sabato 29 ottobre 2016

Casa: dal 2011 +150% di tasse.

f_2a5e0c2080de97e80719cb703326c509

Dal governo Monti in poi la casa ha subito un assalto fiscale del 150%.

Sono semplici ma puntuali le soluzioni proposte da confedilizia:

Introduzione di una cedolare secca per le locazioni commerciali, con avvio sperimentale per nuove attività aperte in locali sfitti o per i “negozi di vicinato”

  • Equiparazione del trattamento fiscale dei canoni di locazione abitativi e non abitativi non percepiti;
  • Previsione di un limite del 4 per mille alla somma delle aliquote Imu-Tasi per i contratti di locazione a canone calmierato (“concordati” e per studenti universitari);
  • Proroga per un quadriennio della cedolare secca al 10 per cento per i contratti di locazione a canone calmierato;
  • Ripristino della deduzione Irpef del 15 per cento per i redditi da locazione;
  • Soppressione dell’Irpef sugli immobili non locati.

Agevolazioni prima casa: residenza nel comune o nell’immobile

Per ottenere le agevolazioni prima casa è obblgatoria la residenza nel comune entro 18 mesiLe agevolazioni prima casa consentono di ottenere uno sconto sull’IVA o sull’imposta di registro purché si rispettino una serie di condizioni: tra queste la residenza nell’immobile nel comune in cui è situato. Vediamo nel dettaglio come funziona tale requisito, quali sono i casi particolari da tener presenti e cosa fare nel caso di decadenza dei benefici per evitare i pagare sanzioni.

Acquisto prima casa residenza obbligatoria

Le agevolazioni prima casa possono essere ottenute per l’acquisto di un immobile adibito a prima abitazione non di lusso, ossia classificabile in una delle seguenti categorie catastali:

  • A/2 – abitazioni di tipo civile
  • A/3 – abitazioni di tipo economico
  • A/4 – abitazioni di tipo popolare
  • A/5 – abitazioni di tipo ultra popolare
  • A/6 – abitazioni di tipo rurale
  • A/7 – abitazioni in villini
  • A/11 – abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi

Il requisito della prima abitazione comporta che l’immobile per il quale si richiedono le agevolazioni prima casa deve essere situato nel comune in cui l’acquirente risiede oppure nel quale si impegna a trasferire la residenza entro 18 mesi, come vedremo più nel dettaglio di seguito.
La residenza nell’immobile o nel comune non è obbligatoria per il personale delle forze armate e delle forze di polizia.

Per richiedere le agevolazioni prima casa inoltre il compratore:

  • Non deve essere titolare, neanche in comunione con il coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione su un’altra abitazione situata nello stesso comune in cui si trova l’immobile per il quale si richiedono le agevolazioni fiscali
  • Non deve essere titolare, neanche per quote o in comunione legale, di diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su un’altra abitazione acquistata con agevolazioni per l’acquisto della prima casa, anche dal coniuge, su tutto il territorio nazionale

Agevolazioni prima casa residenza entro 18 mesi

Se il compratore non risulta residente nel comune in cui è situato l’immobile che intende acquistare può richiedere ugualmente le agevolazioni prima casa, purché si impegni a trasferire la residenza nell’immobile o nel comune entro 18 mesi dall’acquisto.
Le agevolazioni prima casa possono essere richieste anche per un immobile situato in un comune diverso da quello in cui l’acquirente ha la propria residenza nei seguenti casi:

  • L’abitazione si trova nel territorio del comune in cui l’acquirente svolge la propria attività, comprese quelle svolte senza remunerazione, come ad esempio attività di studio, di volontariato e sportive
  • In caso di trasferimento all’estero per ragioni di lavoro, nel territorio del comune in cui ha sede o esercita l’attività l’impresa o il soggetto da cui dipende
  • Per i cittadini italiani emigrati all’estero, l’abitazione può essere situata su tutto il territorio nazionale, purché si tratti di prima casa

Cambio di residenza dopo acquisto prima casa

Il cambio di residenza si considera avvenuto nella data in cui l’acquirente rende al Comune la dichiarazione di trasferimento. Come detto, ciò deve avvenire entro 18 mesi dalla data di acquisto dell’immobile. In caso di mancato trasferimento della residenza si perdono i benefici acquisiti, come vedremo nel dettaglio di seguito.

Agevolazioni prima casa residenza entro 5 anni

Chi ottiene le agevolazioni per l’acquisto della prima casa è tenuto a mantenere la residenza per 5 anni nell’immobile o nel comune in cui questo è situato, pena la perdita dei benefici fiscali.
Se l’abitazione è venduta o donata prima che siano trascorsi 5 anni è possibile mantenere le agevolazioni prima casa se entro un anno:

  • Si acquista un altro immobile da adibire ad abitazione principale, anche a titolo gratuito. Tale requisito non può essere soddisfatto dalla stipula di un contratto preliminare di compravendita – il cosiddetto compromesso – ma è necessario concludere il contratto definitivo.
  • Si acquista un altro immobile in uno stato estero, purché esistano strumenti di cooperazione amministrativa che consentano di verificare che la casa acquistata è stato adibita a prima abitazione
  • Si acquista un terreno e si realizza un’abitazione principale. Non è necessario ultimare i lavori, è sufficiente costruire un fabbricato non di lusso, comprensivo delle mura perimetrali delle singole unità e della copertura.

Decadenza agevolazioni prima casa

In caso di mancato rispetto dei requisiti fissati dalla legge per ottenere le agevolazioni prima casa si verifica la decadenza dei benefici, con la necessità di versare le imposte ordinarie, gli interessi e una sanzione del 30% delle imposta. Esistono tuttavia delle procedure che l’acquirente può seguire per evitare sanzioni. Leggi il nostro post sulla decadenza agevolazioni prima casa per scoprire cosa fare

Decadenza agevolazioni prima casa: cosa fare

in Acquisto prima casa, Agevolazioni e incentivi / il 30 agosto 2016 alle 05:00

Decadeza agevolazioni prima casa: i chiarimenti dell'Agenzia delle entrateLa decadenza delle agevolazioni prima casa si verifica quando vengono a mancare i requisiti in virtù dei quali era stato ottenuto il beneficio. I casi più frequenti sono rappresentati da:

  • Mancato trasferimento della residenza
  • Vendita dell’immobile entro il quinquennio e mancato riacquisto

A seguito delle novità introdotte dalla Legge di stabilità si configura inoltre l’ipotesi del possessore di un immobile acquistato godendo delle agevolazioni prima casa che acquista una nuova abitazione usufruendo dei benefici ma non riesce a vendere il primo immobile entro l’anno.
L’Agenzia delle Entrate ha recentemente fornito chiarimenti in merito a tutte queste ipotesi. Vediamo quindi in cosa consiste la perdita dei requisiti e cosa fare per evitare di subire sanzioni.

Agevolazioni prima casa: requisiti

I requisiti per ottenere le agevolazioni per l’acquisto della prima casa sono fissati dal Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro – d.p.r. 131 del 1986.

