Nozione di servitù e servitù di passaggio
L'art. 1027 c.c. descrive la servitù come il peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.
Si è soliti dire, perché così è, che la servitù è di un diritto reale di godimento su cosa altrui in quanto il proprietario del fondo dominante la esercita sul fondo di una persona diversa, per l'appunto il fondo servente.
Dottrina e giurisprudenza hanno chiarito che l'altruità del fondo è requisito indispensabile per il corretto esercizio della servitù visto e considerato che tra due fondi appartenenti al medesimo proprietario l'assoggettamento di uno all'altro resta un atto indifferente ai fini della configurabilità della servitù.
Il codice civile disciplina alcuni tipi di servitù.
Tra tutti, probabilmente la più nota, è la servitù di passaggio.
Essa può costituirsi:
a) per volontà delle parti;
b) coattivamente;
c) per usucapione (es. utilizzando indisturbatamente un passaggio per almeno 20 anni, in senso ostativo all’usucapione in fine parleremo dei così detti atti di tolleranza);
d) per destinazione del padre di famiglia.
Oltre alle ipotesi tipizzate è possibile costituire una servitù tutte quelle volte in cui vi siano due fondi, non necessariamente confinanti tra loro, ed uno di questi (quello dominante) possa trarre una qualche utilità dall'altro detto servente).
Tale requisito, l'utilitas come viene chiamata in gergo, deve essere proprio del fondo.
Ciò vuol dire che il vantaggio che si deve trarre dall'esercizio della servitù deve essere strettamente connesso con il fondo dominante e non essere una mera comodità che il proprietario dello stesso vuole ottenere.
Per fare un esempio nel caso della servitù di passaggio l'utilità pur essendo, naturalmente, esercitata dal proprietario è inerente al fondo poiché è su questo che si riflette tale utilità, ossia la possibilità di raggiungerlo per utilizzarlo.
In altri casi, quando cioè l'utilità è direttamente connessa alla persona e non al fondo, si parlerà di servitù così detta irregolare.
L'esempio classico è quello del parcheggio la cui utilità non è connessa al fondo ma si sostanzia in una mera comodità per il proprietario.
Vista la varietà di servitù costituibili a ricorrenza dei requisiti summenzionati in dottrina si è detto che la servitù è un diritto reale tipico dal contenuto atipico (cfr. Minussi, Proprietà Possesso Diritti reali, ed. Simone 2009).
Servitù coattiva di passaggio
La coattività, come ci dice il vocabolario della lingua italiana, indica il carattere obbligatorio di un determinato comportamento.
Nell'ambito giuridico la coattività sta ad indicare la possibilità d'imporre ad una determinata persona l'obbligo di fare (o non fare) qualcosa.
Tra le varie applicazioni di questa nozione spicca la possibilità di costituire servitù che, per l'appunto, vengono poi definite coattive.
Siccome l'imposizione di una servitù si sostanzia nella limitazione della proprietà immobiliare (fondiaria come si dice in maniera più tecnica) a vantaggio di altre persone, la costituzione di una servitù coattiva deve soggiacere a ben precisi limiti e condizioni.
Nello specifico, guardando a una tipologia di servitù particolarmente nota, ossia la servitù coattiva di passaggio, per l'ottenimento della costituzione del diritto non si può guardare solamente alla situazione materiale del fondo ma è necessario altresì considerare di chi sia la proprietà dei fondi circostanti.
Come ha specificato la Suprema Corte di Cassazione, ai sensi dell'art. 1051 c.c. l'interclusione assoluta o relativa che legittima la costituzione della servitù coattiva di passaggio ricorre quando il fondo, privo di accesso alla via pubblica, è circondato da fondi altrui, situazione, questa, che giustifica l'imposizione del peso in re aliena.
Relativizzata la nozione di fondo all'uso produttivo o civile cui esso è adibito dal proprietario, l'interclusione sussiste se ed in quanto l'unità immobiliare che si assume come fondo dominante sia circondata da terreno di proprietà aliena, di guisa che il passaggio non possa essere attuato se non col sacrificio del diritto altrui.
Diversamente, se tra il fondo del cui vantaggio si tratta e la via pubblica s'interpongono altri fondi appartenenti al medesimo titolare e dotati o dotabili di accesso proprio alla via pubblica senza eccessivo dispendio o disagio, nessun ostacolo giuridico o materiale impedisce il passaggio attraverso i fondi del medesimo proprietario.
In tal caso, pertanto, l'art. 1051 c.c. non può trovare applicazione alcuna, neppure con riguardo all'ampliamento della servitù di passaggio preesistente, che del pari presuppone la residua interclusione del fondo dominante (Cass. 23 maggio 2013, n. 12819).
