In virtù di quanto specificato, sono ammessi quegli interventi diretti all'eliminazione delle barriere architettoniche purchè non comportino l'eventuale realizzazione/installazione di ascensori esterni o altri manufatti che compromettano la sagoma originaria dell'edificio.

In tal senso è prevista l'installazione, la riparazione, la sostituzione, il rinnovamento di altri apparati meccanici.

Le rampe dunque, rientrano in quegli interventi ammessi che consentono di superare gradini, marciapiedi, soglie o piccoli dislivelli che rappresentano veri e propri ostacoli alla mobilità autonoma di un disabile.


Inoltre il TAR rileva anche un'altra violazione, quella della L. 104/92contro le barriere architettoniche e sottolinea che, laddove l'amministrazione comunale avesse avuto incertezze o dubbi interpretativi riguardo l'adozione o meno del Glossario Edilizia Libera, avrebbe comunque dovuto favorire il portatore di handicap, tenuto conto che il nostro Paese ha recepito la Convenzione Onu per i diritti dei diversamente abili con la legge 18/2009 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità ).

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Ad ulteriore supporto di quanto indicato dal TAR, va detto che in tema di barriere architettoniche la Camera italiana ha approvato, nell'ottobre 2017, il D.L. "Disposizioni per il coordinamento della disciplina in materia di abbattimento delle barriere architettoniche", con il quale coordina la disciplina inerente l'abbattimento delle barriere architettoniche allo scopo di diffondere e adottare una progettazione universale nonché omogeneità delle discipline relative agli edifici, agli spazi e ai servizi pubblici e privati e all'edilizia residenziale pubblica; in sostanza, ci si pone l'obiettivo di aggiornare e uniformare le prescrizioni tecniche vigenti in tema di abbattimento delle barriere, allineandosi alla strategia europea sulla disabilità.


Altra violazione contestata al Comune è relativa al rapporto privatistico che intercorre fra i coniugi e il condominio; l'ente comunale non può intervenire in questioni che esulano dal suo controllo e dunque pretendere l'atto deliberatorio dell'assemblea condominiale all'abbattimento della barriera architettonica.

È il condominio (o l'amministratore condominiale) che dovrà rivolgersi all'autorità giudiziaria laddove riscontrasse violazioni o abusi nella realizzazione di opere edilizie sulle parti comuni.

martedì 15 gennaio 2019

Prestiti personali: tutti i costi da non sottovalutare



Guida ai costi di un prestito personale: come scegliere l'offerta migliore analizzando tutti le spese che stanno dietro ad un finanziamento.

In momenti di disagio economico, quando la liquidità scarseggia, può essere necessario rivolgersi agli istituti di credito che erogano i prestiti personali più convenienti. I prestiti personali, proprio come i mutui, sono concessi a chi possiede determinate garanzie reddituali e sempre alla stregua dei mutui presentano costi da non sottovalutare. Le spese legate ai finanziamenti personali si aggiungono all’importo della rata calcolata in base al piano di rimborso: vediamo quali sono e a quanto ammontano.

Innanzitutto, ricordiamo che i prestiti personali sono finanziamenti senza obbligo di destinazione e si differenziano dai prestiti finalizzati (prestito auto; prestito viaggi; prestito per studenti) proprio in quanto non vincolano all’acquisto di determinati beni o servizi. L’importo erogato oscilla generalmente fra un minimo di 3.000 e un massimo di 50.000 euro, da rimborsare in rate mensili il cui importo totale è definito in base alla durata del piano di rimborso e ad ulteriori costi. I finanziamenti più convenienti si individuano in pochi minuti con l’ausilio dei comparatori di prestiti gratuiti disponibili sul web, confrontando i migliori prestiti personali online su Facile.it o su altri siti dedicati alla confronto di proposte bancarie.