La prima condizione è avere la residenza nel comune in cui si acquista la casa o impegnarsi a trasferire la residenza nel entro 18 mesi dall’atto di acquisto. Sono previste alcune eccezioni:

  • l’acquirente può richiedere i benefici per un immobile situato nel comune in cui esercita la propria attività, se diverso da quello di residenza
  • in caso di trasferimento all’estero per motivi di lavoro, il richiedente può ottenere gli sgravi fiscali per l’acquisto della prima casa nel comune in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende.
  • gli italiani emigrati all’estero possono godere delle agevolazioni su tutto il territorio nazionale, purché l’acquisto sia finalizzato alla prima casa.
  • l’obbligo della residenza non si applica al personale in servizio permanente delle forze armate e delle forze di polizia ad ordinamento militare o civile.

Gli ulteriori requisiti riguardano il possesso di altre abitazioni:

  • Non essere titolari di diritti di proprietà, usufrutto, uso o abitazione di un’altra casa nel territorio del comune in cui si acquista l’abitazione. La titolarità è intesa sia in senso esclusivo, sia in comunione con il coniuge
  • Non essere titolari, neanche per quota o in regime di comunione legale di diritti di proprietà, di diritti di usufrutto, uso, abitazione o nuda proprietà, su un’altra casa con le agevolazioni prima casa

Tali condizioni trovano una parziale deroga nelle novità introdotte dalla Legge di stabilità 2016, che consente a chi possiede già un’abitazione ottenuta con i benefici per la prima casa di godere degli stessi benefici per acquistare una nuova abitazione – ubicata nello stesso comune o in un comune diverso – purché si impegni a trasferire il primo immobile entro un anno dalla data dell’acquisto. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la possibilità di richiedere il regime agevolato non si applica a chi è già titolare di un’abitazione, acquistata senza fruire delle agevolazioni per la prima casa, nello stesso comune in cui è situata l’abitazione per la quale si vogliono richiedere i benefici.

Le agevolazioni si applicano sia ai trasferimenti a titolo oneroso, sia a quelli gratuiti, come le donazioni, mentre non si applicano alle case che presentino caratteristiche di lusso.
Chi beneficia di agevolazioni per la prima casa si impegna a non trasferire l’immobile a terzi per almeno 5 anni dalla data dell’acquisto.

Decadenza agevolazioni prima casa e sanzioni

La decadenza delle agevolazioni prima casa si verifica quando il beneficiario non intende o non può assolvere agli impegni assunti al momento dell’acquisto, ovvero:

  • L’acquirente non trasferisce la propria residenza nel comune in cui è situato l’immobile oggetto degli sgravi fiscali entro 18 mesi dalla data dell’acquisto
  • Il beneficiario procede all’alienazione dell’immobile acquistato con le agevolazioni entro il successivo quinquennio, ma non acquista entro un anno un’altra casa da adibire ad abitazione principale
  • Il beneficiario acquista una seconda casa godendo del regime fiscale agevolato, ma non procede all’alienazione – a titolo oneroso o gratuito – del precedente immobile entro un anno dalla data dell’acquisto

La decadenza delle agevolazioni prima casa comporta il pagamento dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria e di una sovrattassa pari al 30% delle stesse imposte.

La decadenza non si verifica, pur in presenza delle circostanze sopra menzionate, quando intervengono cause di forza maggiore. L’Agenzia delle Entrate ha in genere seguito una interpretazione piuttosto restrittiva di tali fattori, spesso – ma non sempre – confermata dalla giurisprudenza. Secondo l’Istituto, per cause di forza maggiore si intendono impedimenti oggettivi, imprevedibili e inevitabili, non imputabili alla parte obbligata. Una causa di forza maggiore è, ad esempio, una calamità che colpisce l’intero comune, impedendo in modo oggettivo e non controllabile dal beneficiario il trasferimento della residenza. Il mancato rilascio dell’abitazione da parte del precedente proprietario o il mancato completamento dei lavori di ristrutturazione non impediscono invece, secondo l’Agenzia delle Entrate, la decadenza delle agevolazioni. L’acquirente infatti è obbligato a trasferire la residenza all’interno del comune, ma può stabilirsi in un’abitazione diversa da quella acquistata.

Cosa fare in caso di decadenza agevolazioni prima casa

È possibile evitare il pagamento di sanzioni comunicando all’Agenzia delle Entrate che non si possiedono più i requisiti per le agevolazioni prima casa entro i termini previsti per i diversi obblighi menzionati, ossia 18 mesi nel caso di trasferimento di residenza, 12 mesi nel caso di alienazione senza riacquisto o nuovo acquisto senza alienazione.

La comunicazione si effettua presentando apposita istanza all’ufficio in cui è stato registrato l’atto chiedendo di revocare gli impegni assunti. In questo modo sarà possibile pagare le imposte di trasferimento in misura ordinaria e i relativi interessi, al netto delle somme già versate, mentre non sarà dovuta la sovrattassa del 30% delle imposte.

Se i termini previsti dalla legge per il rispetto degli impegni assunti sono scaduti si verifica la decadenza delle agevolazioni prima casa. Attraverso il ravvedimento operoso è possibile pagare una sanzione ridotta, presentando istanza all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate presso il quale è stato registrato l’atto e comunicando l’intervenuta decadenza dell’agevolazione. Il ravvedimento operoso è possibile quando la decadenza non è stata già constatata dall’Agenzia delle Entrate.

Prezzi delle case: ancora in calo nel secondo trimestre

 

Indici dei prezzi delle case IPAB II trimestre 2013 - II trimestre 2016. Fonte: Istat

Indici dei prezzi delle case IPAB II trimestre 2013 – II trimestre 2016. Fonte: Istat

Prosegue il calo dei prezzi delle case in Italia nel secondo trimestre 2016. Ad annunciarlo è il rapporto di Eurostat, che arriva a distanza di pochi giorni dai dati trimestrali Istat.

Andamento mercato immobiliare: salgono le compravendite, scendono i prezzi delle case

Sul fronte delle compravendite la Nota trimestrale dell’OMI, Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate, aveva confermato nel secondo trimestre 2016 la ripresa del mercato immobiliare italiano, con incrementi a doppia cifra in tutti i settori. Un rialzo che secondo l’OMI è imputabile proprio alla diminuzione dei valori nominali intervenuta negli ultimi trimestri e ai tassi di interessi sui mutui particolarmente vantaggiosi.

Prezzi delle case: -1,4% in Italia secondo Eurostat

I dati provvisori del rapporto Eurostat relativo all’andamento del mercato immobiliare nel secondo trimestre 2016 registrano in Italia un calo dei prezzi delle case pari a -1,4% su base annua e -0,4% rispetto al trimestre precedente.

