martedì 12 dicembre 2017

Scadenza Imu e Tasi 2017: guida al pagamento del 18 dicembre


Notizie immobiliari|Redazione

 

Il 18 dicembre i proprietari di prime case di lusso e di immobili diversi dall'abitazione principale saranno chiamati a versare la seconda rata dell'Imu e della Tasi 2017. Ma il pagamento delle imposte sulla casa nasconde non pochi problemi per i contribuenti obbligati a districarsi tra le aliquote, le rendite catastali e le modalità di calcolo. Per questo idealista ti offre un'utile guida con tutte le informazioni utili per arrivare preparati alla prossima scadenza.

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venerdì 8 dicembre 2017

I Nostri immobili “Casabook immobiliare”

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giovedì 7 dicembre 2017

Amianto in casa o in condominio: che fare?


Amianto in casa o in condominio: che fare?


Eternit: dove si trova l’amianto e quali sono gli obblighi del proprietario della casa o dell’amministratore di condominio.

Accertare la presenza di amianto in un edificio e gestirne lo smaltimento non è cosa facile e spesso presenta problematiche in tema di competenze. Il timore di possibili responsabilità dinanzi alla risposta delle autorità è, di solito, la scusa che viene frapposta quando si tratta di avviare le pratiche. Tuttavia la legge parla chiaro: il proprietario di un immobile sul quale è presente dell’amianto (Eternit) ha l’obbligo di accertarlo e dichiararlo. Ecco quindi come comportarsi in caso di amianto in casa o in condomino.

Indice

Che differenza c’è tra amianto in matrice compatta e in matrice friabile

Spesso si sente parlare di fibre di amianto libere o debolmente legate. In questo caso si tratta di amianto in matrice friabile che può essere facilmente ridotto in polvere anche con una semplice azione manuale.

Diverso il caso dell’amianto in matrice compatta, dove le fibre sono legate in modo stabile (si pensi al cemento-amianto). In tal caso, per ridurre in polvere il materiale, è necessario ricorrere all’impiego di strumenti meccanici come frese.

L’amianto è sempre pericoloso per la salute?

Su questo punto non dovrebbero più sorgere dubbi. La giurisprudenza ha riconosciuto la pericolosità delle polveri di amianto per i polmoni dell’uomo e quindi per la salute, causa spesso di malattie respiratorie e, ancor di più, di patologie tumorali. Non sono isolati i casi di risarcimenti cospicui liquidati alle famiglie delle vittime dell’amianto. La pericolosità dell’amianto resta comunque legata alla possibile dispersione delle fibre nell’aria, invisibili all’occhio umano. Ecco perché i materiali friabili sono più pericolosi di quelli stabili.

Le malattie riscontrate a causa dell’amianto possono essere di tipo respiratorio (asbestosi, carcinoma polmonare) e delle membrane sierose, principalmente la pleura (mesoteliomi). Enorme è anche il numero di tumori polmonari maligni che si verifica anche per esposizioni a basse dosi.

È stato riscontrato anche il rischio di tumori della laringe e del tratto gastrointestinale.

Tuttavia, come vedremo a breve, non tutti i siti in cui è presente amianto sono pericolosi per la salute.

Dove si trova l’amianto?

Purtroppo l’amianto si trova in un gran numero di costruzioni per via del largo uso che, in passato, ne è stato fatto. In particolare sono interessati soprattutto gli edifici costruiti prima degli anni 90. Ad esempio, parliamo del materiale a spruzzo per rivestimento (coperture, tubi, tegole, canne fumarie, serbatoi), degli intonaci, stucchi, colle, controsoffittature, pavimenti sotto forma di vinyl amianto. Così l’Eternit (materiale composto di amianto) si trova in molti edifici sottoforma di svariati componenti: tettoie o coperture su tetti e pareti di piccoli o grandi fabbricati.

L’amianto è illegale?