Le offerte ottenute mediante la comparazione indicano l’importo della rata, le modalità di rimborso (periodicità della rata; metodo di pagamento etc etc…) e i costi applicati al prestito tra cui il TAN, il TAEG, le spese di istruttoria, le spese di incasso per procedura, l’imposta di bollo, le spese per l’invio di comunicazioni ed eventuali assicurazioni obbligatorie sul credito. L’elenco riporta le voci di costo tradizionalmente legate ai prestiti personali: le spese da tenere in considerazione nella scelta dell’istituto di credito cui rivolgersi.

Quanto al TAN e al TAEG, i tassi d’interesse applicati dagli enti finanziatori, è importante verificare che tali rendimenti non superino il 25 per cento, indice oltre il quale si configura il reato di usura. Il TAN è il tasso annuale nominale applicato alle rate mensili e rappresenta per l’appunto uno dei rendimenti che ottiene la banca sull’importo concesso a titolo di prestito. Il TAEG, che rappresenta come il TAN un rendimento, copre le spese di istruttoria, i costi della pratica, i costi di incasso rata e le spese assicurative. Al TAN e al TAEG si aggiungono anche l’imposta di bollo da versare allo Stato, generalmente accorpata alla prima rata, e le spese per l’invio di comunicazioni.

I prestiti più convenienti, oltre ad essere caratterizzati da un TAN e un TAEG contenuti, possono prevedere l’assicurazione facoltativa sul credito, l’imposta di bollo a carico della banca e l’invio di comunicazioni come l’estratto conto completamente gratuito. Nella scelta del miglior prestito è importante tenere in considerazione anche i costi di estinzione anticipata del finanziamento, che in base alle leggi vigenti non possono superare l’1 per cento della somma erogata.

Per conoscere nel dettaglio i costi di un prestito basta leggere il modulo informativo obbligatorio IEBCC o SECCI, scaricabile in formato PDF in allegato alle offerte di prestito online o disponibile in filiale.

Il modulo IEBCC o SECCI (acronimo di Standard European Consumer Credit Information) contiene in un unico documento tutte le informazioni di base, decise a livello europeo, che consentono al consumatore, in modo trasparente, di fare bene i propri conti prima di stipulare un contratto di prestito. Nella prima sezione del modulo IEBCC sono riportate le informazioni sul prestito e le sue caratteristiche; nella seconda sezione i dati su tasse, spese e costi; nella terza i diritti dei consumatori e gli aspetti legali relativi ad eventuali inadempimenti del cliente, al diritto di recesso e al diritto al rimborso anticipato. Molti consumatori sentono parlare del IEBCC per la prima volta, ma può essere normale perché si tratta di un termine appartenente al linguaggio tecnico bancario. Per conoscere il significato dei termini più ricorrenti nei contratti di prestito si consiglia di consultare il glossario della Banca d’Italia.

lunedì 14 gennaio 2019

Il soppalco, se di ampia superficie e consente la permanenza di persone, richiede il permesso di costruire

Il soppalco, se di ampia superficie e consente la permanenza di persone, richiede il permesso di costruire

Realizzazione di un soppalco: quale è la disciplina giuridica per realizzarlo?


Il Consiglio di Stato, respingendo il ricorso di una Società, non concede la sanatoria per la realizzazione di un soppalco che si configura come superficie aggiuntiva calpestabile e fruibile dall'individuo e che comporta aggravio del carico urbanistico. L'opera rientra fra gli interventi di ristrutturazione edilizia e pertanto soggetta al rilascio del Permesso di Costruire.
Il fatto. Una Società, proprietaria di un immobile di valore storico, esegue una serie di opere edilizie atte a variare la destinazione d'uso e realizzare un soppalco. Dopo il sopralluogo di alcuni tecnici comunali, è stato rilevato che la realizzazione di predette opere era avvenuta in difformità dei titoli edilizi abilitativi.
In particolare, relativamente al soppalco, la Società ha dichiarato che lo stesso altro non è che un mero arredo industriale del magazzino che consente l'accesso alle scaffalature verticali da parte del personale in condizioni di sicurezza (tesi tra l'altro espressa all'atto del ricorso giudiziale).
Pur ribadendo la tesi che si tratterebbe di un'opera non destinata alla stabile permanenza di clienti o di personale, i tecnici in realtà hanno riscontrato che il soppalco si presenta sì di modesta estensione, ma integra un aumento di superficie fruibile, consentendo dunque la libera fruibilità delle scaffalature attraverso uno stabile camminamento (cui si accede mediante scale di collegamento con il piano di calpestio) e il posizionamento di carichi variabili.
=> Ampliamento di un soppalco e permerssi edilizi.
Più dettagliatamente, lo spazio risultante presenta:
  • un'altezza media utile, tale da consentire ad una persona di accedervi comodamente;
  • una protezione dal vuoto sottostante, cosicché da renderlo fruibile in assoluta sicurezza;
  • un'adeguata illuminazione riveniente da un lato aperto che permette di usufruire della luce del locale sottostante;
  • una scala fissa dotata di corrimano che ne consente il raggiungimento.