Le performance dello stivale risultano in controtendenza rispetto alla media dei paesi dell’Eurozona, dove i prezzi dell’immobiliare hanno fatto registrare un aumento del 2,9% rispetto al 2015 e dell’1,4% su base trimestrale. Tra i paesi che hanno registrato aumenti più consistenti su base annuale Lettonia e Ungheria con +10,3%, Austria +9%, Gran Bretagna +8,8% e Svezia +8,7%. Oltre all’Italia prezzi delle case in calo a Cipro, dove l’indice si attesta a -8,9%.

L’analisi trimestrale vede di nuovo in testa la Lettonia con +6,6%. Seguono Estonia, Lituania e Portogallo con +3,1% e Gran Bretagna +3%, mentre i cali maggiori, oltre all’Italia, interessano Croazia e Cipro con -0,9 e Ungheria -0,2%.

Calo prezzi delle case: per Istat dipende dal mercato del nuovo

Il rapporto Eurostat permette dunque di contestualizzare nel mercato immobiliare UE le stime preliminari diffuse dall’Istat. L’istituto di statistica specifica che la flessione è imputabile principalmente a un calo dei prezzi delle nuove abitazioni passato rispetto al trimestre precedente da -0,5% a -2,3%. Una diminuzione quasi doppia rispetto alle abitazioni esistenti, stabili a -1,2%.

Nel secondo trimestre 2016, sulla base delle stime preliminari, l’indice dei prezzi delle abitazioni (IPAB) acquistate dalle famiglie, sia per fini abitativi sia per investimento, diminuisce dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e dell’1,4% nei confronti dello stesso periodo del 2015 (era -1,0% nel trimestre precedente).

Su base semestrale i prezzi delle case diminuiscono dell’1,2% rispetto allo stesso periodo del 2015.
Il tasso di variazione acquisito dell’IPAB per il 2016, ossia l’andamento medio annuo se i prezzi restassero invariati, risulta quindi negativo e pari a -1,2%, contro -0,9% nel primo trimestre 2016.
Analizzando l’andamento del mercato immobiliare nel lungo periodo emerge una maggiore tenuta del mercato del nuovo rispetto all’usato: se dal confronto con il 2010 i prezzi delle case sono scesi del 15,1%, tale percentuale è imputabile in larga misura alle abitazioni esistenti, in calo del -19,9%, mentre le nuove fanno registrare un più contenuto -3,8%.

Bonus casa e sismabonus: ecco cosa ci aspetta nel 2017.

 

Proroga bonus casa 2017.

Prorogate le agevolazioni fiscali per la casa con la Legge di Stabilità 2017.

L’agevolazione Irpef al 50% per chi ristruttura una casa è stata prorogata di un anno, fino al 31 dicembre 2017, mentre la detrazione del 65% per il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici è stata estesa fino al 2021. Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo scorso 15 ottobre lo schema della Legge di Stabilità per il 2017 estendendo i bonus casa anche a condomini e alberghi. La novità principale riguarda il sismabonus, ovvero gli incentivi per la ricostruzione post-sisma per i quali sono stati stanziati 4,5miliardi di euro.

L’intera manovra avrà una copertura economica di 26,5 miliardi di euro. Se per la manutenzione degli appartamenti la detrazione del 65% prevede un tetto massimo di 40 mila euro di spesa, per i condomini la percentuale di credito Irpef sale al 70% per gli interventi di isolamento a cappotto e al 75% per lavori di miglioramento della prestazione energetica invernale ed estiva certificati. La detrazione verrà rimborsata, come sempre, in dieci anni tramite dichiarazione dei redditi; cadono così le ipotesi che volevano l’applicazione dello sconto diretto per tutti i proprietari di appartamenti in condominio. Prorogato di un anno anche il bonus per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe energetica non inferiore ad A+ (A per i forni).

Il sismabonus e il piano “Casa Italia”.

Per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto il 24 agosto scorso è stato stanziato un superincentivo che può arrivare all'85% della spesa per i condomini a seconda dell'entità di miglioramento della classe di rischio ottenuta con i lavori incentivati, e all’80% per le abitazioni singole. Anche in questo caso l’agevolazione è prevista fino al 2021, per un tetto di spesa di 96 mila euro all’anno. Il sismabonus, come già annunciato dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio, è esteso anche alle seconde case e alle attività produttive che si trovano nelle zone a più alto rischio sismico, classificate come 1 e 2, ma anche nella zona 3. Tra le spese detraibili rientreranno anche quelle per la classificazione e verifica sismica. Sarà, inoltre, possibile cedere la detrazione sulle parti comuni dei condomini a soggetti terzi. La cifra complessiva prevista per finanziare gli interventi di adeguamento antisismico si aggirano su 1,5 miliardi di euro. La misura confluirà nel progetto “Casa Italia”, un piano di manutenzione con il quale il Governo conta di adeguare gli edifici presenti sul territorio nazionale – pubblici e privati – alle leggi dell’antisismica e per la prevenzione del dissesto idrogeologico e la riqualificazione delle periferie.

Cedolare secca e detassazione delle attività commerciali: cosa manca nella Legge di Stabilità 2017.

Tutti d’accordo con il capitolo bonus inserito nella Legge di Stabilità 2017, ma nel ddl mancano alcune misure a favore degli affitti fortemente attese, in particolare la stabilizzazione della cedolare secca al 10% per le locazioni a canone concordato. La riduzione della cedolare, con il passaggio da un’aliquota del 15% a quella del 10%, era stata introdotta nel 2014 con il Piano Casa e prevista fino al 31 dicembre 2016. La misura ha contribuito in larga parte alla preferenza del regime alternativo rispetto al tradizionale Irpef, facendo registrare nel 2015 il 17,9% in più di utilizzo della cedolare secca, incrementando inoltre l’aumento della frequenza dei contributi versati.

 

Un successo, quello della cedolare secca ridotta per le abitazioni, che da più parti chiedono venga bissato anche per gli affitti degli immobili ad uso diverso dall’abitativo come negozi e uffici, per contribuire alla ripresa delle attività commerciali in forte crisi negli ultimi anni. Secondo i calcoli di Confedilizia, la tassazione sugli immobili di questo tipo erode l’80% dei redditi, mentre defiscalizzare il mercato immobiliare per le imprese significherebbe far ripartire gli investimenti.

L’iter del decreto è appena iniziato: dopo la convalida della Commissione Europea dovrà seguire i consueti passaggi in Parlamento. C’è ancora tempo, quindi, perché vengano inseriti gli emendamenti a favore degli affitti di cui si sente, al momento, pesantemente la mancanza.

martedì 25 ottobre 2016

Mutui, maggiori tutele per i sottoscrittori: dalle informazioni alle regole per gli annunci pubblicitari

 

Maggiore trasparenza e protezione ai consumatori che chiedono un mutuo. E’ questo l’obiettivo del decreto 29 settembre 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.241 del 14 ottobre, emanato dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) con l’obiettivo di dare attuazione alle norme del Testo unico bancario in tema di credito immobiliare ai consumatori. Vediamo i punti salienti.

