Affitto: la procedura di sfratto per finita locazione e le misure di coercizione nei confronti dell’inquilino che non vuole lasciare l’appartamento.
Lo sfratto, benché regolato da una procedura piuttosto celere e snella, nei fatti può diventare particolarmente lungo, tanto da frustrare l’esigenza del locatore a rimettere subito l’immobile sul mercato e trovare così nuovi inquilini. Certo, se nonostante l’ordine del giudice l’inquilino non adempie spontaneamente, c’è sempre l’esecuzione forzata e l’intervento dell’ufficiale giudiziario che, in caso di resistenza, può anche farsi accompagnare dalla forza pubblica (i carabinieri, per esempio). Ma, intanto, il tempo passa e il proprietario dell’immobile perde potenziali clienti e canoni di affitto. Così, per cercare di rimediare al tempo perso e indennizzare tale danno, la legge prevede, in generale, per questa e qualsiasi altra situazione simile di mancato adempimento degli ordini del giudice, una misura particolarmente incisiva [1]: la condanna, contenuta già nella sentenza stessa, a pagare, oltre al risarcimento del danno vero e proprio (nel caso dell’affitto, i canoni arretrati con gli interessi), una ulteriore somma di denaro dovuta per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento del tribunale.
Si parla, a riguardo, di misure di coercizione indiretta (in gergo tecnico vengono comunemente dette “astreinte”) per via del fatto che dovrebbero costituire un’ulteriore spinta, nei confronti del debitore, a eseguire la prestazione volontariamente (nel caso di specie, la liberazione dell’appartamento), nella consapevolezza che più passa il tempo, più aumenta la somma da corrispondere al creditore.
Ebbene, secondo una recente e interessante sentenza del Tribunale di Busto Arsizio [2], tali misure di coercizione indiretta possono essere applicate anche al processo di sfratto per finita locazione. Nel caso di specie, il magistrato ha condannato l’inquilino a pagare, oltre alle spese di causa, anche un’ulteriore somma di 50 euro al giorno in caso di mancato o ritardato rilascio dell’immobile.
Il provvedimento del giudice è già titolo esecutivo e, pertanto, consente al creditore di procedere direttamente con l’esecuzione forzata e l’eventuale pignoramento, previa notifica dell’atto di precetto. Cosa significa in pratica? Che se il debitore ha beni pignorabili (conto corrente, stipendio, pensione, ecc.), l’ex padrone di casa potrà aggredirli per recuperare non solo i canoni arretrati, ma anche le “multe” per il ritardo nella riconsegna dell’immobile.
È chiaro che la misura potrebbe non sortire alcun effetto deterrente nel caso di soggetto nullatenente. A patto, però, che tale persona viva, per il resto della vita, senza beni intestati. Questo perché il nostro codice civile stabilisce che ogni persona è responsabile, per i debiti da questi contratti, con tutti i suoi beni presenti e futuri. In buona sostanza, il soggetto con la pendenza dovrebbe vivere il resto della vita senza acquisire più alcun tipo di bene, non solo con l’acquisto, ma anche a titolo di donazione o eredità. Trattandosi, infatti, di crediti derivanti da un provvedimento del giudice (l’ordinanza di convalida di sfratto) la prescrizione è di 10 anni, termine che, ovviamente, può essere interrotto in qualsiasi momento tramite una lettera di diffida o un atto di precetto.