In virtù di questa conformazione, della dimensione e della funzione, la realizzazione del soppalco è da qualificarsi quale intervento di ristrutturazione edilizia e pertanto soggetta al rilascio del Permesso di Costruire che, allo stato attuale, risulta assente e pertanto motivo di demolizione dello stesso.
=> Realizzazione di un soppalco in un appartamento condominiale
Cosa prevede la normativa.La disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all'interno di un locale interponendovi un solaio, non è definita in modo univoco ma va analizzata caso per caso in relazione alle caratteristiche del manufatto.
Tuttavia, in linea di principio, laddove il soppalco si configuri di grandi dimensioni (con aumento di superficie utile) comportando una sostanziale ristrutturazione dell'immobile preesistente (D.P.R. n. 380/2001, art. 3) e relativo aggravio del carico urbanistico, la sua realizzazione richiede il Permesso di Costruire.
Tale titolo abilitativo non è richiesto quando il soppalco si configura come vano chiuso (cioè privo di finestre o luci), di altezza interna ridotta che non consente la permanenza di persone, comunque di limitata superficie che possa escludere la creazione di un ambiente idoneo all'incremento di superficie utile e pertanto riconducibile ad un intervento di restauro o risanamento conservativo.
Diversa è la questione relativa al soppalco abitabile che è definito in termini di legge come "soppalco con permanenza di persone" e si tratta di una zona rialzata rispetto al livello del resto dell'appartamento, realizzato in una fase successiva e calpestabile da persone comodamente erette.
Le regole e le misure stabilite dalla legge per la realizzazione di un soppalco cambiano a seconda del Regolamento Edilizio e alle norme igienico sanitarie di ciascun Comune ma, in linea generale, possono essere così riassunte:
  • altezza minima del locale da soppalcare: deve essere di almeno 430-440 cm.; le altezze sopra e sotto il soppalco, quindi, non possono essere inferiori a 210 cm., soletta compresa;
  • superficie soppalcata: non deve essere superiore a 1/3 della superficie del locale, ma può arrivare fino a metà della superficie del locale quando le altezze sopra e sotto il soppalco raggiungono i 220 cm.;
  • altezza della zona sottostante: deve essere di almeno 240 cm. nel caso la si voglia attrezzare come bagno o come cucina (mantenendo sempre però i 210 cm. minimi nella parte superiore);
  • superficie finestrata: non deve essere inferiore a 1/8 della superficie del locale soppalcato;
  • documentazione del progetto: va presentata all'Ufficio Tecnico del proprio Comune da parte di un professionista (ingegnere, architetto o geometra);
  • ultimazione lavori: una volta terminati, questi vanno documentati all'Ufficio del Catasto, poiché aumenta la superficie calpestabile e quindi la metratura dell'appartamento.

La pergotenda non sempre rientra fra le opere di edilizia libera

La pergotenda non sempre rientra fra le opere di edilizia libera

La pergotenda: un manufatto di ambigua collocazione

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Ancora una sentenza sul caso della pergotenda che risulta un manufatto di ambigua collocazione; potrebbe risultare un'opera non soggetta ad alcun titolo abilitativo, ma potrebbe anche prevedere il rilascio preventivo del permesso di costruire.