Le informazioni devono essere corrette, chiare, comprensibili e non ingannevoli

Rendere ai consumatori informazioni corrette, chiare, comprensibili e non ingannevoli, adeguate allo strumento di comunicazione utilizzato, alle caratteristiche del contratto di credito e, quando personalizzate, alle esigenze del consumatore, così da favorire il confronto tra le diverse offerte di credito sul mercato e di consentire al consumatoredi valutarne le implicazioni e assumere una decisione informata e consapevole in merito alla conlcusione del contratto di credito. E’ questo quanto sollecitato dal Cicr.

Come devono essere i documenti

Quando le informazioni sono contenute in documenti, questi ultimi devono essere redatti secondo modalità che ne assicurino la leggibilità grafica, la semplicità sintattica, la chiarezza lessicale, la logicità di struttura e devono essere presentati in modo coerente con lo strumento di comunicazione utilizzato.

Le regole per gli annunci pubblicitari

Sul fronte degli annunci pubblicitari, la richiesta del Cicr è che contengano un esempio rappresentativo chiaro, conciso e realistico. Se poi non riportano il tasso di interesse o altre cifre concernenti il costo del credito, gli annunci devono specificare la propria natura di messaggio pubblicitario e indicare che è a disposizione della clientela la documentazione prevista per l’informativa precontrattuale.

L’informativa precontrattuale

Per quanto riguarda l’informativa precontrattuale, il decreto spiega che prima della conclusione del contratto di credito la banca deve assicurare che il consumatore possa ottenere agevolmente e gratuitamente chiarimenti che gli consentano di valutare se il contratto proposto sia adatto alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria. La banca deve poi rispondere alle domande formulate dal consumatore sulla documentazione precontrattuale fornitagli, sulle caratteristiche del contratto proposto e sugli effetti che possono derivargli a seguito della sua conclusione.

I finanziamenti in valuta estera

Secondo quanto stabilito dal decreto, il consumatore ha il diritto di convertire la valuta estera in cui è denominato il credito, quando, rispetto al momento della conclusione del contratto, si è verificata una variazione del tasso di cambio pari o superiore al 20%. Per l’esercizio del diritto di conversione, il consumatore può essere tenuto a pagare al finanziatore, se previsto dal contratto di credito, un compenso onnicomprensivo che tenga conto della natura e dell’entità degli oneri che il finanziatore può essere tenuto a sostenere in relazione alla conversione del finanziamento in una valuta diversa da quella in cui era denominato il credito al momento della concusione del contratto.

I vantaggi e i rischi del comprare una casa seguendo l’istinto

 

Immaginate di voler comprare un appartamento e di aver già visto dieci immobili. Nella testa ci sono un gran numero di informazioni, ma c’è anche tanta confusione. Quale sarà il migliore? C’è qualcosa che mi è sfuggito? Gli psicologi ritengono che quando ci troviamo di fronte a una scelta difficile, a volte il nostro subconscio prende le decisioni migliori.

Ecco cosa è accaduto al professore Ap Dijksterhuis dell’Università Radboud in Olanda. Recatosi ad Amsterdam per prendere il suo posto di docente, ha dovuto comprare immediatamente una casa. In un saggio sull’inconscio, ha scritto: “Gli appartamenti erano costosi e difficili da acquistare. Gli agenti immobiliari invitavano tutti gli interessati nello stesso momento, in modo che il primo che faceva un’offerta si prendeva la casa”.

Dijksterhuis ha dato una rapida occhiata all’appartamento e al bagno e ha fatto un’offerta. Uscito dalla porta si è poi reso conto del debito contratto. E la notte non è riuscito a dormire. Ma ora pensa di aver preso la decisione giusta. In un articolo accademico che esamina la precisione delle decisioni inconsce, ha spiegato: “Ho pensato che mi piaceva e che dovevo prendere una decisione rapida”.

Questo fatto lo ha spinto a condurre uno studio all’università. Ha selezionato un gruppo di volontari che ha dovuto scegliere tra diversi appartamenti, basandosi su criteri professionali. Secondo la rivista New Scientist, Dijksterhuis ha scoperto che i volontari hanno fatto scelte migliori quando hanno spostato l’attenzione poco prima di prendere la decisione. Quando hanno messo la loro mente al livello di incoscienza, hanno scelto con maggiore affidabilità rispetto a quando hanno ragionato in modo consapevole.

Il modo in cui il cervello elabora le informazioni e decide è stato oggetto di numerosi studi condotti da psicologi e neuroscienziati. La mente ha due modi di reagire: veloce e lento. La modalità veloce si mette in funzione quando dobbiamo reagire a un pericolo imminente, come ad esempio evitare un ostacolo sulla strada. L’altra è quella che viene utilizzata quando si ragiona prima di prendere una decisione importante, per esempio sposarsi.

Quando usare le due modalità?

In generale, si tende a pensare che l’inconscio funzioni meglio quando non si tratta di decisioni vitali. Ma Freud sosteneva il contrario. “Nel prendere una decisione di minore importanza – ha detto Freud –, ho sempre trovato vantaggioso considerare tutti i pro e i contro. Ma nelle questioni vitali, la decisione deve arrivare dall’inconscio, da qualche luogo dentro noi stessi”.

Qualcosa di simile accade con i calciatori. Quando si trovano davanti a una situazione critica, gli allenatori gridano di non pensare, di giocare in modo istintivo. Se pensano troppo ai passaggi o al gioco, rischiano di sbagliare.

Il premio Nobel Daniel Kahneman ha definito il modo di pensare veloce “Sistema 1” e quello lento “Sistema 2”. Il Sistema 1 serve per risolvere i problemi in modo rapido, come l’acquisto sbrigativo effettuato entrando in un negozio o calciare il pallone senza pensare. E’ pieno di “impressioni, intuizioni, intenzioni e sensazioni”. Il Sistema 2 si manifesta quando il Sistema 1 si scontra con un problema più grande, come valutare se vale la pena acquistare un immobile. Focalizza l’attenzione perché la spesa e il rischio sono maggiori.

Ma quando abbiamo molte informazioni difficili da processare, è l’inconscio a poter dare una risposta. Questo è quello che voleva mostrare lo studio dell’olandese Dijksterhuis.

Tale situazione è stata vissuta da molte coppie nel momento in cui hanno dovuto decidere se acquistare un appartamento o un altro. A volte, uno dei due opta per una casa siegando il perché. Ma l’altro risponde: “Forse hai ragione, ma il mio istinto mi dice che nell’altro qualcosa non va”.

Queste frasi vengono pronunciate quando l’inconscio ha lavorato per conto suo e ha inviato un messaggio alla coscienza senza averlo “decodificato”. Nel corso del tempo, è possibile che quella intuizione si trasformi in realtà, magari nel momento in cui la coppia scopre un dettaglio dell’appartamento che era rimasto nascosto.

Gli esperti come Dijksterhuis lo chiamano “pensiero inconscio” e ha a che fare con la capacità autonoma della mente di elaborare le informazioni in parallelo. Questo non vuol dire che lo stato di coscienza sia inadatto per prendere decisioni. Quando c’è un sovraccarico di informazioni, è possibile che l’inconscio debba prendere il controllo. Sono quei momenti in cui diciamo: “Sono saturo di informazioni”,  “Non so cosa fare con così tanti dati”.

