Vorrei avere conferma del mio diritto a costruire in sopraelevazione su una mia proprietà costituita da parte di villetta bifamiliare, unita ad altra proprietà adiacente alla prima. Le due proprietà sono separate da un unico muro che fa da confine ad entrambe. Il progetto è già stato autorizzato dall’Amministrazione Comunale con la formula “Salvo diritto di terzi”, ma il confinante ritiene che io non abbia tale diritto. So che esiste giurisprudenza altalenante a riguardo.
Prima di rispondere al quesito occorre innanzitutto premettere che nel caso di specie, trattandosi di “costruzione in sopraelevazione su fondo finitimo unito e aderente”, non trova applicazione la disposizione del codice civile secondo la quale “le costruzioni sui fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore” [1]. Acclarato ciò, occorre comprendere quale sia l’orientamento della giurisprudenza in materia.
A riguardo esistono due pronunce della Cassazione che sembrerebbero essere – a prima vista – diverse e contraddittorie tra loro.
La prima [2] – che è anche la più attuale – ha stabilito il principio secondo il quale “in tema di distanze nelle costruzioni, quando due fabbricati sono in aderenza, il proprietario di uno di essi non può dolersi della costruzione da parte del proprietario dell’altro di un muro sul confine, al di sopra del fabbricato”; ciò in quanto il limite dei tre metri previsto dalla legge [1] “trova applicazione soltanto con riguardo a costruzioni su fondi finitimi non aderenti, essendo, pertanto, in tali casi legittima la sopraelevazione effettuata in aderenza sopra la verticale della costruzione preesistente”. Tale orientamento, dunque, avvalora la tesi del lettore.
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Come se già non bastasse, la Suprema Corte ha anche motivato di aver così deciso tenendo conto del fatto che “la Corte di appello ha motivato la propria decisione di rigetto richiamando le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio che, “nel descrivere lo stato dei luoghi, dichiara che i fabbricati delle parti sono in aderenza e che il confine tra loro coincide con la linea di aderenza tra i due corpi di fabbrica”; ha quindi ritenuto che “i fabbricati sono esclusi dall’ambito di operatività dell’art. 873 c.c. e, poiché l’abbaino più vicino al confine e non a distanza legale di tre metri ha il muro esterno che coincide esattamente con la prosecuzione verso l’alto della linea di confine, anch’esso è aderente al fabbricato di controparte”.
In buona sostanza, la Corte di Cassazione ha rimarcato la circostanza che ben ha fatto la Corte di Appello ad attenersi alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel corso del giudizio, poiché dette risultanze costituiscono accertamenti di fatto che possono essere oggetto del giudizio di cassazione solamente sotto il profilo della motivazione.
Ed infatti, nel prosieguo della motivazione, la su citata sentenza ha chiarito che “l’affermazione del giudice di merito, secondo cui i fabbricati delle parti risultano tra loro in aderenza e l’ampliamento costruttivo realizzato dai convenuti proseguiva verso l’alto in proiezione verticale con la linea di confine, costituiscono invero accertamenti di fatto non suscettibili, come tali, di sindacato in sede di giudizio di legittimità se non sotto il profilo della motivazione, che nella specie risulta sufficiente ed adeguata mediante richiamo alle conformi risultanze della consulenza tecnica d’ufficio”.
La predetta sentenza, quindi, da sola indica la strada da seguire.
Ma procediamo oltre, esaminando anche un’altra pronuncia della Suprema Corte [3] che sembra dire l’esatto contrario, ma che in realtà, ad una più attenta lettura, lascia emergere che non è proprio così, per le ragioni qui di seguito esposte.
Il caso sottoposto all’esame della Corte riguarda una costruzione avvenuta all’interno di un Comune (quello di Varedo) in cui vige una normativa regolamentare locale in materia di costruzioni sul confine che sposta i termini della questione. Nel regolamento edilizio del suddetto comune [4], infatti si legge testualmente “la distanza fra gli edifici di nuova costruzione non dovrà essere inferiore alla media delle altezze; di conseguenza la distanza minima dai confini sarà 1/2 dell’altezza e comunque mai inferiore ai metri 5. È prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Tale norma non si applica in caso di sopraelevazioni consentite, di fabbricati esistenti, limitatamente alle strutture portanti. In ogni caso la distanza delle pareti perimetrali tra fabbricati o dal confine o dagli spazi pubblici deve essere calcolata nel rispetto delle vigenti norme regolamentari”.