Proprio perché nocivo per l’uomo, l’Eternit e l’amianto sono stati dichiarati fuori legge 25 anni fa. Oggi quindi chi è proprietario di un immobile su cui c’è amianto o ne è custode (si pensi all’amministratore di condominio o al dirigente scolastico) ha l’obbligo giuridico di avvisare le autorità per l’avvio dei processi di smaltimento.

Che deve fare il proprietario di un immobile dove si trova amianto?

I proprietari degli immobili (siano essi pubblici o privati) che hanno una tettoia, un tetto o una qualsiasi copertura in amianto devono presentare immediatamente una denuncia all’Asl. Presso le Asl infatti è istituito un registro nel quale è indicata la localizzazione dell’amianto. Fatta la denuncia, l’Asl fa il sopralluogo nelle zone di sua competenza. A questo punto scatta un programma di controllo e di manutenzione gestito e coordinato da un responsabile nominato appositamente con lo scopo di prevenire i rischi per la salute e procedere allo smaltimento. Tra i suoi compiti, c’è quello di certificare dove si trova l’amianto e, di conseguenza, predisporre delle misure di sicurezza ed informare chi occupa quello stabile della presenza di questo materiale, dei rischi che comporta e di come evitare eventuali danni alla salute. Il responsabile redige un documento di «valutazione del rischio» sullo specifico sito.

Questo processo porta a due tipi di risultati:

  • l’amianto è in buone condizioni: non c’è obbligo di rimozione ma di controllo e di manutenzione;
  • l’amianto non è in buone condizioni (specialmente se sgretolato): servono rimozione e bonifica.

L’obbligo di denuncia di amianto sussiste anche prima dell’avvio di lavori di demolizione.

A chi rivolgermi per verificare se in casa c’è amianto?

La legge non lo dice. Si può optare per un professionista privato competente nel settore, pagato quindi dal proprietario dell’edificio. Si parla a riguardo della figura del «coordinatore amianto» abilitato ai sensi di legge.

Quali altri obblighi ha il proprietario della casa?

La responsabilità del controllo e della manutenzione delle coperture in amianto gravano soltanto sul proprietario dell’immobile, anche se lo è diventato il giorno prima. Il titolare dell’immobile che si accorge che, nell’edificio, è presente amianto deve designare una figura responsabile con compiti di controllo e coordinamento di tutte le attività manutentive che possono interessare i materiali di amianto. Deve poi tenere documentazione da cui risulti l’ubicazione dei materiali contenenti amianto. Su di lui ricade la responsabilità del rispetto di efficaci misure di sicurezza durante le attività di pulizia, gli interventi manutentivi e in occasione di qualsiasi evento che possa causare un disturbo dei materiali di amianto. A tale fine, dovrà essere predisposta una specifica procedura di autorizzazione per le attività di manutenzione e di tutti gli interventi effettuati dovrà essere tenuta una documentazione verificabile.

Dove va a finire l’amianto?

L’amianto deve essere trasportato in un impianto di stoccaggio, definitivamente in un impianto di discarica autorizzata specificatamente

A chi mi posso rivolgere per far rimuovere l’amianto?

A bonificare un’area con amianto non può provvedere da solo il proprietario con il “fai-da-te”; egli deve necessariamente rivolgersi a imprese abilitate iscritte all’Albo Gestori Ambientali nella categoria 10 “Bonifica dei beni contenenti amianto” (sottocategorie 10A e 10B).

Come mettere in sicurezza l’edificio?

Le coperture in eternit vanno rimosse solo se, in base alla valutazione del tecnico, comportano rischi per la salute. Altrimenti si possono eseguire altri interventi come l’incapsulamento o la sovracopertura.

Che succede se in casa vive un inquilino?

Gli obblighi di smaltimento, gestione e controllo dell’amianto competono al proprietario dell’immobile e non all’inquilino che non ha, in merito, alcuna responsabilità.

