La ricetta della Bce per risanare l'economia passa attraverso l'iniezione di liquidità e una politica di tassi al minimo. Anche nell'ultima riunione mensile, la banca centrale europea ha ribadito chiaramente che i tassi sono destinati a non muoversi ancora un po'. Secondo gli esperti sentiti da idealista news si parla di un arco temporale molto ampio, che potrebbe addirittura arrivare a una decade. Però non è detto che questo abbia ricadute positive per l'economia.
Negli Stati Uniti la fine del lungo periodo post crisi del denaro a costo zero è terminato a dicembre, con i tassi portati al range 0,25-0,50 per cento. A un anno di distanza potrebbero essere alzati di nuovo, anche se più di una volta la Fed ha rinviato l’appuntamento con un nuovo ritocco e potrebbe farlo ancora, se i fondamentali non dovessero essere quelli che l’istituto centrale si aspetta.
E il corrispondente europeo? Nell’ultima riunione mensile ha ribadito chiaramente il concetto che i tassi sono destinati a non muoversi ancora per un po’. Di sicuro nel breve periodo, ma probabilmente anche più a lungo.
Secondo Gianluca Beccaria, responsabile progetti istituzionali di Directa Sim, potremmo addirittura cambiare decennio prima che si vedano condizioni per le quali l’Eurotower ritenga opportuno intervenire sui tassi.
“Le banche centrali – dice – sono state molto importanti in questi anni. Hanno preso decisioni molto coraggiose, perché hanno capito la gravità della situazione di quest’ultima crisi. Ma i mercati si sono abituati troppo bene, con queste politiche ultraespansive senza precedenti, guardando non solo ai tassi ma anche alle misure di qauntitative easing sia negli Stati Uniti che in Europa”.
Il risultato oggi sembra essere che “siamo passati a una fase in cui le banche centrali sono ostaggi dei mercati”. Secondo Brambilla lo dimostra il comportamento della Fed. “Dopo il rialzo di dicembre, la presidente Janet Yellen aveva detto di prevederne tre o quattro per il 2016. Il mercato ha reagito malissimo. Tant’è che siamo a quasi un anno e non se ne è ancora visto uno. Ho dei dubbi anche su quello di dicembre, perché in mezzo ci sono le elezioni americane”.
Eppure l’economia oltreoceano va bene. “Se non riescono loro ad alzare i tassi, come potrà farlo l’Europa che ha buone ragioni per tenerli bassi?”
Lo scenario dipinto da Brambilla si spinge addirittura più in là di un consensus degli analisti orientato sul 2019 come anno nel quale si registrerà il primo incremento dei tassi nel Vecchio Continente. Secondo il capo economista della Investec, Philip O’Sullivan, l’ipotesi più realistica è che occorrerà attendere la primavera di quell’anno.
Ma secondo Franco Bruni, docente di teoria e politica monetaria internazionale alla Bocconi, il risultato del perdurare di queste politiche accomodanti equivale a drogare l’economia. “Draghi – afferma - è convinto che ciò che la banca centrale sta facendo ha effetto importante sulla liquidità e i tassi. La mia opinione è che sarebbe bene le banche centrali smettessero di illudere il mondo che si possa uscire da questo stallo dell’economia e anche dell’inflazione con la politica monetaria. Per una fase è stata importante, ma poi ha posto le basi per tante bolle speculative”.
Tesi condivisa da, Clemens Fuest, da poco divenuto direttore del tedesco Ifo Institute, secondo il quale i tassi negativi sono sostenibili solo per un brevissimo periodo e, inoltre, trova difficile giustificare un eventuale nuovo potenziamento del quantitative easing, non escluso da Mario Draghi che ha parlato di due nuove operazioni straordinarie. Il rischio, secondo Fuest, è proprio quello di alimentare nuove bolle e squilibri.
Se la Bce sicuramente non alzerà i tassi ancora per un lungo periodo, è assai improbabile che possa diminuirli ancora. “Dal punto di vista bancario – dice Brambilla - è stato forse un errore storico. Ha avuto un impatto Hanno portato più danni che benefici. Difficilmente andranno ancora sotto, perché sono una novità assoluta a livello accademico: non sono ancora stati studiati a sufficienza”.