I coniugi devono vendere insieme la casa in comproprietà se sono in comunione legale, possono venderla separatamente se hanno scelto la separazione dei beni.
La legittimazione a vendere un bene immobile in comproprietà tra moglie e marito dipende dal regime patrimoniale scelto dai coniugi. Infatti il bene in comunione legale va considerato comune e per questo va venduto dai due coniugi insieme. Diversamente, la casa acquistata in separazione dei beni appartiene a marito e moglie per una quota determinata, che può essere rivenduta anche senza il consenso dell’altro. Vediamo in concreto come funziona.
Il regime previsto dalla legge per regolare i rapporti patrimoniali tra i coniugi è quello della comunione legale dei beni [1].
Si definisce legale perché opera automaticamente in mancanza di diversa scelta da parte degli sposi, che può essere compiuta al momento delle nozze o anche successivamente.
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Per i coniugi in comunione legale dunque la regola è che vanno in comproprietà tutti i beni immobili acquistati sia insieme che separatamente durante il matrimonio, persino all’insaputa l’uno dell’altro [2].
Fanno eccezione, ovvero rimangono beni personali del coniuge:
- gli immobili ricevuti in eredità o per donazione;
- i beni di uso strettamente personale, quelli che servono all’esercizio della professione e quelli acquistati con il ricavato della precedente vendita di un bene personale. In questo caso però è necessario, affinché l’immobile non cada in comunione, che sia presente durante la stipula anche l’altro coniuge, il quale deve confermare che il bene sia effettivamente personale.
Questo tipo di comproprietà ha poi la caratteristica unica di essere senza quote. In altre parole i coniugi non sono singolarmente proprietari di una quota del bene (metà e metà), ma sono insieme e nello stesso tempo comproprietari del tutto.
La principale conseguenza di tale regime è che il singolo coniuge non può alienare da solo la casa in comunione legale, né ovviamente può vendere una parte o una quota del bene. Ѐ necessario che marito e moglie vendano congiuntamente [3].
Dunque gli sposi devono essere d’accordo nella scelta di vendere la casa in comproprietà.
Se uno dei due rifiuta di dare il consenso, l’unica soluzione per l’altro è rivolgersi al giudice, che autorizza il marito o la moglie a vendere l’intero bene solo se la stipulazione dell’atto è necessaria nell’interesse della famiglia o dell’azienda gestita da entrambi i coniugi e costituita dopo il matrimonio [4].
Ѐ indispensabile l’autorizzazione del giudice anche quando uno degli sposi è lontano o è impedito a partecipare alla vendita e questa risulta necessaria [5]. Questo tipo di autorizzazione può ad esempio essere richiesto quando uno dei coniugi sia gravemente malato e la vendita della casa sia essenziale ad avere il denaro per affrontare cure o interventi costosi.
In qualsiasi momento, e per evitare di dover ricorrere al giudice, i coniugi in comunione legale possono fare una procura dal notaio, in modo che la vendita della casa in comproprietà possa essere fatta anche autonomamente dal coniuge che ha ricevuto il potere di rappresentare l’altro.
Cosa accade se il marito o la moglie vendono da soli la casa di cui sono comproprietari in comunione legale?
Se il consorte assente è comunque d’accordo, può convalidare la vendita dando il suo consenso in un secondo momento.
Diversamente, se manca il consenso, il coniuge che non ha partecipato alla vendita può chiedere l’annullamento dell’atto [6].
Per ottenere l’annullamento va proposta una apposita domanda giudiziale entro un anno dalla data in cui la vendita è stata scoperta e in ogni caso entro un anno da quando è stata trascritta.
Per evitare la comunione legale e le conseguenze che ne derivano, i coniugi possono scegliere di comune accordo di optare per il regime della separazione dei beni. Questa scelta è sempre consigliabile quando uno o entrambi gli sposi svolgono attività imprenditoriale o professionale, in quanto tutela maggiormente il patrimonio dai creditori.
Ebbene la scelta della separazione dei beni può essere fatta:
- al momento delle nozze, dichiarandola nell’atto di celebrazione del matrimonio;
- in qualsiasi momento, successivamente al matrimonio, con atto pubblico redatto dal notaio con l’assistenza di due testimoni [7].
Chiunque può verificare il regime patrimoniale della coppia, richiedendo al Comune dove sono state celebrate le nozze un estratto per riassunto dell’atto di matrimonio, che viene rilasciato in carta libera (non si pagano marche da bollo).
Quando i coniugi sono in separazione dei beni non si verifica alcun acquisto automatico in favore del coniuge, che rimane estraneo a tutti gli effetti alla compravendita fatta dall’altro separatamente.
Naturalmente anche in caso di separazione dei beni i coniugi possono diventare comproprietari della casa di abitazione, ma ciò avviene solo se la acquistano insieme.
Questo tipo di comproprietà non ha nulla di diverso da quella che può sussistere ordinariamente tra soci o tra parenti.
La conseguenza è che ciascuno dei coniugi può decidere singolarmente, e a prescindere dalla volontà dell’altro, di alienare la sua quota, senza che l’altro possa opporsi o vantare diritti di prelazione (cioè il diritto di essere preferito quale acquirente a soggetti terzi).
Salva la possibilità di fare una procura notarile, il marito o la moglie che sono comproprietari in separazione dei beni non possono vendere l’intero bene senza il consenso dell’altro. Infatti ciascuno ha diritto di vendere solo la propria quota.
[1] Art. 159 cod. civ.
[2] Art. 177 cod. civ.
[3] Art. 180 cod. civ.
[4] Art. 181 cod. civ.
[5] Art. 182 cod. civ.
[6] Art. 184 cod. civ.
[7] Art. 48 L. 16.02.1913 n. 89.