Il Fisco non risparmia le seconde case e per i proprietari la strada per capire che tipo di spesa devono affrontare tra Imu e Tasi è piuttosto tortuosa. Le disposizioni legislative, infatti, hanno di molto complicato la loro vita e prospettato il rischio salasso. Vediamo perché.
Come evidenziato dal Sole 24 Ore, il comma 677 dell’articolo 1 della legge 147 del 2013 aveva previsto che nel 2014 il Comune potesse determinare l’aliquota della Tasi (nella misura massima del 2,5 per mille) rispettando in ogni caso il vincolo in base al quale la somma delle aliquote Imu e Tasi, per ciascuna tipologia di immobile, non doveva superare l’aliquota massima consentita dalla legge per l’Imu al 31 dicembre 2013, fissata al 10,6 per mille e alle altre minori aliquote per le diverse tipologie di immobile (come il 6 per mille per le abitazioni principali di lusso).
E’ però intervenuto l’articolo 1 del Dl 16 del 2014 stabilendo che, per lo stesso anno 2014, nella determinazione delle aliquote, potessero essere superati i predetti limiti (Imu più Tasi 10,6 per mille e Tasi 2,5 per mille), per un ammontare tuttavia complessivamente non superiore allo 0,8 per mille.
Tale assetto è stato poi confermato dal legislatore sia per il 2015 che per il 2016, per ques’ultimo anno a condizione che il consiglio comunale lo abbia espressamente deliberato entro il 30 aprile 2016.
Come sottolineato dal Mef con la circolare 2/Df del 29 luglio 2014, il Comune potrebbe quindi avere utilizzato tutta la maggiorazione dello 0,8 per mille portando la somma Imu più Tasi all’11,4 per mille, ma in tal caso l’aliquota Tasi non può essere superiore al 2,5 per mille. Se invece è stata utilizzata tutta la maggiorazione per aumentare l’aliquota Tasi al 3,3 per mille, la somma Imu più Tasi non può superare il 10,6 per mille.
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Seconde case, rischio stangata (il sole 24 ore)