Che fare se la casa del vicino ha amianto e non fa la denuncia?

Immaginiamo il caso di avere un vicino di casa che ha, sul tetto o sulla copertura della facciata, dell’amianto. Se questi non fa la denuncia e lo smaltimento, chi vive nelle vicinanze può “denunciarlo” alle autorità. In particolare se il vicino non ha segnalato all’Asl la presenza di Eternit in evidente stato di degrado o lo ha fatto, ma non ha provveduto al suo smaltimento, è possibile rivolgersi all’Azienda sanitaria locale, ai vigili urbani o al nucleo tutela ambientale dei carabinieri e denunciarne la presenza, lo stato e il rischio. La segnalazione può anche avvenire in forma anonima ma è consigliabile sempre renderla personalmente e firmarla, affinché sia presa seriamente in considerazione.

Il vicino però non è tenuto a smaltire l’amianto se, in base alle risultanze della perizia, questo non appaia un pericolo concreto per la salute dell’uomo o per l’ambiente. Il proprietario sarà semplicemente obbligato a monitorare lo stato di degrado e ad intervenire prontamente: per evitare il rischio di spaccature, potrà chiedere a ditte specializzate di intervenire con alcune tecniche come la verniciatura con specifici smalti, l’incapsulamento o sovracopertura.

Cosa deve fare l’amministratore di condominio?

Se l’amianto è presente in un edificio condominiale, l’amministratore deve effettuare un censimento ed una mappatura dei manufatti in amianto presenti nelle parti comuni. A tal fine l’amministratore dovrà avvalersi di un tecnico abilitato che dovrà compilare un’apposita scheda. Per ottemperare a tale obbligo non è prevista alcuna approvazione assembleare trattandosi di un obbligo di legge. In presenza di manufatti contenenti amianto, l’amministratore è tenuto ad informare immediatamente l’assemblea dei condomini.

Le spese di smaltimento dell’eternit in condominio sono divise per millesimi.[1] Legge n. 257/1992.

Che fare se l’immobile del vicino è abusivo


Che fare se l’immobile del vicino è abusivo


Abuso edilizio: la denuncia alla polizia municipale, il procedimento per la demolizione e la necessità di una perizia di parte che confermi la difformità dell’opera.

Il tuo vicino ha realizzato una costruzione che, a tuo avviso, non può essere conforme al piano regolatore: difficile pensare che il Comune abbia autorizzato un’opera talmente mostruosa e così vicina alla tua casa, in palese contrasto con il quartiere e la natura. Insomma, più che il sospetto hai la certezza che si tratta di un abuso edilizio. I rapporti tra di voi non sono idilliaci e quando gli hai chiesto di vedere le autorizzazioni del Comune lui ha glissato. È tuo fermo proposito andare a fondo nella situazione ed eventualmente denunciarlo alle autorità o al giudice. Tuttavia non sai come procedere. Ecco allora questa breve guida che corre in tuo soccorso per spiegarti che fare se l’immobile del vicino è abusivo. Ti daremo i consigli su come comportarti alla luce di alcune interessanti sentenze emesse negli ultimi mesi dalla giurisprudenza.

Indice

Fai una richiesta di accesso agli atti in Comune

Se la costruzione del vicino è stata autorizzata dal Comune, esisteranno sicuramente gli atti che hanno sancito l’avvio e la conclusione del procedimento amministrativo. La cosa migliore è quindi rivolgersi all’ufficio tecnico e fare una richiesta di accesso agli atti amministrativi. Non ti può essere negato il diritto a visionare i documenti prodotti dal vicino di casa, né la risposta che gli ha dato il Comune. Infatti il diritto alla privacy finisce laddove entrano in gioco gli interessi collettivi o dei privati. Fra l’altro, con il nuovo FOIA (Freedom of Information Act), il diritto di accesso è ancora più ampio. Se farai una richiesta di visionare il fascicolo, il tuo vicino non lo saprà mai: l’amministrazione non potrà infatti informarlo della tua domanda.

