Il pergolato o la tettoia deve rispettare le distanze minime con l’appartamento di sopra per non impedire la veduta, ma l’azione spetta solo al proprietario confinante e non al condominio.
Tettoie: croce e delizia di numerosi palazzi, oggetto di contestazioni perché in alcuni casi, situate a distanza inferiore a quella minima, tolgono l’aria a chi vive di sopra, impedendo il diritto alla veduta e all’affaccio; in altri casi pregiudicano il decoro architettonico dell’edificio; in altri ancora vengono costruite senza rispettare la normativa urbanistica che, per le costruzioni ancorare in modo stabile al suolo, prescrive il permesso di costruire. Si tratta, però, di tre regole che coinvolgono tre soggetti e branche del diritto differenti, sicché le conseguenze per la violazione delle rispettive norme sono completamente diverse. A fare il punto della situazione è una sentenza che la Cassazione ha pubblicato poche ore fa [1]. È quindi l’occasione per fare il punto di questa materia apparentemente contorta.
La tettoia deve rispettare il decoro architettonico
Vengono, in primo luogo, in rilievo le norme sul condominio che consentono a tutti i proprietari di appartamenti dello stabile di usare le parti comuni dell’edificio – ivi compresi anche i muri perimetrali – per appoggiare canne fumarie, tettoie, ecc., ma solo nella misura in cui ciò:
– non pregiudichi il pari uso della cosa comune da parte degli altri condomini;
– non violi il regolamento di condominio;
– non pregiudichi il decoro architettonico dell’edificio.
La violazione di tale regola consente all’amministratore di condominio di far valere il diritto comune di tutti i condòmini e ottenere l’abbattimento della tettoia o del pergolato installato dal singolo proprietario esclusivo in aderenza al muro comune del fabbricato.
Chi ha la rappresentanza dell’ente di gestione può agire solo a tutela dei beni condominiali come l’aspetto estetico dello stabile. Se invece – come vedremo nel prossimo punto – la tettoia ostruisce il mentre il diritto di veduta della singola unità immobiliare, l’amministratore non ha più competenza a intervenire, essendo l’azione rimessa all’iniziativa del proprietario leso.
La cassazione ha così confermato la linea dura contro pergolati e tettoie che turbano l’equilibrio architettonico del fabbricato: di esse viene disposto l’abbattimento se l’assemblea dà mandato all’amministratore di procedere contro le condotte del singolo proprietario esclusivo. Il professionista che ha la rappresentanza del condominio ben può intraprendere le azioni necessarie a tutelare il generale interesse di difesa delle parti comuni.
Distanze e calcoli
La tettoia deve rispettare le distanze minime tra le costruzioni (che vanno intese, infatti, non solo in senso orizzontale, tra costruzioni prospicienti, ma anche verticale, tra appartamenti l’uno superiore all’altro). La distanza minima fissata dal codice civile è di 3 metri.
In tal caso, l’ordine di demolizione può scattare solo l’iniziativa giudiziaria viene intrapresa dal proprietario del piano di sopra, costretto dalle tegole della tettoia a perdere aria, luce e panorama.
In questo caso, infatti, la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti di veduta spetta a ogni singolo proprietario esclusivo e non all’amministratore di condominio.
Permesso di costruire
Se la tettoia è fissa e ancorata al muro in modo stabile, finalizzata a soddisfare un bisogno non momentaneo ma duraturo, essa necessita del permesso di costruire. Senza l’autorizzazione amministrativa il manufatto deve essere demolito. In questo caso, però, l’iniziativa spetta solo all’ente pubblico, non avendo alcun diritto (se non la possibilità di effettuare una semplice demolizione), il proprietario vicino o l’amministratore di condominio.
Si salva solo la tettoia rimovibile, privi di fondazione, non stabilmente ancorati al suolo.
L’indipendenza delle norme
Il rispetto di una delle predette tre prescrizioni non implica necessariamente il rispetto delle altre. Ben si potrebbe, allora, avere una tettoia che, pur conforme ai vincoli urbanistici, avendo ricevuto il relativo permesso, venga però costruita a distanza troppo ravvicinata dalla finestra del piano di sopra. Il fatto che il Comune abbia autorizzato la costruzione dell’opera non esclude che la stessa debba essere demolita perché non rispettosa delle altre regole di diritto privato o condominiale.