Il manufatto oggetto della discordia. La pergotenda di per sé, così come anche specificato nelle more della sentenza del Tar dell'Umbria (la n. 624/2018), presenta una struttura (solitamente in alluminio anodizzato, ma anche in legno) destinata ad ospitare tende retrattili in materiale plastico (pvc) con funzione di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici e dunque destinata a rendere più vivibile uno spazio pertinenziale esterno di un'unità abitativa (terrazzo, giardino, ecc.).
La tenda, essendo retrattile (in copertura, ma anche a volte lateralmente), non presenta elementi di fissità ed è integrata nella struttura che, in tal modo, diventa un mero elemento accessorio vincolante al sostegno e all'estensione della stessa tenda; lo spazio delimitato, dunque, non può configurarsi come spazio chiuso stabilmente.
Questa condizione e il materiale inconsistente della copertura, compongono pertanto un manufatto leggero che non può assolutamente assimilarsi ad un organismo edilizio rilevante e comportante trasformazione urbanistica (così fosse, il manufatto richiederebbe il preventivo rilascio del permesso di costruire).
=> Pergotende libere. Nessun titolo edilizio abilitativo per l'installazione
Così come descritta, la pergotenda può definirsi un'opera precaria destinata a soddisfare esigenze meramente temporanee; ed è quanto stabilisce anche il Glossario dell'edilizia libera, introdotto dal D.M. 2 marzo 2018"Approvazione del glossario contenente l'elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera", che le identifica come strutture di copertura di terrazzi e lastrici solari, formate da montanti ed elementi orizzontali di raccordo e sormontate da una copertura in tessuto o altro materiale impermeabile, con funzione di riparo dal sole e dalla pioggia, migliorando la fruibilità della pertinenza.
Quando invece la struttura si presenta come manufatto di considerevole dimensione e con caratteristiche tecniche tali da modificare l'aspetto e la volumetria di un edificio, oltrechè prevedere un sistema di ancoraggio al suolo robusto e permanente, va assimilata ad una nuova costruzione e pertanto soggetta al rilascio del permesso di costruire.
=> La Pergotenda: cos'é e quando è possibile installarla?
La sentenza. È quanto ha stabilito la recente sentenza del Tar dell'Umbria che ha considerato abuso edilizio la realizzazione di una presunta pergotenda, ordinandone la demolizione.
Il manufatto non può qualificarsi pergotenda, non presentando le caratteristiche tipiche della succitata struttura precaria e pertanto non poteva essere liberamente installata.
L'opera si compone di un complesso di elementi metallici ed esattamente quattro profilati in ferro, con sezione di ingombro pari a 20 x 20 cm., inglobati in dei carter metallici e aventi funzione di pilastri strutturali a sostegno del soprastante telaio orizzontale; ogni singolo pilastro presenta una piastra in acciaio saldata, con quattro tirafondi in acciaio bullonati in corrispondenza degli spigoli; l'intera struttura delimita una superficie di 64 mq.
Così composta la pergotenda non si limita a soddisfare esigenze precarie né si connota per la temporaneità della sua utilizzazione, bensì si qualifica come manufatto atto a migliorare la fruizione di uno spazio esterno stabile e duraturo.
Data la sua consistenza, le caratteristiche costruttive e la funzione, sotto il profilo normativo rappresenta un'opera che determina una " trasformazione edilizia e urbanistica del territorio" e pertanto una nuova costruzione che comporta il preventivo rilascio del permesso di costruire.
In conclusione, il Tar fa cenno anche ad una recente decisione del Consiglio di Stato con la quale le pergotende vengono assimilate alle tettoie in quanto manufatti molto simili, differenti solo per la struttura più leggera delle prime rispetto alle seconde.