Incarica un esperto tecnico

Potrebbe avvenire che il tuo vicino abbia effettivamente chiesto e ottenuto l’autorizzazione amministrativa ma che poi non si sia attenuto ai progetti presentati al Comune. L’abuso edilizio, in tal caso, consiste nelle divergenze tra l’opera autorizzata e quella eseguita. Attento però a questo passaggio: se ritieni vi sia un abuso, non puoi rivolgersi direttamente al giudice, ma devi prima valerti della perizia di un tecnico da te incaricato che verifichi l’eventuale irregolarità dell’opera. Difatti, con una recente sentenza [1], il Tar Lombardia ha detto che, nel causa volta a ottenere la demolizione della costruzione abusiva, non si può chiedere al giudice di nominare un consulente tecnico che vagli se il proprietario ha chiesto o si è attenuto al permesso a costruzione rilasciato dal Comune. Il cosiddetto Ctu (ossia il consulente tecnico d’ufficio) non ha funzioni “esplorative”, volte a verificare se sussiste o meno una determinata situazione lamentata dalla parte; è necessario che il ricorrente presenti delle prove concrete per sostenere la tesi dell’abuso edilizio. E in questo caso, tali prove consistono nella perizia rilasciata da un professionista di fiducia, svolta prima di iniziare la causa.

La consulenza tecnica d’ufficio non può sgravare la parte dell’onere della prova. E nel processo sono legittime soltanto le consulenze “deducenti”, quelle cioè che servono a valutare i fatti accertati e acquisiti nel corso del procedimento.

La denuncia alla polizia municipale dell’abuso edilizio

Se non intendi pagare un avvocato e fare causa al vicino, ma nello stesso tempo l’irregolarità è tanto grave da ledere i tuoi diritti, puoi denunciare l’abuso edilizio del vicino alla polizia municipale del Comune ove è ubicato l’immobile in questione. Il vicino non saprà subito che lo hai denunciato ma se dovesse fare un’istanza di accesso agli atti per sapere come ha avuto luogo il procedimento verrebbe a conoscenza della tua identità [2]. Il comando della polizia locale non può negare l’accesso appellandosi al fatto che è stata ormai comunicata una notizia di reato e, quindi, vi sarebbe il segreto istruttorio. I

A seguito della denuncia dell’abuso edilizio commesso dal vicino, iIl Comune sarà tenuto ad avviare il procedimento per verificare la sussistenza dell’abuso.

In alternativa al Comune puoi rivolgerti alla Procura della Repubblica del Tribunale del luogo ove è stato commesso il fattaccio.

L’esposto deve contenere:

  • una descrizione precisa dell’opera in corso di realizzazione o già realizzata;
  • l’indicazione della proprietà e l’indirizzo dell’immobile oggetto del presunto abuso.

Entro quanto tempo va fatta la denuncia dell’abuso edilizio?

Non ci sono termini massimi per procedere alla denuncia dell’abuso edilizio. Sebbene infatti il reato si prescriva in 4 anni (5 se c’è stato il rinvio a giudizio), l’ordine di demolizione può essere sempre impartito, senza limiti di tempo, anche nei confronti dei successivi acquirenti dell’immobile.

Se il Comune non fa nulla per abbattere l’abuso edilizio

Se la tua istanza al Comune non viene presa in considerazione, hai diritto a sapere le ragioni del mancato riscontro. L’ente locale deve dirti cioè perché non ha inteso attivarsi. Secondo il Tar Lazio [3], il cittadino leso dall’altrui manufatto abusivo, già interessato da un ordine di demolizione, ha il sacrosanto diritto di diffidare la pubblica amministrazione a completare il procedimento e a procedere alla materiale demolizione dell’opera abusiva. La P.A., dal canto suo, non può ignorare la richiesta del vicino di casa leso dalla costruzione irregolare, dovendo quantomeno rispondere all’istanza presentata in merito alla non ancora compiuta demolizione.