“La coscienza può soffrire di una interruzione di energia quando viene esercitata una pressione eccessiva su una capacità limitata”, ha affermato Dijksterhuis nel suo studio. Forse un aiuto che proviene dall’inconscio è utile in questi casi.

Bisogna però ricordare che l’acquisto di una casa è la più grande spesa che una persona si trova ad affrontare nella vita. L’ideale è prendere questa decisione con calma, liberare la mente e analizzare a fondo la cosa senza pressione. “Per affrontare un particolare problema, è probabile che [la coscienza] sia una buona risorsa”.

venerdì 21 ottobre 2016

Confedilizia, otto interventi per il mercato immobiliare da inserire nella legge di bilancio

Abbastanza bene, ma non benissimo. Si potrebbe riassumere così il giudizio di Confedilizia sulla manovra economica 2017. Le misure per la casa inserite nel provvedimento sono positive, ma non sono sufficienti. In particolare, l’associazione della proprietà immobiliare sottolinea la necessità di intervenire sulla fiscalità immobiliare, soprattutto in un contesto in cui la pressione fiscale sul mattone è di 50,8 miliardi di euro. E lo fa avanzando in merito alcune chiare, precise e urgenti proposte. Vediamole.

“Bisogna fare di più”

Riconoscendo lo sforzo compiuto dal governo Renzi, il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha affermato che rispetto alla situazione del 2012 si è registrata un’inversione di tendenza, che però per essere produttiva di effetti positivi deve essere vista come un inizio di una nuova politica sull’immobiliare. E' quanto emerso nel corso della conferenza stampa “Manovra economica 2017, cifre in chiaro sull’immobiliare”.

Il presidente di Confedilizia ha ricordato che i recenti dati dell’Agenzia delle Entrate hanno evidenziato un piccolo recupero, il quale però è ben lontano dai livelli del passato. “Bisogna dunque fare molto – ha detto Spaziani Testa –. Nell’apprezzare alcuni interventi preannunciati, diciamo che è necessario fare di più”.

Ammonta a 50,8 mld il gettito dei tributi sul comparto immobiliare

Nel 2016, il gettito dei tributi gravanti sul comparto immobiliare è stimato dalla Confederazione in 50,8 miliardi di euro, così suddivisi:

- 9,2 miliardi di tributi reddituali (Irpef, Ires, cedolare secca);

- 22 miliardi di tributi patrimoniali (Imu, Tasi);

- 9 miliardi di tributi indiretti sui trasferimenti (Iva, imposta di registro, imposta di bollo, imposte ipotecarie e catastali, imposta sulle successioni e donazioni);

- 1 miliardo di tributi indiretti sulle locazioni (imposta di registro, imposta di bollo);

- 9,6 miliardi di altri tributi (Tari, tributo provinciale per l’ambiente, contributi ai Consorzi di bonifica).

Confedilizia ha evidenziato che a spiccare, tra queste cifre, è la tassazione patrimoniale che – con Imu e Tasi, nonostante l’eliminazione dell’imposizione sulla “prima casa” – rappresenta un carico di quasi il 150% più alto di quello che era dato dall’Ici, in vigore fino al 2011. 

In questo quadro, l’organizzazione ha proposto alcuni interventi specifici mirati ad attenuare le conseguenze più gravi prodotte da questo eccesso di imposizione. Tra tutti gli interventi, quelli principali - se messi in atto - avrebbero per l’Erario un onere di circa 700 milioni di euro, corrispondenti a poco più dell’1% del gettito totale dei tributi gravanti sul settore immobiliare.

Le proposte di Confedilizia per la manovra 2017

- Detassazione immobili commerciali locati: introduzione di una cedolare secca per le locazioni commerciali, con avvio sperimentale per nuove attività aperte in locali sfitti o per i “negozi di vicinato”. Constatando che la somma di 7 imposte porta ad erodere fino all’80% del canone di locazione, Confedilizia ritiene essenziale intervenire con misure di detassazione. In tal senso, dovrebbero essere prese in considerazione riduzioni sia della tassazione patrimoniale, ad esempio fissando uno specifico limite di legge alle aliquote Imu e Tasi (es.: 4 per mille), sia di quella erariale, con l’introduzione di una cedolare secca. In via sperimentale, potrebbe essere introdotto un regime fiscale più favorevole, attraverso una cedolare secca, in caso di apertura di nuove attività economiche, eventualmente da parte di giovani ovvero per locali di minori dimensioni (esempio: esercizi di vicinato di cui all’art. 4 d.lgs. n. 114/1998, con superficie di vendita fino a 150/250 mq).

- Misure per gli affitti a canone calmierato: proroga per un quadriennio della cedolare secca al 10% per i contratti di locazione a canone calmierato. Nel 2017 scadrà il periodo di applicazione dell’aliquota del 10% della cedolare secca sugli affitti, applicabile per i contratti di locazione agevolati (cosiddetti “concordati” o “3+2”) e per studenti universitari nei Comuni ad alta tensione abitativa nonché in quelli recentemente colpiti da calamità. Considerata l’importanza, anche sociale, di questa misura, è essenziale stabilizzarla ed estenderne l’applicabilità a tutta Italia. Sul piano della tassazione patrimoniale, è invece fondamentale prevedere un’aliquota massima (es.: 4 per mille) per le abitazioni locate attraverso questi contratti. Confedilizia, dunque, ritiene necessarie le seguenti misure per i contratti di locazione “concordati” (3+2) e per studenti universitari, caratterizzati da canoni più bassi rispetto a quelli di mercato:

1) stabilizzazione o rinnovo per un quadriennio (con possibile estensione a tutta Italia) della speciale aliquota del 10% della cedolare secca, attualmente prevista solo fino al 2017. Oneri: nessuno nel 2017; 33 milioni di euro, a partire dal 2018

2) introduzione di un limite alla tassazione patrimoniale Imu-Tasi, quadruplicatasi dal 2012 rispetto all’Ici, sugli immobili locati attraverso questi contratti. Oneri in caso di limite al 4 per mille: 40 milioni di euro.

- Deduzione redditi da locazione: si rende necessario ripristinare la deduzione Irpef per i redditi da locazione al 15%, essa stessa insufficiente a coprire gli oneri – stimati in circa il 30%– a carico dei contribuenti interessati. Oneri: 365 milioni di euro

- Irpef immobili non locati: è necessario eliminare la previsione normativa introdotta dalla legge di Stabilità per l’anno 2014 (art. 1, commi 717 e 718, legge n. 147/’13) in base alla quale il reddito degli immobili ad uso abitativo non locati situati nello stesso Comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principale, assoggettati all’Imu e alla Tasi, concorra alla formazione della base imponibile Irpef e delle relative addizionali in misura del 50%. Oneri: 297 milioni di euro

- Tassazione canoni non riscossi: in tal senso, Confedilizia reputa necessario uniformare la disciplina relativa alle locazioni non abitative a quella riguardante le locazioni abitative in materia di imposizione sui canoni non percepiti. Solo per queste ultime, infatti, il principio generale della tassazione dei redditi fondiari indipendentemente dalla loro percezione (art. 26 Tuir) è stato parzialmente derogato dalla norma (art. 8, legge n. 431/‘98) che dispone che i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore; e che, per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità, sia riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare.

