mercoledì 26 giugno 2019

Mutuo per acquistare casa? fai attenzione…perchè pagare un immobile meno dell’ammontare dell’importo erogato dalla banca potrebbe costarti molto caro….

Acquisto casa: come il valore del mutuo ti frega col Fisco

Il mio amico  ha saputo che….

Quell’altro  ha detto che si può fare…

Ma Fanno tutti così…il cugino di mia nonna è riuscito a……

Sarà vero??

Cosa?

Lo so che che tutti vorrebbero ottenere un mutuo che consenta di pagare oltre l’acquisto della casa anche i mobili,il trasloco,il cane,la colf,e il regalino alla suocera ma…..se chiedi un mutuo per acquisto prima casa dunque all’80% certi magheggi potrebbero avere risvolti inaspettati…

Leggi l’articolo di seguito:

Acquisto casa: come il valore del mutuo ti frega col Fisco

26 Giugno 2019 | Autore: Paolo Remer


Acquisto casa: come il valore del mutuo ti frega col Fisco


Paolo Remer 


Impossibili i pagamenti in nero quando il mutuo supera il valore dichiarato nell’atto: il Fisco recupera la differenza.

Compri casa da un costruttore ed hai fatto il mutuo per avere i soldi necessari all’acquisto. Fin qui, nulla di strano. Il problema arriva se l’importo del mutuo supera il valore dell’immobile: precisamente, se nell’atto di compravendita dichiari un prezzo inferiore all’80% rispetto alla somma presa in mutuo sono guai grossi con il fisco, che ti manda un avviso di accertamento e così ti frega proprio quando eri tu che pensavi di aver fregato lui.

Facciamo un esempio: il tuo mutuo è di 120.000 euro; nell’atto dal notaio, però, tu e l’impresa venditrice dichiarate un valore inferiore attribuito al bene immobile acquistato, diciamo 76.000 euro. Pensate di risparmiare sulle imposte ma non è così: la sproporzione tra la somma presa in mutuo ed il valore dichiarato è evidente e il fisco se ne accorge subito.

Scatta l’accertamento, il valore dell’appartamento viene riportato a quello del mutuo (anzi, un po’ di più, come vedremo tra poco) e dovrai pagare le imposte sulla differenza ed anche le sanzioni. Non c’è rimedio, perché la cosa non si spiega se non con un prezzo dichiarato fasullo, che nasconde un pagamento in nero fatto per evadere le tasse.

L’esempio che abbiamo fatto corrisponde ad un caso deciso proprio oggi con sentenza della sezione tributaria della Cassazione [1]. Un’impresa costruttrice aveva venduto un appartamento ad un privato che si era finanziato con un mutuo. Le parti però davanti al notaio avevano dichiarato un prezzo fittizio, inferiore al reale e, soprattutto, molto più basso della somma presa in mutuo dall’acquirente.

Sappiamo che le banche solitamente arrivano a finanziare al massimo l’80% del valore dell’immobile e prima di concedere il mutuo fanno una perizia sull’immobile per vedere quanto vale effettivamente. Le banche si garantiscono con l’ipoteca (se le rate del mutuo non vengono pagate l’immobile viene pignorato e venduto all’asta ed il creditore si soddisfa così sul ricavato) e non rischiano mai di dare un finanziamento di importo maggiore del valore del bene per cui viene concesso. Anche volendo non potrebbero: la soglia dell’80% è fissata dalla legge [2] e sono rari i casi in cui il mutuo arriva a coprire il 100% perché per ottenere questo servono garanzie speciali che pochi sono in grado di offrire.

Tornando al caso deciso dalla Cassazione, il ragionamento del fisco, accolto dai giudici, è il seguente: è impossibile che un immobile finanziato con un mutuo di 120.000 euro possa essere stato venduto ad appena 76.000. Quell’appartamento – oltretutto nuovo di zecca – valeva molto di più, diciamo almeno 150.000 euro (abbiamo visto che il mutuo erogato copriva l’80% del valore). Questo è il valore reale della casa. Oltretutto, nel caso esaminato quello stesso costruttore aveva venduto un altro appartamento nello stesso palazzo ad un valore ben maggiore.

Quindi l’acquirente avrà pagato al costruttore proprio quella cifra, dichiarando solo poco più della metà nell’atto pubblico. Tutta la differenza è stata pagata in nero: c’è stata sottofatturazione ed evasione fiscale delle imposte sull’acquisto della casa. Il reddito d’impresa viene rettificato con facilità dall’Agenzia Entrate e tutto il dovuto (Ires, Irap ed Iva) è recuperato a tassazione. L’impresa costruttrice aveva impugnato la cartella, ma inutilmente: i giudici tributari le hanno dato torto e la Cassazione ha confermato, condannandola a pagare anche le spese di giudizio.

note

[1] Cass. sent. n. 16951/2019 del 26 giugno 2019.

[2] Art. 38 D.Lgs. 1 settembre 1993, n.385 “Testo Unico Bancario” e delibera Cicr (Comitato Interministeriale Credito e Risparmio) del 22 aprile 1995.