Che fare se il Comune non si attiva per abbattere l’abuso edilizio?

Il cittadino che abbia segnalato al Comune l’abuso edilizio commesso da un vicino di casa deve dare all’ente 30 giorni di tempo per rispondere. Se però l’amministrazione non dà segni di vita, l’interessato può ricorrere al giudice amministrativo (il Tar) affinché dichiari l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune in ordine alla diffida con cui gli si chiedeva di verificare l’illegittimità dei lavori. Il giudice, accertata la colpevole inerzia dell’ente locale, ordina al Comune di riscontrare la diffida del cittadino e, di conseguenza, di provvedere all’ordine di demolizione. Inoltre, per evitare ulteriori inadempienze o ritardi, il Tar nomina un «commissario ad acta» nella persona del Prefetto o di un suo delegato il quale, in qualità di funzionario governativo, presiederà al controllo che il Comune adempia ai suoi obblighi e faccia abbattere al vicino di casa la costruzione abusiva.

note

[1] Tar Lombardia, sent. n. 2209/17 del 21.11.2017.

[2] Tar Lazio sent. n. 11188/2015.

[3] Tar Lazio sent. n. 12853 del 12.11.2015.

[4] Tar Campania, sez. Salerno, sent. n. 522/17 del 25.01.2017.

Come rinunciare alla proprietà di un immobile


Come rinunciare alla proprietà di un immobile


Come liberarsi della proprietà di una casa, un terreno o un fondo rustico scomodo e costoso a favore di altri comproprietari in comunione o dello Stato.

Se anche è vero che le case e i terreni sono beni di lusso e, quindi, si fanno spesso molti sforzi per acquistarli, non mancano situazioni in cui, al contrario, c’è chi se ne vorrebbe disfare. Ciò avviene quando la proprietà diventa solo una fonte di spese, tasse e responsabilità, senza però comportare alcun vantaggio concreto. In tali casi è ricorrente chiedersi come rinunciare alla proprietà di un immobile?

La situazione è tutt’altro che rara. La crisi ha ridotto il portafoglio delle famiglie che, un tempo, potevano permettersi di “parcheggiare” un immobile e tenerlo inutilizzato per anni, in attesa dell’occasione buona per venderla. Le tasse sugli immobili, poi, sono diventate insopportabili per molte famiglie, costrette così a sbarazzarsi della proprietà scomoda. Rinunciare alla proprietà di un immobile è quindi necessario in numerose occasioni. Facciamo qualche esempio.

Insieme ai tuoi fratelli e cugini sei proprietario di un piccolo appezzamento di terra, lontano dalla città e non coltivabile. La quota di cui disponi è tanto bassa da rendere del tutto inutile il tuo diritto di proprietà. Insieme a questo hai un decimo di un rustico diroccato e cadente, ereditato dal nonno, che nessuno degli altri coeredi comproprietari vuol vendere. Paventi di dover, prima o poi, sopportare le spese di ristrutturazione che, per te, sarebbero solo un costo visto che l’immobile non può essere vissuto e sfruttato. In più c’è il rischio di dover risarcire chi, eventualmente, possa essere danneggiato da quella baracca e dalle acque di ristagno che si sono formate attorno. Come se non bastasse, oltre ai costi di manutenzione devi anche pagare le tasse e, trattandosi di seconda casa, non sono affatto basse.

C’è un ultimo aspetto che ti preoccupa, questa volta collegato al fatto che hai alcuni debiti con l’Agenzia delle Entrate Riscossione. Prima del lascito ereditario avevi una sola proprietà: la casa dove vivevi, la quale, in quanto «unica», non era pignorabile. Con la situazione venutasi a creare, invece, la sia pur minima quota ereditata ha fatto sì che anche la «prima casa» sia divenuta pignorabile (perché non più «unica»).