- Agevolazioni permute immobiliari: al fine di stimolare il mercato immobiliare e il comparto edilizio in genere, un intervento che potrebbe rivelarsi efficace è quello di agevolare le permute immobiliari, riducendo o azzerando la tassazione per queste operazioni almeno al ricorrere di determinati presupposti. In qualsiasi forma tali agevolazioni fiscali venissero introdotte, si tratterebbe di una misura che verosimilmente non comporterebbe perdite di gettito – visto l’esiguo numero di tali operazioni che si registra attualmente e considerate le imposte che si ricaverebbero dalle nuove transazioni – e che determinerebbe notevoli vantaggi. Essa, infatti, consentirebbe di sbloccare un considerevole numero di immobili che giacciono invenduti; permetterebbe una riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, posto che – in cambio della possibilità di collocare sul mercato in modo agevolato i molti immobili invenduti – le imprese sarebbero incentivate a ristrutturare gli immobili più datati che riceverebbero dai privati; impedirebbe ulteriore spreco di territorio per nuove costruzioni; alimenterebbe un’attività edilizia che da molti anni è in grave difficoltà, ripristinando parte dei posti di lavoro perduti e producendo anche gettito per l’Erario; darebbe alle persone fisiche la possibilità di accedere ad abitazioni di maggior pregio sopportando una tassazione inferiore a quella ordinaria.

- Estensione dell’esenzione Imu per gli immobili invenduti: a tal proposito, è necessario estendere il campo di applicazione dell’esenzione Imu prevista per gli immobili delle imprese di costruzione che le imprese stesse non riescano né a vendere né a locare. L’esenzione – per ragioni di uniformità e, di conseguenza, di equità – dovrebbe essere prevista anche nei confronti delle società che effettuano attività di compravendita e locazione di immobili, per le quali pure si pone il problema del costo rappresentato dal pagamento di un’imposta su beni che i soggetti in questione non riescono né a vendere né a locare.

- Blocco aumenti tributi locali: sarebbe opportuno confermare, anche per il 2017, il divieto per le Regioni e gli Enti locali di aumentare le aliquote dei tributi e delle addizionali di loro competenza (art. 1, comma 26, legge n. 208/2015), estendendolo anche alla Tari. Ciò al fine di evitare aggravi della pressione fiscale su tutti gli immobili diversi dall’abitazione principale (abitazioni locate, negozi, uffici ecc.).

Il confronto con Governo e Parlamento

Il presidente di Confedilizia ha fatto sapere di aver avuto un confronto con il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, e con il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, e di aver avviato un colloquio con i gruppi parlamentari. Spaziani Testa ha però sottolineato: “E’ necessario insistere. Servono altre misure per l’immobiliare, come quelle che abbiamo individuato”.

domenica 16 ottobre 2016

Ecobonus 2017: confermate le detrazioni fiscali al 65% per ristrutturazioni

 

Ecobonus 2017 confermata la detrazione fiscale del 65% per riqualificazione energetica e adeguamento antisismicoIl presidente del Consiglio Matteo Renzi ha confermato la proroga dell’ecobonus nel 2017 con una detrazione fiscale del 65% per gli interventi di riqualificazione energetica e per l’applicazione di adeguamenti antisismici. Un importante incentivo per chi decide di investire in una ristrutturazione edilizia, purché conforme ai requisiti necessari per accedere agli sgravi fiscali. Vediamo nel dettaglio come ottenere l’ecobonus per interventi di efficientamento energetico.

Ecobonus 2017: in cosa consiste

Le detrazioni fiscali per il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici e di singole unità immobiliari sono state introdotte per la prima volta dalla finanziaria del 2007. La legge di stabilità 2016 aveva confermato gli sgravi fiscali al 65% per gli interventi di ristrutturazione edilizia che garantiscono un risparmio energetico e, come detto, si prevede una nuova proroga di tale misura a tutto il 2017. I beneficiari otterranno una detrazione fiscale dell’Irpef o dell’Ires:

  • Del 55% per le spese sostenute fino al 5 giugno 2013
  • Del 65% per le spese sostenute a partire dal 6 giugno 2013

La detrazione si applica sia a ristrutturazioni di singole unità immobiliari, sia a interventi complessivi su tutte le unità di un condominio o sulle parti comuni. Per determinare l’effettiva aliquota della detrazione fa fede la data di effettivo pagamento per le persone fisiche e gli enti non commerciali e la data di completamento della prestazione per e imprese e gli enti commerciali.
Le detrazioni fiscali si ripartiscono in dieci rate annuali e il loro importo non può superare un tetto massimo di spesa che varia a seconda degli interventi da 30 a 100mila euro, come vedremo tra poco.

Ecobonus 2017: chi può richiederlo

Nell’ipotesi che l’ecobonus 2017 sia riconfermato alle stesse condizioni previste per il 2016, potranno usufruire della detrazione fiscale per riqualificazione energetica tutti i contribuenti, che si tratti di persone fisiche o giuridiche, indipendentemente dalla residenza, che possiedono l’immobile a qualunque titolo. Le imprese potranno richiedere sgravi fiscali sono per i fabbricati strumentali alla loro attività. Tra le persone fisiche rientrano condomini, inquilini, comodatari, titolari di un diritto reale sull’immobile.

Esiste inoltre la possibilità di cedere ai fornitori un credito d’imposta. Tale opzione è riconosciuta ai contribuenti che si trovano nella no tax area, ovvero incapienti, per le spese relative a interventi di riqualificazione energetica di parti comuni di condomini realizzate a partire dal 1° gennaio 2016.

Quali interventi sono ammessi?

Per ottenere l’ecobonus 2017 è necessario che gli interventi di ristrutturazione siano eseguiti su immobili già esistenti, mentre non sono riconosciute detrazioni sulle nuove costruzioni. L’ecobonus si applica a tutte le categorie catastali. In dettaglio gli interventi ammessi comprendono:

  • Riqualificazioni energetiche su edifici esistenti: in questo caso la spesa massima consentita è di 100mila euro
  • Sostituzione dell’involucro – ad esempio pareti e finestre – e installazione di panelli solari e schermature solari: sono ammessi sgravi su una spesa massima di 60mila euro
  • Sostituzione dei riscaldamenti e installazione di generatori di calore alimentati da biomasse: è ammessa una spesa fino a 30mila euro.
  • Installazione di sistemi di building automation che consentono il monitoraggio e la riduzione dei consumi, senza limiti di spesa

Per ciascun intervento di ristrutturazione sono indicati particolari requisiti tecnici da rispettare per poter accedere all’agevolazione fiscale. Per un approfondimento in merito si consiglia la consultazione delle guide realizzate da Enea.