Il pergolato non richiede titolo abilitativo se amovibile e mero elemento di arredo di uno spazio esterno Una struttura leggera e facilmente amovibile, assimilabile ad un pergolato non è assoggettabile ad alcuni titolo abilitativo

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Angelo Pesce - Consulente Tecnico
13/12/2018


Il TAR Campania, con sentenza 1761del 6 dicembre 2018,ha stabilito che una struttura leggera e facilmente amovibile, assimilabile ad un pergolato che assurge alla mera funzione di arredo di uno spazio esterno, nonché di sostegno ad essenze arboree per ombreggiare una superficie di ridotte dimensioni, non è assoggettabile ad alcun titolo abilitativo.

Verande e Gazebi negli edifici condominiali. Realizzazione, disciplina e controversie

Cosa ha stabilito il TAR.Il ricorso dei vicini contro il Comune, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il proprietario di una struttura metallica amovibile a sostegno di essenze arboree su un terrazzo a livello presso il proprio immobile, viene respinto dal TAR Campania.

I ricorrenti sostenevano che l'opera realizzata rientrasse nella categoria edilizia della nuova costruzione o in quella della ristrutturazione "pesante" e pertanto assoggettabile al rilascio del permesso di costruire; inoltre, l'intervento era da ritenersi incompatibile con le disposizioni dettate dal PUT dell'Area in cui insisteva l'immobile e dal PRG comunale.

Il proprietario, in realtà, aveva realizzato l'opera con regolare presentazione di DIA (ora SCIA), richiesta di parere favorevole (poi ottenuto) della Commissione Paesaggistica del Comune, nonché del parere favorevole (anche questo ottenuto) della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici che rilasciava regolare autorizzazione all'intervento.

L'opera, che prevedeva come da progetto originario la realizzazione di un pergolato in struttura leggera, con copertura filtrante costituita da essenze arboree e facilmente amovibile (poi oggetto di regolare variante che vedeva la sostituzione della vegetazione con una copertura ad incannucciata), aveva ottenuto il benestare della Soprintendenza e della Commissione Paesaggistica perché non comportava alcun impatto volumetrico, date le sue dimensioni e la sua natura precaria.

Così come realizzato, il manufatto altro non è che un semplice pergolato del tutto temporaneo, che assurge alla funzione di mero arredo di uno spazio esterno, consistente in una struttura leggera, facilmente smontabile perché privo di fondamenta, di sostegno a piante rampicanti (o teli filtranti), senza pareti né copertura impermeabile fissa, e che garantisce ombreggiatura su una superficie di ridotte dimensioni.

Così configurata la struttura non può dunque ritenersi una nuova costruzione o il risultato di una ristrutturazione pesante realizzabile con permesso di costruire, ma semplicemente un manufatto del tutto momentaneo esente da qualunque titolo abilitativo.

Questo comporta anche l'infondatezza della presunta incompatibilità con le disposizioni pianificatorie del PRG e del PUT.

=> La costruzione di un pergolato lamellare non costituisce nuovo volume o superficie

Il pergolato nel Glossario dell'Edilizia Libera. Il recente Glossario ha previsto la nuova installazione o la sostituzione del pergolato senza alcun titolo abilitativo, purchè risulti non stabilmente infisso al terreno e di ridotte dimensioni.

Il pergolato deve essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti o teli, a mezzo dei quali permette il riparo e/o l'ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni; proprio per la grandezza non eccessiva, la precarietà della struttura e l'uso estemporaneo, non comporta un aumento di volumetria o superficie utile.

Di solito si compone di una struttura impalcata di montanti verticali e elementi orizzontali in legno o in strutture autoportanti in alluminio, tutte con funzione di sostegno a piante o teli per ombreggiatura e riparo da sole, pioggia e vento; è aperto su tre lati e anche nella parte superiore (in quanto non presenta una copertura rigida e totalmente impermeabile).

Non è dunque riconducibile alla nozione di pergolato una struttura costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, tali da rendere la struttura solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo.

Regolamento di condominio e divieto destinazione a uso commerciale Unità immobiliari a destinazione commerciale, limitazioni e i divieti alle facoltà d'uso

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Avv. Alessandro Gallucci
28/12/2018


Il regolamento di condominio può disciplinare l'uso delle cose comuni; entro determinati limiti, la disciplina dell'uso può spingersi fino a vietare determinati comportamenti.