A questo punto non hai scelte: vendere la nuova proprietà. Ma non è facile trovare un acquirente che, al posto tuo, voglia assumersi i costi e le responsabilità di una proprietà inutilizzabile. Che fare in questo caso? Come rinunciare alla proprietà di un immobile?

La legge ammette due soluzioni differenti, a seconda che tu sia un comproprietario o l’unico proprietario. Vediamole qui di seguito

Come rinunciare alla proprietà in comunione 

Se sei titolare solo di una quota di un immobile puoi sempre liberarti della tua parte rinunciando alla comproprietà.

La rinuncia determina un automatico incremento delle quote degli altri comproprietari. In pratica la tua precedente quota fa espandere il diritto degli altri. I restanti contitolari del bene non possono impedirti di rinunciare alla quota sull’immobile; possono al massimo decidere anch’essi, a loro volta, di abbandonare la loro quota, e ciò sino a quanto il proprietario non diventi un’unica persona (anche in questo caso, come vedremo più avanti, questi si può sbarazzare del bene).

Ad esempio, se un terreno è di proprietà di quattro fratelli, ciascuno dei quali ha un quarto (ossia il 25%), la rinuncia da parte di uno di questi comporta che gli altri tre ottengono un’espansione della propria quota che, da un quarto, passa a un terzo (il 33%).

Ogni rinuncia alla comproprietà rende più “ricchi” i restanti comproprietari che vedranno incrementare le proprie quote.

Ci sono due tipi di rinunce:

  • rinuncia abdicata: il comproprietario rinunciante non è tenuto a sopportare tutte le spese dell’immobile successive alla cessione della sua quota, ma deve sostenere quelle sorte prima del giorno della rinuncia;
  • rinuncia liberatoria: è quella più usata; consente di evitare tutte le spese derivanti dall’immobile, non solo quelle future ma anche quelle passate. In pratica il comproprietario cede la sua quota, ma in compenso si libera di tutte le spese.

Non è possibile rinunciare alla proprietà di un immobile solo nel caso in cui questi sia un bene condominiale. Il codice civile [1] vieta inderogabilmente la rinuncia alla comproprietà delle parti comuni dell’edificio o, magari, di quelle strade di accesso che sono in comune tra i proprietari di immobili.

Quanto costa rinunciare alla proprietà di un immobile in comunione? È necessario andare dal notaio il quale deve redigere un atto di donazione. L’imposta da pagare varia a seconda del grado di parentela che c’è tra il rinunciante e gli altri comproprietari. Ad esempio, per i passaggi di proprietà in linea retta, ossia tra padre, figli e nipoti, non ci sono imposte se il valore del bene donato è inferiore a un milione di euro. Per i passaggi tra fratelli, invece, l’imposta è del 6% del valore dell’immobile, ma fino a 100mila euro non si paga nulla. Per i cugini, infine, l’imposta è sempre al 6% ma non c’è alcuna franchigia e si paga anche per valori minimi.

Come rinunciare alla proprietà a favore dello Stato

Se il proprietario dell’immobile è uno solo, anche questi può rinunciare alla proprietà del bene. Poiché, in tale ipotesi, non vi sono contitolari la cui quota viene arricchita, la proprietà integrale del bene passa direttamente allo Stato. A dirlo è il codice civile [2], anche se è capitato che l’Agenzia del Demanio abbia creato qualche ostacolo a tale prassi. A confermare però il diritto del cittadino di rinunciare alla proprietà a favore dello Stato è anche uno studio del Consiglio de Notariato [3].

Quanto costa rinunciare alla proprietà di un immobile a favore dello Stato? Anche in questo caso è necessario recarsi da un notaio e fare una donazione. L’aliquota sulla cessione a favore dello Stato è sempre dell’8%.

note

[1] Art. 1118 cod. civ.

[2] Art. 827 cod. civ.