Ecobonus 2017: documenti necessari

Per accedere alla detrazione fiscale è necessario avere i seguenti documenti:

  • Asseverazione rilasciata da un tecnico abilitato, necessaria a dimostrare che l’intervento di riqualificazione energetica è conforme ai requisiti tecnici. Può essere sostituita da una dichiarazione del direttore dei lavori o, nel caso dei pannelli solari, dall’attestato di partecipazione ad un apposito corso di formazione
  • Attestato di certificazione energetica o di qualificazione energetica rilasciato da un tecnico abilitato, che contiene i dati relativi all’efficienza energetica dell’edificio. Non è necessario per la sostituzione di finestre di singole unità, per l’installazione di pannelli solari e per la sostituzione dei riscaldamenti.
  • Scheda informativa relativa agli interventi realizzati, se questi riguardano la sostituzione delle finestre e degli infissi in singole unità immobiliari o l’installazione di pannelli solari. La scheda descrittiva può essere compilata anche dall’utente finale, indicando i dati del soggetto che ha sostenuto le spese e dell’edificio in cui sono stati realizzati gli interventi, la tipologia di interventi eseguiti, il risparmio energetico ottenuto e il relativo costo

Ecobonus 2017: come richiedere la detrazione fiscale

Per ottenere la detrazione fiscale è necessario presentare all’Enea, entro 90 giorni dalla conclusione dei lavori, copia dell’attestato di certificazione energetica o di qualificazione energetica e scheda informativa degli interventi realizzati.
La data di fine lavori non coincide con la data del pagamento, ma con il giorno del collaudo. Se l’intervento realizzato non richiede collaudo è necessario dimostrare la data di fine lavori con altra documentazione emessa da chi ha effettuati i lavori o dal tecnico che rilascia la scheda informativa, mentre no è possibile presentare un’autocertificazione.

La documentazione deve essere trasmessa per via telematica attraverso il sito dell’Enea. È ammesso l’invio tramite raccomandata con ricevuta semplice solo quando i lavori realizzati non possono essere adeguatamente descritti attraverso i modelli messi a disposizione dall’Enea.

Dovranno essere conservati, e mostrati all’amministrazione finanziaria in caso di controlli:

  • Il certificato di asseverazione
  • La ricevuta di invio telematico o della raccomandata
  • Le ricevute attestanti le spese sostenute
  • La ricevuta del bonifico di pagamento dei lavori per i soggetti non titolari di reddito d’impresa
  • Copia della delibera assembleare e della tabella di ripartizione delle spese per gli interventi realizzati su parti comuni di edifici
  • Consenso del proprietario se i lavori sono stati effettuati dal detentore

venerdì 14 ottobre 2016

Il leasing immobiliare: le novità 2016 per l’acquisto di casa

 

leasing immobiliare - acquistare casa in leasing

Dal primo gennaio 2016 i leasing immobiliari o locazioni immobiliari sono caratterizzati da alcune novità introdotte in materia di regime fiscale applicabile ai contratti, all’acquisto dell’immobile da parte della società di leasing, all’imposizione connessa al riscatto, alla responsabilità solidale dei soggetti coinvolti nel pagamento delle imposte, alle  modalità di stipula del contratto di leasing, riscatto e imposte ipotecarie e catastali e soprattutto alla durata minima del contratto.

Se siete interessati alla nuova agevolazione prevista per il leasing abitativa leggete il nuovo articolo dedicato al Leasing abitativo per acquisto di casa.

Novità 2016

La legge di stabilità ha introdotto un regime di particolare favore per agevolazione l’accesso ed il potenziale successivo acquisto dell’immobile fruendo del leasing in quanto concede dal 2016 un regime di maggiore detraibilità in quanto nel leasing si dà la possibilità di detrarre:

  • sia gli interessi passivi (come avviene per il mutuo);
  • sia il canone (novità non concessa nel mutuo);
  • raddoppio degli interessi detraibili nel caso di under 35 anni di età;
  • deducibilità del prezzo di riscatto dell’immobile dall’Irpef.

In pratica il nuovo leasing immobiliare dal primo gennaio 2016 consente di accede ad un beneficio fiscale al ricorrere di alcune condizioni che vedremo nel seguito.

Prima parliamo dei benefici perché sono diversi e valgono molto:

Primo tra tutto risiede nella possibilità di dedursi dall’Irpef ossia dall’imposta sui redditi un canone di leasing dal reddito interamente ossia sia la quota interessi sia la quota di canone mensile o periodico che corrispondete alla società di leasing nella misura del 19% come avviene fino ad un importo massimo non superiore a 8 mila euro, il che significa un risparmio netto di 1.520 euro annue. Dico massimo perché il tetto di 8 mila euro vale solo nel caso in cui il contribuente che stipula abbia meno di 35 anni al momento dell’acquisto.

Se ne ha di più vale solo 4 mila come nel caso del mutuo. Ulteriore condizione risiede nel limite del reddito del contribuente che deve essere di meno di 55 mila euro. Non bisogna inoltre essere proprietari di unità immobiliare a destinazione abitativa su tutto il globo.

Deduzione Irpef del riscatto del leasing

La deduzione dell’Irpef dell’intero canone di riscatto vale però solo fino ad un importo massimo di 20 mila euro per cui in sede di contrattazione dovrete definire bene il piano con la società anche se posso immaginare che si siano letti le novità prima di fornire un prodotto così per cui sanno bene che se vogliono proporrei un prodotto che sfrutta appicca anche la leva fiscale il prezzo di riscatto dovrebbe in teoria essere inferiore a quella cifra. Se il contribuente ha più di 35 anni invece potrete portarvi in deduzione dal reddito solo 10 mila euro,ma sempre meglio di niente è.

Ulteriore agevolazione riguarda la tassazione del riscatto ossi le ipocatastali da pagare oltre all’imposta di registro che in questo caso saranno solo pari a 200 euro ciascuna mentre in un acquisto normale sarebbero ben più alte. basti  pensare all’imposta di registro che sarebbe pari al 2% sul valore catastale (se ci si avvale delle agevolazioni prima casa) o del 9% (negli altri casi).

E’ prevista anche la possibilità di fruire del riscatto agevolato con un’imposta di registro leggermene agevolata in quanto in caso di requisiti prima casa si pagherà l’1,5% in luogo del 2% del valore catastale.

Termine dell’agevolazione fiscale

La prescrizione sarà valida solo per l’acquisto di immobili effettuati entro il 3 dicembre 2020 tuttavia vale per qualsiasi tipologia di bene immobile per cui anche le case di lusso a differenza delle agevolazioni prima casa.

Nel caso di immobili acquistati pro quota invece il beneficio deve essere diviso proporzionalmente tra gli aventi diritto mentre il limite del reddito si verifica come anche quello delle altre condizioni per ciascuno. Il mancato rispetto di una delle condizioni di un soggetto non impedisce agli altri di fruire del beneficio fiscale.

