mercoledì 18 novembre 2015

Soppalchi: serve il permesso di costruire?

 

Soppalchi- serve il permesso di costruire

 

A seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 133/2014, la realizzazione di soppalchi aventi destinazione abitativa interni ad edifici o unità immobiliari preesistenti non richieda necessariamente il previo rilascio del permesso di costruire: l’intervento, infatti, non può farsi più rientrare nella categoria delle ristrutturazioni edilizie assoggettate a tale titolo abilitativo ed appare riconducibile, piuttosto, alla nozione di manutenzione straordinaria, che attualmente può implicare anche modifica delle superfici delle singole unità immobiliari purché non venga alterata la volumetria complessiva dell’edificio e si mantenga la destinazione d’uso originaria. Non può più configurarsi ristrutturazione edilizia subordinata a permesso di costruire, poiché l’art. 10, 1° comma, lett. c), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal D.L. n. 133/2014, è riferito attualmente alle sole modifiche della volumetria complessiva degli edifici e dei prospetti, mentre il titolo abilitativo non è più richiesto per l’aumento di unità immobiliari e per le modifiche delle superfici che non comportino incremento della volumetria complessiva.

L’intervento in oggetto, pertanto, potrà essere realizzato previa presentazione di comunicazione asseverata di inizio dei lavori (CILA) allorché non riguardi le parti strutturali dell’edificio; nel caso di coinvolgimento delle strutture esso sarà assoggettato, invece, a SCIA; mentre il permesso di costruire si renderà necessario nelle ipotesi di modifiche della destinazione d’uso.

Nel vigore dell’art. 26 della legge n. 47/1985 e dell’art. 4 della legge n. 493/1993, come modificato dall’art. 2, comma 60, della legge n. 662/1996, la giurisprudenza della Corte di Cassazione si era orientata nel senso che — per la realizzazione di soppalchi aventi destinazione abitativa interni a costruzioni preesistenti — non occorresse la concessione né l’autorizzazione edilizia. Si riteneva, quindi, sufficiente il procedimento di DIA in via esclusiva, la cui mancanza era sanzionata solo in via amministrativa (vedi Cass. pen., Sez. III: 22 aprile 1998, n. 4746, Matera; 3 giugno 1994, n. 6573, Vicini; 28 marzo 1990, n. 4323, De Pan).

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Dopo l’entrata in vigore del T.U. n. 380/2001, detto indirizzo era stato confermato dalla III Sezione penale — con la sentenza 10 novembre 2005, n. 40829, ric. P.M. in proc. D’Amato, in Giust. pen., 2006, II, 473 (riguardante una vicenda in cui erano stati realizzati due soppalchi all’interno di una preesistente unità immobiliare: adibiti l’uno ad uso studio e l’altro a cameretta per i bambini) — ove si è argomentato che «La realizzazione di opere interne anche in base al testo unico deve ritenersi consentita, come avveniva nella legislazione previgente, previa mera denunzia di inizio dell’attività a condizione che non integri veri e propri interventi di ristrutturazione comportanti modifiche della sagoma o della destinazione d’uso e ciò perché in base all’attuale disciplina sono assentibili con la denuncia d’inizio lavori cosiddetta semplice, ossia quella prevista dall’art. 22 dei T.U. commi 1 e 2 (…) tutti quegli interventi per i quali non è richiesto il permesso di costruire e per quello in questione tale permesso, alle condizioni sopra indicate, non è richiesto giacché, anche se è aumentata la superficie in concreto utilizzabile, non sono stati modificati volume e sagoma».

L’anzidetto orientamento giurisprudenziale, però, è stato definitivamente abbandonato nelle decisioni più recenti della stessa III Sezione penale, ove:

—              è stato rilevato che le opere interne devono ritenersi riconducibili alla «ristrutturazione edilizia» allorquando comportino aumento di unità immobiliari, ovvero modifiche dei volumi, dei prospetti o delle superfici, ovvero mutamenti di destinazione d’uso;

— ed è stato affermato il principio di diritto secondo il quale «l’esecuzione di un soppalco all’interno di una unità immobiliare, realizzato attraverso la divisione in altezza di un vano allo scopo di ottenerne una duplice utilizzazione abitativa, pure se non realizzi un mutamento di destinazione d’uso, costituisce intervento di ristrutturazione edilizia che richiede il permesso di costruire o, in alternativa, la denunzia di inizio dell’attività, ai sensi dell’art. 22, comma, del T.U. 380/2001. Detto intervento, infatti, comporta un incremento della superficie utile calpestabile che, a norma dell’art. 10, 1° comma — lett. c), dello stesso T.U., impone l’applicazione del regime di alternatività indipendentemente da una contemporanea modifica della sagoma o del volume» (così Cass. pen., sez. III: 29 settembre 2011, n. 41089; 26 giugno 2009, n. 26566, Lefons; 26 ottobre 2006, n. 35863, Montilli; 16 novembre 2006, n. 37705, P.M. in proc. Richiello; 26 gennaio 2007, n. 2881, P.M. in proc. Picone, in Riv. giur, edilizia, 2007, I, 809; 1 marzo 2007, n. 8669, De Martino; 21 ottobre 2008, n. 42539, Sessa).