[3] Studio del Consiglio nazionale del notariato (n. 216-2014/C del 21 marzo 2014.

Mutuo per coprire un altro mutuo: è legittimo?


Mutuo per coprire un altro mutuo: è legittimo?


Se nel contratto di mutuo viene specificata una specifica finalità per la quale i soldi vengono dati in prestito, questi non possono servire per ripianare un precedente debito.

Hai un debito molto elevato per un mutuo che non sei riuscito a pagare e che, nel frattempo, ha maturato molti interessi. Ora la somma complessiva è lievitata e va ben oltre le tue possibilità. Nello stesso tempo la banca ti ha diffidato e vuole l’immediata restituzione delle somme. In una situazione del genere nessun’altra banca ti concederà un finanziamento. A sorpresa però è lo stesso direttore della banca creditrice a proporti una soluzione. L’offerta prevede la concessione di un nuovo mutuo che andrà a coprire ed estinguere integralmente il debito precedente; per te partirà da zero un nuovo piano di rate, spalmato su più anni. Insomma, ti viene concesso un mutuo per coprire un altro mutuo: è legittimo un contratto del genere? La questione è stata più volte risolta dalla giurisprudenza – in ultimo con una sentenza di due giorni fa [1] – nei termini di cui a breve diremo.

Esistono due generi di mutui: quelli legati a uno scopo predeterminato, in cui le somme vengono erogate al cliente affinché questi le utilizzi secondo le finalità specificate nel contratto, e quelli invece “liberi”, dove cioè la banca si limita a pretendere un’ipoteca a propria garanzia, senza imporre al cliente un particolare uso del denaro. Nella prima ipotesi si parla di mutui di scopo e sono quelli, ad esempio, destinati alle ristrutturazioni di case ed aziende. Nel secondo caso invece si parla più genericamente di mutuo fondiario. Ebbene, la possibilità di avere un mutuo per coprire un altro mutuo è legata unicamente alla tipologia di finanziamento siglato dal cliente. In particolare, solo nel caso di mutuo di scopo è vietato l’impiego della disponibilità per scopi differenti da quelli convenuti in contratto come, appunto, il ripianamento di precedenti debiti.

Invece, il mutuo fondiario non è un mutuo di scopo e non è un elemento essenziale la destinazione della somma data in prestito per determinate finalità. Pertanto l’utilizzo, da parte del mutuatario, delle somme ricevute dalla banca mutuante per estinguere delle precedenti passività accumulate (anche da parte di un altro soggetto come ad esempio il proprio figlio) nei confronti della banca medesima è del tutto lecito.

La questione è stata affrontata, nei medesimi termini, anche dalla Cassazione, da ultimo con una ordinanza dello scorso mese [2] (leggi Mutuo per coprire il debito con la banca di un precedente mutuo). Anche la Corte ha detto che il mutuo di scopo è nullo quando sia stato stipulato, tra la banca e il mutuatario, allo scopo di usare i soldi per una diversa finalità da quella indicata in contratto.

Per quanto strano possa sembrare, non sono poche le banche che commettono questo illecito. Tanto è vero che il precedente della Cassazione è tutt’altro che isolato. Già numerose volte, in passato, i giudici supremi hanno dichiarato nullo il mutuo per coprire il debito con la banca lasciato da un precedente mutuo non pagato.

Qual è la conseguenza? Il mutuo è illegittimo. In altri termini il cliente può anche fare a meno di restituire le somme poiché il giudice, nell’accertare lo sviamento della finalità per la quale il prestito è stato concesso, non potrà che dichiararlo nullo.

Fra l’altro non ci sono “termini di scadenza” per agire: la nullità, infatti, può essere fatta valere in qualsiasi momento senza termini di scadenza.

note

[1] Trib. Chieti sent. n. 219/17 del 2.11.2017.

[2] Cass. ord. n. 24699/17 del 19.10.2017.

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