Nel corso dello scorso anno sono stati ben 600.000 i negozi che, a seguito della cessazione dell’attività sono rimasti chiusi e sfitti senza trovare un nuoco commerciante deciso a farsi carico del rischio di cominciare una nuova attività.
Il primo semestre del 2016, purtroppo, non sembra affatto aver invertito la tendenza e, secondo un’analisi compiuta da Confabitare, l’incremento percentuale delle chiusure rilevato nelle principali città italiane è in tutti i casi a doppia cifra; si parte dal +15,5% di Venezia per arrivare al +23,5% di Bologna, maglia nera di questa triste classifica.
Anche città solitamente più vive da un punto di vista commerciale e, soprattutto, dei piccoli esercizi, non hanno vissuto storie diverse; a Milano l’incremento registrato è stato pari al 23,2%, a Torino del 22,6% a Genova del 22,3% a Napoli del 22% e a Roma del 19,5%.
Come provare ad arginare questo fenomeno? La soluzione potrebbe in realtà essere già disponibile sul mercato? Secondo Confabitare sì, e ha un nome ben preciso: cedolare secca.
Secondo Alberto Zanni, Presidente nazionale dell’associazione che unisce i proprietari immobiliari, se si applicassero anche ai negozi le due tasse fisse del 10% e del 21% – a seconda che l’immobile si trovi o meno in un comune ad alta densità abitativa – i proprietari godrebbero di un notevole vantaggio fiscale che potrebbe consentirgli di applicare canoni calmierati a chi volesse affittare i locali commerciali di loro proprietà.
A leggerla così si tratta di un vero e proprio uovo di Colombo, perché allora non lo si fa? Ancora una volta è Zanni a rispondere; se si procedesse in questo modo, sostiene, chiaramente verrebbe meno un notevole introito per lo Stato che però, continua ancora il Presidente di Confabitare, sarebbe ampiamente controbilanciato dai notevoli vantaggi di cui godrebbe il tessuto sociale.
Chissà se Zanni e i suoi iscritti riusciranno a convincere il Governo cui presenteranno ufficialmente la proposta in vista della discussione della legge di stabilità