A parere di chi scrive, dunque, tutta la vicenda deve essere vista alla luce di tale disposizione regolamentare. Ed infatti, la Corte, nella motivazione della sentenza, mette in risalto di condividere le conclusioni della medesima Corte che, in un caso analogo [5], proprio in riferimento al regolamento edilizio del Comune di Varedo, ha affermato che la norma testè riportata [6] (che detta i limiti di densità, altezza, distanza tra i fabbricati)” ha quale principio informatore (al pari della richiamata normativa statuale in materia alle cui disposizioni di massima inderogabili si adegua) non la regolamentazione dei rapporti interprivati in relazione alle distanze tra proprietà finitime, ma la salvaguardia d’interessi generali, connessi all’igiene, alla sicurezza, al decoro degli abitati, da realizzarsi attraverso la determinazione delle proporzioni tra spazi liberi e volumi edificati mediante, tra l’altro, la predeterminazione delle distanze minime tra fabbricati nell’ambito di zone territoriali omogenee”.
In buona sostanza, secondo la Corte, la specificazione sopra riportata ha come unico obiettivo di evitare che l’edificazione di fabbricati a distanza esigua l’uno dall’altro possa determinare la costituzione d’intercapedini dannose, di spazi tra fabbricati la cui ampiezza non sia in grado di assicurare quella condizione d’aerazione, luminosità ed igiene che è considerata minima indispensabile alle esigenze di vita degli abitanti.
Per tale ragione, secondo la Corte “possono essere considerate consentite da dette norme opere che, pur delimitando degli spazi, tuttavia, a determinate condizioni, consentano la circolazione dell’aria e non limitino la luminosità, quali porticati o logge o balconi o scale esterne in aggetto, e non consentite, per contro, le medesime opere ove gli spazi dalle stesse delimitati vengano trasformati in volumi chiusi mediante tamponatura con qualsiasi genere di materiali.”
In conclusione, perciò, la Corte statuisce che “la norma regolamentare in esame consente la sopraelevazione degli edifici esistenti sul medesimo allineamento di essi, in deroga alla distanza minima precedentemente stabilita in metri 5 dai confini ed in metri 10 tra pareti finestrate, limitatamente alle sole strutture portanti, id est ai pilastri e simili, in quanto tali strutture consentono la circolazione dell’aria e non limitano sensibilmente la luminosità, mentre ribadisce che le pareti debbono “in ogni caso”, (anche nell’ipotesi delle costruzioni in sopraelevazione) essere realizzate nel rispetto delle precedenti disposizioni generali sulle distanze”.
La Cassazione si è, quindi, preoccupata di porre in risalto che “la nuova costruzione in sopraelevazione realizzata dagli odierni ricorrenti, in quanto costituente un corpo chiuso mediante tamponatura, viola le esaminate disposizioni poste dalla norma regolamentare de qua, come correttamente ritenuto dalla Corte di merito, non soltanto per quella parte della struttura che sporge oltre il limite della preesistente parete dell’edificio sottostante, ma anche per l’intera parte della struttura che si trova ad una distanza dal confine inferiore ai 5 metri, inderogabilmente prevista dalla norma stessa quale distanza minima per le pareti perimetrali.” .
Appare evidente che tale seconda pronuncia non può ritenersi contraddittoria rispetto a quella illustrata in precedenza, ma riguarda semplicemente un caso assai diverso da quello illustrato dal lettore.
Il consiglio per quest’ultimo è quello di informarsi presso il Comune dove deve essere realizzata l’opera se ci sono norme regolamentari che stabiliscono particolari disposizioni in materia e solo dopo verificare se ci sono le condizioni per costruire quello che ha in animo di fare. Pertanto, anche nella denegata ipotesi che il vicino volesse promuovere un’azione giudiziaria diretta ad ostacolare la costruzione, egli dovrebbe provare una serie di circostanze che, allo stato, non sono individuabili.
[1] Art. 873 cod. civ.
[2] Cass. sent .n. 7183/12 del 10.05.12.
[3] Cass. sent. n. 400 del 12.01.2005.
[4] Art. 19, punto 8 Regol. Edil. Comune Varedo.
[5] Cass. sent .n. 5236/99.
[6] Integrativa in sede locale della previsione dell’art. 873 c.c. ed attuativa delle disposizioni di cui al D.M. 2 aprile 1968 n. 1444 che, in applicazione dell’art. 41 quinquies, ultimo comma, della legge urbanistica 17.8.42 n. 1150, come modificato dall’art. 17 della cd. legge ponte 6.8.67 n. 765
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