Apertura di credito in conto corrente e divieto di anatocismo: alla luce dell'attuale quadro normativo, il correntista ha diritto di intraprendere un’azione per il recupero dell’anatocismo e di tutte le altre somme eventualmente incassate dalle banche a titolo indebito.
Anatocismo
Se il contratto è a tempo determinato,
la banca si impegna a tenere a disposizione del cliente la somma per un
periodo di tempo contrattualmente predefinito; la banca ha la
possibilità di recedere anticipatamente solo per giusta causa,
concedendo al cliente un preavviso di almeno 15 giorni per ripianare il
debito. Se il contratto è a tempo indeterminato, il
lasso di tempo per il quale la banca deve tenere a disposizione del
cliente la somma di denaro non è predeterminato nel contratto; ambo le
parti possono esercitare il diritto di recesso dando un preavviso
all’altra parte di 15 giorni, se non pattuito diversamente.
L’apertura di credito bancario può essere allo scoperto oppure, nella maggior parte dei casi, assistita da una garanzia
reale o personale. Nel caso in cui l’apertura di credito sia assistita
da garanzia e quest’ultima diventi insufficiente, la banca può chiedere
un supplemento della stessa e, in mancanza, ridurre proporzionalmente il
credito in considerazione del diminuito valore della garanzia.
All’obbligo della banca di tenere a disposizione la somma di denaro corrisponde un diritto
potestativo del cliente, che è infatti libero di utilizzare o meno, in
tutto o in parte, il credito concessogli, se e quando lo ritenga
opportuno. Proprio in questo consiste il vantaggio pratico dell’apertura
di credito, soprattutto in relazione agli interessi
che sono dovuti dal cliente solo e solamente sulle somme effettivamente
utilizzate e non sull’intera somma concessa dalla banca, che, comunque,
potrà essere utilizzata in una unica volta o, al contrario, in più volte
e potrà poi essere ripristinata dal cliente con successivi versamenti.
In relazione alla spinosa questione degli interessi debitori
derivanti dal contratto di apertura di credito bancario, numerose sono
le pronunce giurisprudenziali che hanno escluso la sussistenza di un
qualsivoglia uso normativo che giustifichi, nel settore bancario, una
deroga ai limiti posti all’anatocismo dall’art. 1283 del codice civile, posto che l’uso normativo consiste nella“ripetizione
generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato
comportamento, accompagnato dalla convinzione che si tratta di
comportamento giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una
norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento
giuridico“.
In altre parole, le clausole anatocistiche sono
state accettate non perché gli utenti fossero convinti della loro
rispondenza a principi dell’ordinamento giuridico, ma piuttosto perché
costretti ad accettarle per poter accedere ai servizi bancari.
In linea con l’orientamento giurisprudenziale
maggioritario emerso negli anni in sede di merito e di legittimità, le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 24418 del 2
dicembre 2010, hanno affermato l’illiceità della
capitalizzazione trimestrale degli interessi da parte dell’istituto
bancario e hanno stabilito che il correntista possa agire per far
dichiarare la nullità della clausola che prevede la
corresponsione di interessi anatocistici e per ottenere la ripetizione
di quanto indebitamente pagato a tale titolo, entro 10 anni dalla data
in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli
interessi non dovuti sono stati registrati, precisando che ciò si
verifica quando i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del
rapporto abbiano avuto solo la funzione di reintegrare la disponibilità
del fido.
Tale linea interpretativa è stata, tuttavia, sconfessata dal D.L. n. 225 del 2010, cd. “decreto mille proroghe”,
convertito nella L. n. 10 del 2011, la quale, interpretando l’art. 2935
del codice civile, ai sensi del quale “la prescrizione comunica a
decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere”, trae
la conclusione per la quale, con riguardo alle operazioni bancarie
regolate in conto corrente, la prescrizione relativa ai diritti nascenti dalla relativa annotazione in conto inizi a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa.
Da ultimo, ben 9 diversi Giudici di merito, investiti
della decisione in ordine alla statuizione di nullità della
capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e conseguente
condanna della banca alla restituzione dell’indebito, hanno sollevato
questione di legittimità costituzionale della suddetta
disposizione legislativa, la cui applicabilità a proprio favore veniva
invocata dagli istituti bancari resistenti. La Corte Costituzionale con sentenza n. 78 del 2 aprile 2012,
ritenuta fondata la questione di legittimità costituzionale, fa
sostanzialmente proprie le conclusioni raggiunte dalla citata sentenza
della Suprema Corte di Cassazione, ribadendo che, avuto riguardo alle
modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente, la ripetizione
dell’indebito si rende configurabile soltanto all’atto della chiusura del conto ed è da questo momento che inizia a decorrere il termine prescrizionale di 10 anni.
Stante il quadro sopra delineato, è auspicabile che i
fruitori del credito bancario – consumatori e imprenditori – con
l’ausilio del tecnico del diritto, valutino con attenzione l’opportunità
e la convenienza di intraprendere un’azione per il recupero dell’anatocismo e di tutte le altre somme eventualmente incassate dalle banche a titolo indebito,
ad esempio in forza di clausole nulle, quali spese non pattuite,
commissione di massimo scoperto, e così via; allo scopo, va conservata
scrupolosamente, per un periodo di 10 anni, la documentazione
proveniente dalla banca (contratto, estratti conto, comunicazioni delle
banca, etc.).
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