La sentenza
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 dicembre 2015 – 27 gennaio 2016, n. 1549
Presidente Mazzacane – Relatore Oricchio
Considerato in fatto
Il Condominio di via (…) di R. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Chiavari il condomino R.P. rappresentando che lo stesso aveva realizzato una costruzione ed apposto gronde in aderenza al muro condominiale con ciò ledendo il diritto di veduta di tutti i rimanenti condomini ed alterando l’aspetto estetico ed architettonico dell’edificio condominiale.
Chiedeva, quindi, parte attrice la condanna del convenuto alla rimessione in pristino mediante demolizione dei manufatti.
Costituitosi in giudizio il R. contestava l’avversa domanda deducendone l’infondatezza e chiedendone il rigetto.
L’adito Tribunale, con sentenza n. 275/2006, rigettava la domanda proposta dal Condominio, che veniva condannato al pagamento della metà delle spese di lite e di ctu.
Avverso la suddetta decisione interponeva appello il Condominio, chiedendo la riforma dell’impugnata sentenza.
Resisteva al gravame il R. , formulando – inoltre – appello incidentale quanto alla ripartizione delle spese processuali.
L’adita Corte di Appello di Genova, con sentenza n. 382/2010, in accoglimento dell’appello principale condannava il R. a rimuovere dal proprio giardino due pergolati e le tre tettoie in atti individuate, nonché a rifondere le spese di lite.
Per la cassazione della succitata decisione della Corte territoriale ricorre il R. con atto affidato a sette ordini di motivi.
Resiste con controricorso il Condominio intimato.
Nell’approssimarsi dell’udienza hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. entrambe le parti.
Ritenuto in diritto
1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di “violazione dell’art. 1130 e 1131 c.c. (ai sensi dell’) art. 360 n. 3 c.p.c.”.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di “violazione dell’art. 100 c.p.c. (ai sensi dell’) art. 360, n. 4 c.p.c.”.
3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’”art. 360, n. 3 c.p.c. la falsa applicazione dell’art. 873 c.c.”.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di “omessa motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio (ovvero) l’esistenza di una profondità dei pergolati tale da richiedere l’arretramento, ma non anche la loro rimozione” ex art. 360, n. 5 c.p.c..
5.- Gli esposti primi quattro motivi del ricorso possono trattarsi congiuntamente per la loro connessione ed in quanto relativi all’aspetto della controversia relativo agli anzidetti pergolati.
I motivi sono del tutti infondati.
Non sussiste, nell’ipotesi, la carenza di legittimazione passiva in capo all’Amministratore del Condominio (come prospettato col primo motivo del ricorso).
La questione (che, peraltro, non viene allegata come motivo già prima svolto nel corso del giudizio)è infondata.
Innanzitutto risulta adottata in data 14 dicembre 1991 delibera con cui l’assemblea condominiale disponeva di “promuovere causa”.
Inoltre L’Amministratore del Condominio ben poteva intraprendere le azioni necessarie a difesa della proprietà condominiale al cospetto delle prospettate violazioni ascrivibili al R. e compromettenti il generale interesse della tutela delle parti condominiali.
Tale considerazione comporta altresì e conseguentemente l’infondatezza del secondo motivo relativo alla pretesa mancanza di interesse sia del Condominio che dei singoli condomini.
Infatti quest’ultimi (sia il primo che i secondi), in ordine alle di loro rispettive proprietà, avevano interesse alla tutela delle stesse porzioni immobiliari.
Giova, in proposito, evidenziare immediatamente la differenza fra la tutela apprestata dall’ordinamento in relazione all’art. 873 c.c. e quella, differente (e di cui si dirà in seguito sub 6), relativa al diritto di veduta della singola unità immobiliare e, quindi, di ciascun proprietario di appartamento, con tutte le ovvie conseguenze in tema di legittimazione ad agire.
D’altra parte, l’ampia previsione dell’art. 873 c.c. ben giustificava e costituiva il fondamento, nella fattispecie, dell’interesse alla tutela delle proprietà nei confronti ed al cospetto di attività e realizzazioni di opere individuate come lesive.
Infondata è anche la questione (di cui al terzo motivo) relativa alla configurazione della natura dei pergolati di cui in ipotesi.