Insomma se il fondo Alfa di Tizio è circondato da altri predi alcuni dei quali di sua stessa proprietà, Tizio non potrà chiedere il passaggio coattivo sul fondo di Caio.
Servitù coattiva di passaggio e fondo non intercluso
L'art. 1051 c.c. sembrerebbe limitare il diritto di costituzione della servitù coattiva di passaggio ai così detti fondi interclusi.
L'art. 1052 c.c. contiene un'eccezione.
Recita la norma, rubricata Passaggio coattivo a favore di fondo non intercluso:
Le disposizioni dell'articolo precedente si possono applicare anche se il proprietario del fondo ha un accesso alla via pubblica, ma questo è inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non può essere ampliato.
Il passaggio può essere concesso dall'autorità giudiziaria solo quando questa riconosce che la domanda risponde alle esigenze dell'agricoltura o della industria.
La giurisprudenza di merito e di legittimità ha re-interpretato la norma allargandone il confine applicativo al di là delle così dette esigenze dell'agricoltura e dell'industria.
In una delle più recenti sentenze sull'argomento (una pronuncia del Tribunale di Teramo dell'aprile 2013) si legge:
Invero per quanto concerne la servitù coattiva, l'imposizione del passaggio a favore di un fondo, ancorché non intercluso del tutto, non postula, ai sensi dell'art. 1052 c.c., necessariamente la rispondenza della relativa domanda alle esigenze della agricoltura o dell'industria.
Se è vero infatti che tale requisito trascende generalmente gli interessi individuali, giustificando l'imposizione coattiva solo se sia rispondente all'interesse generale della produzione, da valutare con riguardo allo stato attuale dei fondi e alla loro concreta possibilità di un più ampio sfruttamento o di una migliore utilizzazione, tuttavia non poteva prescindere dall'esigenza abitativa prevalente, cui il fondo dei ricorrenti era adibito nel contesto sociale e tecnico attuale, nel quale non può farsi a meno dell'uso del mezzo meccanico, anche ai fini di esigenze di carattere sanitario, specie alla luce della innovazione introdotta alla disciplina di cui all'art. 1052 c.c., comma 2, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 167 del 1999 (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 7000 del 2001, n. 6590 del 11/11/1986).
Precisamente la Consulta ha affermato che l'art. 1052 c.c., comma 2, è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall'autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità - con particolare riguardo alla legislazione relativa ai portatori di handicap - degli edifici destinati comunque ad uso abitativo, per violazione dell'art. 2 Cost., art. 3 Cost., comma 2, art. 32 Cost., e art. 42 Cost., comma 2.
Infatti, premesso che la concessione del passaggio coattivo è subordinata dalla norma denunciata non solo alla inadeguatezza dell'accesso alla via pubblica ed alla sua non ampliabilità, ma anche alla sussistenza di una ulteriore condizione, rappresentata dalla circostanza che la domanda risponda alle esigenze della agricoltura e dell'industria; e considerato che, con tale disposizione, il legislatore, per il caso di fondo non intercluso, ha inteso altresì ricollegare la costituzione della servitù coattiva di passaggio alla sussistenza in concreto di una interesse generale, all'epoca identificato nelle esigenze dell'agricoltura o dell'industria, al quale rimane estraneo ogni rilievo relativo alle esigenze abitative, pure se riferibili a quegli interessi fondamentali della persona la cui tutela è indefettibile, tuttavia l'omessa previsione della esigenza di accessibilità della casa di abitazione ledeva il principio personalista che ispira la Carta costituzionale e che pone come fine ultimo dell'organizzazione sociale lo sviluppo di ogni singola persona umana.
Inoltre va osservato che la norma denunciata impedendo od ostacolando la socializzazione anche degli eventuali handicappati, comportava anche una lesione del fondamentale diritto di costoro alla salute psichica, la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica.
Né, d'altronde, la previsione della servitù in parola poteva trovare ostacolo nella garanzia accordata al diritto di proprietà dall'art. 42 Cost., poiché il peso che in tal modo si veniva ad imporre sul fondo altrui poteva senz'altro annoverarsi tra quei limiti della proprietà privata determinati dalla legge, ai sensi della citata norma costituzionale, allo scopo di assicurarne la funzione sociale (V. pure Corte Cost. Sent. n. 167 del 10.5.1999).
In altre parole il diritto vivente si è oggi assestato sul principio per cui non ha senso limitare la costituzione di servitù ai sensi dell'art. 1052 c.c. al solo soddisfacimento delle esigenze dell'industria e dell'agricoltura atteso che anche le esigenze di sviluppo della personalità umana, tra cui quella che una casa di abitazione sia raggiungibile non solo a piedi ma anche con mezzi meccanici, devono essere poste come esigenze superindividuali, essendo ricollegate allo sviluppo sociale e tecnologico della collettività, come tale suscettibili di essere vagliate ai fini dell'art. 1052 c.c. (Trib. Teramo 3 aprile 2013 n. 293).
