martedì 20 marzo 2018

Caldaia nella casa in affitto: che fare se non funziona?


Caldaia non funzionante nella casa in affitto: che fare?

La caldaia guasta può determinare il risarcimento del danno morale, ma bisogna dimostrare il grave danno. Non si può compensare con il canone la spesa anticipata per la riparazione.

Il riscaldamento è un bene primario, necessario alla sopravvivenza dell’uomo. E se anche ci sono sempre fonti alternative ai classici termosifoni (un esempio è certamente la stufa elettrica) è indubbio che una casa fredda non può essere abitata, specie nella stagione invernale. Ciò vale a maggior ragione per l’acqua calda senza la quale è impossibile provvedere non solo alla pulizia del proprio corpo, alla doccia e al lavaggio dei panni, ma anche alle faccende domestiche (si pensi all’acqua calda necessaria per il lavaggio dei pavimenti). Che fare allora se, nella casa in affitto, c’è una caldaia non funzionante? Nell’ambito di una locazione, i contrasti tra inquilino e proprietario di casa vedono molto spesso la caldaia al centro di numerose polemiche: chi deve sostenere le spese per la manutenzione? E chi invece quelle per le sostituzione o la revisione? Una recente ordinanza della Cassazione [1] ci offre lo spunto per riprendere l’argomento e ricordare come si regolano i rapporti tra le parti.

Indice

Chi deve pagare per la caldaia non funzionante?

Come abbiamo già spiegato nell’articolo Affitto e caldaia: spese di manutenzione, rottura e revisione, la riparazione della caldaia guasta è una spesa che compete al padrone di casa, a meno che il guasto non sia dipeso da un cattivo uso dell’inquilino o dal fatto che questi, pur sapendo che l’impianto necessitava di controllo e revisione, non vi ha provveduto per tempo o non ha avvisato il proprietario.

Chi deve provvedere al controllo periodico e alla manutenzione della caldaia?

Differenti, invece, sono le regole per il controllo periodico e la manutenzione ordinaria della caldaia: la revisione – obbligatoria per legge – spetta all’inquilino. Su di lui competono anche le spese per le piccole riparazioni, quelle che dipendono dall’uso quotidiano (si pensi alla pulizia dei filtri e al controllo dei fumi). Sono a carico dell’affittuario anche le spese per la sostituzione della caldaia o di singole parti di essa quando ciò deriva dalla vetustà dell’apparecchio o da caso fortuito (si pensi un fulmine o un corto circuito). Lo stesso dicasi per gli interventi di adeguamento a legge, anch’essi a carico del locatore.

Cosa può stabilire il contratto di affitto per quanto riguarda la caldaia?

Bisogna sempre prestare attenzione a ciò che dice il contratto di affitto: le parti possono infatti derogare ai principi appena detti e stabilire, ad esempio, che determinate spese competano al locatore ed altre all’inquilino o viceversa.

Di solito, però, si usa stabilire un “copione” ormai collaudato e prevedere che siano:

a carico del proprietario le spese per:

  • installazione della caldaia
  • sostituzione della caldaia
  • adeguamento della caldaia alle norme di legge
  • manutenzione straordinaria della caldaia.

a carico dell’inquilino le spese per:

  • manutenzione ordinaria e controllo fumi
  • pulizia della caldaia per accessione e messa a riposo
  • pagamento tasse
  • aggiornamento libretto e controllo periodico
  • pagamento operaio per il controllo
  • spese per la fornitura del calore.

Che fare se la caldaia è guasta

Come abbiamo detto, quando la caldaia è guasta e la rottura non dipende da un difetto di ordinaria amministrazione spettante all’inquilino, la riparazione compete al padrone di casa. Il conduttore ha l’onere di avvisare il locatore affinché vi provveda immediatamente; tuttavia, nel caso in cui quest’ultimo rimanga inerte, il conduttore ha facoltà di provvedere personalmente a dette riparazioni anticipandone i costi, salvo poi esigere il rimborso ed il risarcimento danni al locatore. Se il locatore non paga le spese anticipate dall’inquilino, quest’ultimo non può compensarle con il canone di locazione: non può ciò smettere di versare l’importo mensile da lui dovuto per l’affitto fino a quando non si è rifatto dei costi sostenuti in quanto i due obblighi di pagamento viaggiano su binari differenti e paralleli. Pertanto in assenza di rimborso, all’affittuario non resta che procedere con un decreto ingiuntivo da richiedere al tribunale. Per chiedere il decreto ingiuntivo dovrà però esibire copia della fattura rilasciata dal tecnico. Chi ha pagato in contanti e non si è fatto rilasciare il documento fiscale difficilmente potrà dimostrare il proprio diritto di credito.

Posso smettere di pagare l’affitto se la caldaia non funziona?