Quest’ultimi, in quanto realizzazioni stabilmente ancorate al suolo, non potevano che essere inquadrate nel novero concettuale di costruzione e, quindi, come tale lesiva dei diritti azionati in giudizio.
Neppure sussiste il difetto motivazionale lamentato con il quarto motivo del ricorso,a mezzo del quale si richiede – nella sostanza – di ritenere che “l’esistenza della profondità dei pergolati era tale da richiedere l’arretramento e non anche la loro rimozione”.
L’impugnata sentenza risulta, in punto, fondata su congrua motivazione esente da vizi logici riscontrabili in questa sede.
Deve, per più al riguardo, riaffermarsi (ad ulteriore riprova dell’infondatezza del quarto motivo) noto principio già affermato da questa Corte ( Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 27 aprile 2006, n. 9640), secondo cui “deducendo che era sufficiente, ai fini del rispetto delle distanze” ed allo scopo precipuo di ottenere – in luogo della demolizione – (a disposizione e “l’adozione di (altri) specifici accorgimenti………è sempre||e^essario che la parte interessata chieda al Giudice stesso l’adozione di tale potere” (cosa non risultante nella fattispecie).
I primi quattro motivi del ricorso devono, dunque, essere tutti respinti.
6.- Con il quinto motivo si deduce la violazione degli “artt. 1130 e 1131 c.c. (in relazione all’) art. 360 n. 3 c.p.c.” in quanto “la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti di veduta spetta a ciascun singolo condomino che ne è titolare esclusivo e non all’amministratore del condominio”.
Il motivo è fondato.
La legittimazione ad agire per la specifica tutela dei diritti di veduta non può che appartenere ai singoli condomini.
In assenza di ogni altra allegazione quanto alla possibilità di coesistenza di vedute di singoli condomini e di vedute quali, ad esempio, quelle delle finestre delle scale del condominio, il diritto di veduta a favore delle singole unità abitative è proprio del titolare della proprietà di ciascun singola appartamento e, pertanto, non del Condominio, ma del singolo condomino-proprietario. Il motivo qui scrutinato deve, quindi, essere accolto.
7.- Con il sesto motivo si censura l’”insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio” ovvero “circa il mancato rispetto delle distanze (punto più sporgente tettoie e facciata muro condominiale)”.
In proposito, richiamandosi quanto innanzi già affermato (pur se con riferimento al diverso aspetto della legittimazione processuale) sub 5. e 6., va considerato quanto segue.
La valutazione delle prescritte distanze con riferimento al punto massimo di sporgenza delle tettorie andava comunque svolta con specifica e chiara motivazione in punto di calcolo delle stesse con riguardo alla lesione di diritti individuali di singoli condomini e/o di diritti inerenti beni condominiali.
Differente sarebbe, infatti, la soluzione da dare in concreto alla vicenda se si trattasse di computo distanze nei confronti si singola proprietà individuale di un condomino ovvero nei riguardi di beni condominiali.
A tale principio non può non ispirarsi una attenta valutazione del denunciato aspetto del mancato o meno rispetto delle distanze in relazione al quale viene mossa la censura di carenza motivazionale. Poiché, in proposito, la motivazione della gravata decisione appare carente il motivo in esame deve ritenersi fondato e va, conseguentemente accolto.
8.- Con il settimo motivo si deduce la “violazione dell’art. 1102 c.c. in rapporto all’art. 907, 3 co. c.c. (in relazione all’) art. 360, n. 3 c.p.c.” Parte ricorrente prospetta la asserita necessità, nella fattispecie, della “verifica della prevalenza o meno delle norme di uso comune (1102) su quelle relative alle distanze legali (907, 3 co. c.c.)”.
La prospettata censura è del tutto destituita di fondamento.
Nessuna norma di uso comune può (né risulta mai essere stata utilizzata a tal fine) comportare il superamento delle prescrizioni di legge in materia di rispetto delle distanze legali.
L’impugnata sentenza è quindi, del tutto immune dalla formulata censura che non può essere accolta.
9.- In conseguenza dell’accoglimento del quinto e del sesto motivo del ricorso, va disposta la cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova affinché la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi innanzi enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo del ricorso, rigettati i rimanenti, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Genova.
[1] Cass. sent. n. 1549/16 del 27.01.16.