Il regolamento di condominio può spingersi fino a vietare particolari usi di unità immobiliari? Può cioè vietare, per dirne una, la destinazione a uso commerciale delle unità immobiliari?


La risposta è positiva, ma solamente a determinate condizioni; agli addetti ai lavori è noto che tale limitazione possa essere disposta solamente da un regolamento di codominio avente origine contrattuale.

Per dare una visione completa della problematica è utile soffermarsi su alcuni passaggi.

Nozione di regolamento di condominio

Il regolamento, ci dicono all'unisono dottrina e giurisprudenza, è una sorta di statuto del condominio (in dottrina, ad es., R. Scorzelli, Manuale pratico del condominio, Edizioni Fag, 2007, in giurisprudenza, ex multis, Cass. 29 novembre 1995 n. 12342).

In quanto atto disciplinante la vita della compagine, esso ha un contenuto che serve a garantire al meglio la funzione delle parti comuni, nonché la loro regolare amministrazione.

In tal senso è illuminante l'art. 1138 c.c. che nel disciplinare il regolamento condominiale, ne delinea obbligatorietà, procedura di approvazione e revisione, contenuto e divieti.

Il regolamento di condominio così descritto è detto assembleare, perché varato a maggioranza dall'assemblea. Esiste un'altra tipologia di statuto che prende il nome di regolamento contrattuale.

Il regolamento contrattuale è quello redatto dal costruttore e sottoscritto da tutti i condòmini all'acquisto dell'unità immobiliare, ovvero quello sottoscritto da tutti i condòmini in un momento successivo, anche in assemblea.

Regolamento di condominio contrattuale e limiti alle destinazioni d'uso

Una delle caratteristiche del regolamento contrattuale è che lo stesso può disporre limitazioni alle facoltà d'uso dei singoli condòmini, tanto in relazione alle parti comuni dell'edificio (es. divieto d'uso di una parte comune in un particolar modo) tanto delle unità immobiliari di proprietà esclusiva.

=> Rilascio dell'immobile al pagamento dell'indennità di avviamento da parte del locatore

Rispetto a queste ultime è stato affermato che «in materia di condominio negli edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che limitano il diritto dominicale di tutti o alcuni dei condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà, nell'interesse di tutto il condominio o di una sua parte, e che vietano, in particolare, a tutti o ad alcuni dei condomini di dare alle singole unità immobiliari una o più destinazioni possibili, ovvero li obbligano a preservarne le originarie destinazioni per l'utilità generale dell'intero edificio, o di una sua parte» (Cass. 19 ottobre 1998 n. 10335).

Le limitazioni, quindi, sono previste nell'interesse del condominio ovvero di parte di esso. Vietare la destinazione commerciale può avere senso in quanto è interesse dei condòmini mantenere la tranquillità dell'edificio evitando continui andirivieni tipici delle attività commerciali.

È importante che le limitazioni e i divieti alle facoltà d'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva siano formulati in modo tale da essere chiare e precise.

Come affermato dalla Cassazione, infatti, i divieti «possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attività vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, basterà verificare se la destinazione stessa sia inclusa nell'elenco) sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (in questo secondo caso, naturalmente, al fine suddetto, è necessario accertare la idoneità in concreto della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare) (Cass., n. 1560 del 1995; Cass., n. 9564 del 1997; Cass., n. 11126 del 1994)» (così Cass. 18 settembre 2009 n. 20237).

Data la natura limitativa dei diritti dei singoli, in ogni caso (cioè anche nell'ipotesi di regolamento contrattuale adottato in sede d'assemblea) il consenso ai divieti deve essere espresso e sottoscritto, non bastando l'attestazione a verbale.

Regolamento assembleare e divieti d'uso commerciale, come comportarsi?

E se l'assemblea condominiale delibera a maggioranza che le unità immobiliari ubicate nell'edificio non possano avere destinazione commerciale?

In che modo si deve comportare il condòmino che, invece, intenda contestare quella decisione?