Il principale obbligo che il locatore si assume con la stipula del contratto di affitto è quello di far in modo che il conduttore possa godere a pieno della nuova obbligazione. È quindi indubbia la sua inadempienza nel caso in cui l’appartamento presenti una caldaia rotta. Il punto è però stabilire cosa possa fare e chiedere l’inquilino pregiudicato dall’impossibilità di avere i riscaldamenti e/o l’acqua calda.

Una ricorrente forma di autotutela di chi non può godere della caldaia funzionante è costituita dalla interruzione del pagamento dell’affitto o in un’autoriduzione dello stesso in attesa della sostituzione o dell’intervento di manutenzione. A riguardo però la giurisprudenza ha sempre detto che la possibilità di sospendere il versamento dei canoni o lo “sconto” sugli stessi è consentito solo laddove l’immobile non sia completamente utilizzabile (è il caso del conduttore costretto ad andare via di casa); invece per quei vizi che ne predicano solo il pieno godimento è necessario intentare prima una causa in tribunale affinché sia il giudice a determinare la misura del risarcimento e a compensarla eventualmente con l’obbligo del pagamento del canone.

Ora, a nostro avviso, un immobile senza riscaldamenti e con l’acqua fredda diventa completamente inservibile, specie per chi ha bambini piccoli, non potendo provvedere alla pulizia del corpo e dell’ambiente domestico. Pertanto si potrebbe giustificare la sospensione nel pagamento del canone. Bisognerà però dimostrare di non aver potuto fruire il bene (cosa però contraddetta dal fatto se il conduttore continua a rimanere nell’immobile) [2].

Posso disdire l’affitto se la caldaia non funziona?

In alternativa l’inquilino potrebbe anche recedere in anticipo dal contratto di affitto per giusta causa, anche se questo non è ancora scaduto. La giurisprudenza ha ritenuto sussistente, ad esempio, il diritto dell’inquilino di lasciare l’appartamento insalubre per via dell’umidità, degli spifferi di vento e freddo, della scarsità di acqua che scende dai rubinetti o dell’assenza ciclica di riscaldamento.

Il conduttore inoltre può chiedere il risarcimento dei danni morali derivati dai vizi dell’appartamento dovuti alla colpa o al dolo del locatore, a meno che questi fornisca la prova di avere ignorato senza colpa l’esistenza dei vizi al momento della consegna. Quindi, sempre che il padrone di casa sia stato informato del cattivo funzionamento della caldaia, questi potrebbe dover risarcire i danni sofferti dall’inquilino costretto a vivere nel freddo.

note

[1] Cass. ord. n. 6395/2018.

[2] Trib. Bari, sent. n. 2734/2015: «Secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede, il che è da escludere se il conduttore continui a godere dell’immobile, e al momento in cui gli è chiesto il pagamento del canone, assuma l’inutilizzabilità del bene all’uso convenuto, in quanto in tal modo fa venire meno la proporzionalità tra le rispettive prestazioni. Nella specie, l’eccipiente non solo non ha fornito la prova della assoluta impossibilita di utilizzare l’immobile in conseguenza del dedotto mancato funzionamento del riscaldamento, ma, in base alle sue stesse allegazioni, dovrebbe persino affermarsi il contrario, e cioè che il bene non abbia mai smesso di essere fruibile, avendo la conduttrice continuato ad abitarlo sino al giorno del rilascio.

Con riferimento all’inadempimento del conduttore al pagamento del canone, l’art. 5 L. 392/1978, stabilendo che il mancato pagamento del canone della locazione, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, costituisce motivo di risoluzione ai sensi dell’art. 1455 c.c., fissa un criterio di predeterminazione legale della gravità dell’inadempimento, che, come tale, non consente al giudice del merito di svolgere altri accertamenti su questo presupposto dell’inadempimento.

E’ infondata l’eccezione di non dover corrispondere l’adeguamento ISTAT in mancanza di richiesta scritta, in quanto il contratto di locazione prevedeva espressamente il diritto all’aggiornamento del canone, “senza obbligo di ulteriore richiesta scritta da parte del locatore”». Cfr. Cass. sent. n. 5682/2001: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l’inadempimento o la mancata offerta di adempimento dell’altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico – sociale del contratto. (Nella specie, alla stregua del suindicato principio, la S.C. ha confermato la decisione della corte di merito che aveva ritenuto legittima la sospensione del pagamento del canone da parte della conduttrice di immobile adibito ad esposizione commerciale, a fronte dell’inadempimento del locatore all’obbligo di provvedere alla manutenzione dell’immobile stesso, danneggiato da infiltrazioni di acqua causate dalla rottura del vaso di espansione dell’impianto di riscaldamento, le quali avevano determinato la completa inutilizzabilità dell’immobile locato)».