In buona sostanza: la costituzione di un servitù di passaggio coattivo a favore di un fondo non intercluso ma comunque non agevolmente raggiungibile – dove per non agevolezza si può intendere anche il semplice accesso pedonale – può essere concessa molti più facilmente rispetto al passato; parola di giurisprudenza.
Servitù di passaggio e chiusura del fondo
Chi è proprietario di un fondo può decidere di recintarlo senza alcun patema anche se su di esso grava una servitù di passaggio?
Il caso è molto frequente come dimostrano anche le pronunce di Cassazione che lo riguardano.
Entriamo nel merito.
Il proprietario può chiudere in qualunque tempo il fondo. Questo lo stringato contenuto dell'art. 841 c.c.
Un potere illimitato nel tempo ma non nella sostanza; insomma il proprietario anche dopo venti o trent'anni dall'acquisto può recintare il suo fondo purché non compia atti emulativi.
La norma di riferimento è l'art. 833 c.c. a mente del quale: il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.
Che cos'è un atto emulativo?
Secondo la Cassazione, chiamata ad interpretare il significato di questa disposizione, la sussistenza di un atto emulativo presuppone il concorso di due elementi, ovvero che sia privo di utilità per chi lo compie e che abbia il solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri (vedi tra le più recenti Cass. 3.12.1997 n. 12258; Cass. 9.10.1998 n. 9998; Cass. 3.4.1999 n. 3275) (Cass. 11 aprile 2001, n. 5421).
In buona sostanza difficilmente recintare una proprietà può essere considerato atto emulativo.
La recinzione, però, non può ostacolare l'esercizio di altri diritti, quali ad esempio quelli stabiliti per contratto o costituiti per sentenza, per il passare del tempo o per lo stato dei luoghi.
In questo contesto, scorrendo le sentenze di Cassazione in materia, si legge che secondo il costante indirizzo di questa Corte in materia di servitù di passaggio, nel caso in cui il proprietario del fondo servente intenda esercitare la facoltà, prevista dall'art. 841 c.c., di chiudere il fondo per preservarlo dall'ingerenza di terzi, spetta al giudice di merito stabilire in concreto quali misure risultino più idonee a contemperare i due diritti, avendo riguardo al contenuto specifico della servitù, alle precedenti modalità d'esercizio e alla configurazione dei luoghi (v. Cass. nn. 15971/01, 9631/99, 1212/99, 5808/98, 2267/97 e 8536/95) (Cass. 23 settembre 2013 n. 21744).
Insomma stabilire se un cancello impedisca o meno il pacifico esercizio del passaggio spetta al giudice chiamato a decidere sulla controversia.
Servitù di passaggio e atti di tolleranza
Il passaggio prolungato nel tempo sul fondo di un vicino può dare luogo all’acquisto di una servitù di passaggio per usucapione?
Se il passaggio non è stato clandestino ed era pacifico, si, dopo vent’anni di esercizio, è possibile ottenere l’accertamento della costituzione di una servitù di passaggio per usucapione.
Possibile, ma non automatico. Motivo? Il proprietario del fondo detto servente (quello su cui si passa) potrebbe eccepire di aver tollerato quel passaggio. I così detti atti di tolleranza impediscono l’usucapione.
Che cosa sono esattamente gli atti di tolleranza?
Gli atti di tolleranza, che secondo l'art. 1144 c.c., non possono servire di fondamento all'acquisto del possesso, sono quelli che implicando un elemento di transitorietà e saltuarietà comportano un godimento di modesta portata, incidente molto debolmente sull'esercizio del diritto da parte dell'effettivo titolare o possessore, e soprattutto traggono la loro origine da rapporti di amicizia o familiarità - come nella specie - (o da rapporti di buon vicinato sanzionati dalla consuetudine), i quali mentre a priori ingenerano e giustificano la permissio, conducono per converso ad escludere nella valutazione a posteriori la presenza di una pretesa possessoria sottostante al godimento derivatone.
Pertanto nell'indagine diretta a stabilire, alla stregua di ogni circostanza del caso concreto, se un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l'altrui tolleranza, e quindi sia inidonea all'acquisto del possesso, la lunga durata dell'attività medesima può integrare un elemento presuntivo, nel senso dell'esclusione di detta situazione di tolleranza, qualora si verta in tema di rapporti non di parentela, ma di mera amicizia o buon vicinato, tenuto conto che nei secondi, di per sè labili e mutevoli, è più difficile il mantenimento di quella tolleranza per un lungo arco di tempo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 04631 del 1990, 08194 del 18/06/2001) (Cass. 20 febbraio 2008 n. 4327).