Ricordiamo, prima d'ogni cosa, che simili decisioni vanno considerate insanabilmente nulle, cioè contestabili in qualunque tempo, da chiunque v'abbia interesse.

Le possibilità sono due:

  • da un lato l'impugnazione della delibera che ha assunto quella decisione;
  • dall'altro è possibile ignorarla, eccependone la nullità qualora mai il condominio dovesse intraprendere un'azione legale tesa a far rispettare l'illegittimo divieto.

Quale delle due soluzioni sia la migliore non è dato dirsi in termini generali, ma va valutato sempre in relazione allo specifico caso concreto.

È bene che l'amministratore informi e specifichi ai condòmini le conseguenze di una simile decisione adottata a maggioranza.

QUANDO COMPRI CASA NON DIMENTICARE LE SPESE ACCESSORIE TRA CUI….


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Quando si cambia casa, è bene non dimenticarsi di preventivare anche le spese da sostenere per il trasloco. Un nostro lettore ci chiede se, vista la spesa di rilievo, sia prevista una qualche detrazione fiscale. VediamoUn trasloco, quando si cambia casa nella stessa città o in una diversa, può richiedere un certo impegno fisico e di tempo, per la necessità di impacchettare tutto e rimetterlo poi a posto nella nuova abitazione. Le società che eseguono il trasloco possono però eseguire anche questa fase del lavoro, facendone richiesta già in fase di preventivo in modo da avere subito un’idea della differenza.

In vista del trasloco, inoltre, può essere necessario dover mettere in conto anche i costi per l’affitto di un box, dove per esempio sistemare tutto in attesa che la nuova casa sia pronta o dove “parcheggiare” per un certo periodo una parte di mobili o altro che non dovrà essere spostato nella nuova abitazione.

Rispondiamo alla seguente domanda di un lettore che ci chiede se le spese del trasloco siano detraibili in parte nella dichiarazione dei redditi: Fra qualche settimana termineranno i lavori di ristrutturazione del mio appartamento e dovremo fissare il trasloco. In realtà per poter fare i lavori, lo avevo precedentemente fatto svuotare, depositando i mobili in un magazzino, di cui sto pagando il canone di affitto. La medesima ditta specializzata si dovrà ora occupare di rimettere i mobili nella casa ristrutturata. Si tratta di una spesa non irrisoria e volevo sapere se posso detrarre qualcosa delle spese di trasloco.

L’Agenzia delle Entrate nella guida on line aggiornata sulla detrazione fiscale per ristrutturazione edilizia – il bonus al 50%  – non include tra le spese detraibili quelle di trasloco e custodia dei mobili per il periodo necessario all’effettuazione degli interventi di recupero edilizio. Ai fini della detrazione del 50% per le ristrutturazioni è possibile includere invece le seguenti spese:

  • spese per la progettazione e le altre prestazioni professionali connesse
  • spese per prestazioni professionali richieste dal tipo di intervento
  • spese per la messa in regola degli edifici ai sensi del DM 37/2008 ex legge 46/90 (impianti elettrici) e delle norme Unicig per gli impianti a metano (legge 1083/71)
  • spese per l’acquisto dei materiali
  • compenso corrisposto per la relazione di conformità dei lavori alle leggi vigenti
  • spese per l’effettuazione di perizie e sopralluoghi
  • l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta di bollo e i diritti pagati per le concessioni, le autorizzazioni e dichiarazioni di inizio lavori
  • oneri di urbanizzazione
  • altri eventuali costi strettamente collegati alla realizzazione dei lavori e adempimenti stabiliti dal regolamento di attuazione degli interventi agevolati (decreto n. 41 del 18 febbraio 1998).

Le spese di trasloco e custodia dei mobili per il periodo necessario all’effettuazione degli interventi di recupero edilizio non solo non rientrano tra quelle oggetto della detrazione al 50% ma non scontano neanche l’imposta sul valore aggiunto in via agevolata: ciò significa che sono soggette all’aliquota ordinaria, attualmente fissata al 22 per cento.