Tuttavia questi sono solo alcuni degli aspetti per cui vi consiglio di leggere i chiarimenti descritti nell’articolo dedicato proprio alle agevolazioni fiscali sul leasing immobiliare 2016-2020.

Novità per i contratti stipulati dal primo gennaio 2014

La maggiore novità risiede nella durata minima del contratto di locazione finanziaria che deve avere e che la Legge 147 del 2013 ha fissato in minimo 12 anni e laddove la durata e la cui deducibilità segue al solito per quelle che concerne quota capitale il regime di deduzione ordinario del costo ai fini ires ed Irpef rispettivamente se trattasi di Immobili condotti in leasing da un’impresa o un libero professionista.

La deduzione del leasing immobiliare forse è una dei più grandi ritorni attesi nel 2014

Ai fini della deduzione della quota di interessi passivi invece valgono le previsioni viste dall’artiolom96 del Tuir che subordina come al solito la deduzione degli interessi passivi al rispetto di alcuni vincoli.

Ai fini Irap vale anche qui come al solito la deduione del costo dal valore della produzione netta e l’indeducibilità degli interessi passivi in quanto componente finanziaria che all’Irap non piace.

Nel caso la durata sia inferiore ai 12 anni ogni anno si dovrà riprendere a tassazione il costo del canone e che si potranno dedurre solo al termine del contratto e comunque entro i massimali fissati dal tuir.

Responsabilità solidale tra società di leasing ed utilizzatore dell’immobile

Per i contratti stipulati fino al 31 dicembre 2010 soggetto obbligato al pagamento delle imposte ipocatastali e di registro o Iva era solo ed esclusivamente il soggetto che acquistava l’immobile (la società dio leasing) e non anche il soggetto che prendeva in leasing l’immobile. Dal primo gennaio invece anche i soggetti che prendono il locazione finanziaria l’immobile saranno anch’essi obbligati al pagamento dell’imposte in modo tale da avere più soggetti da aggredire nel caso di mancato pagamento.

Questo vale anche nel caso di immobili da costruire o in corso di costruzione.

Per quello che concerne le modifiche nella disciplina della stipula del contratto di leasing immobiliare la registrazione cessa di diventare elemento obbligatorio da effettuarsi entro 30 giorni e diviene obbligatorio solo in caso di uso. Questo implica che il pagamento delle imposte di registro non è più obbligatorio ma sarà vincolato alla volontà ed al giudizio di convenienza di colui che prende in locazione il bene e che vorrà dare data certa all’atto e che raggiungeva somme cospique per patrimoni immobiliari considerevoli.

A quali immobili si applica la nuova displina fiscale

Il legislatore fiscale non ha previsto limitazione al trattamento fiscale sui nuovi contratti di leasing potendo in tal modo rientrare nell’ambito di applicazione sia gli immobili abitativi sia gli immobili strumentali

Trattamento fiscale per la società di Leasing

Sul lato della società di Leasing invece l’acquisto dell’immobile oggetto di futura locazione, che fino ai contratti stipulati al 31 dicembre 2010 trovava l’opportunità di ridurre del 50% il valore delle imposte in base al Decreto Bersani oggi sconterà imposte di registro ed ipocatastali o Iva in misura piena, fattispecie agevolativa questa che troverà applicazione solo nel caso in cui nelle parti prendano parte fondi immobiliari chiusi.

Il riscatto dell’immobile in leasing va a misura fissa

Saranno contenti i soggetti che decideranno di acquistare la titolarità al diritto di proprietà del bene al termine del contratto di leasing mediante esercizio dell’opzione laddove sia previsto un riscatto in quanto le imposte ipotecarie e catastali, registro andranno in misura fissa. Ricordate anche la possibilità di fruire delle agevolazioni sul leasing immobiliare dal primo gennaio 2016.

IPT sul leasing immobiliare dal 2014

Per questa tipologia di contratti viene data facoltà per il pagamento di una imposta sostitutiva che prevede il versamento ridotto delle imposte nella misura del 4%. L’aliquota va calcolata su una base imponibile formata dal prezzo più la quota capitale compresa nei canoni residui e l’importo del riscatto dell’immobile.

Nel calcolo della rata del contratto di leasing sarà pertanto determinante, come in ogni contratti di leasing immobliare analizzare l’impatto fiscale connesso all’operazione e non solo, vi consiglio altresì di verificare quale potrebbero le vostre future decisioni di scelta economica, se intendete ragionare su un orizzonte di breve o di medio periodo.

In futuro cercherò di sviluppare un software in grado di calcolare la convenienza e l’impatto fiscale di una operazione di leasing immobiliare in modo.

La deducibilità degli interessi sul leasing

Come visto sopra segue le regole dell’articolo 96 per cui dovranno rispettare i seguenti requisiti e quidni deducibili integralmente fino a conocrrenza degli interessi attivi o parzialmente per l’eccedenza nel limite del 30% del Risultato Operativo Lordo della gestione caratteristica (ROL), individuato come differenza tra le voci A) RICAVI  e B) Costi della produzione del Conto Economicoal netto dei canoni di locazione finanziaria dei beni strumentali, gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali ed immateriali. La parte ancora che dovesse residuare è indeducibile nel periodo d’imposta di competenza ma riportabile al successivo esercizio con le stesse regole.

Ricordate anche la possibilità di fruire delle agevolazioni sul leasing immobiliare dal primo gennaio 2016.

Leggi tutto: http://www.tasse-fisco.com/leasing/immobiliare-novita-finanziaria-2011/4921/#ixzz4N8RAfABO
Follow us: @tasseefisco on Twitter | tassefisco on Facebook

Pagamento cedolare secca costi e modalità

 

Hai concesso in locazione un’abitazione di cui sei proprietario e vuoi sapere come funziona il pagamento delle imposte in caso di contratto di locazione a cedolare secca. A quanto ammonta l’imposta sostitutiva? Quali sono le scadenze da rispettare nel 2016 e nel 2017? Come si paga? Vediamolo insieme.

Pagamento cedolare secca: l’imposta sostitutiva

Per i contratti di locazione a cedolare secca è previsto un regime contributivo – del tutto facoltativo – che sostituisce quello convenzionale. Chi concede in locazione un’abitazione optando per un contratto di locazione cedolare secca non è dunque tenuto al pagamento dell’Irpef e delle imposte addizionali sulla parte di reddito derivante dall’immobile e non è obbligato al pagamento dell’imposta di registro e di bollo per la registrazione, proroga o risoluzione del contratto di affitto.
In caso di contratto a cedolare secca è invece dovuta un’imposta sostitutiva con un’aliquota pari al 21% del canone di locazione annuo concordato dalle parti. È prevista un’aliquota del 15%, ridotta al 10% nel quadriennio 2014/2017, per i contratti di locazione a canone concordato – 3+2 anni – relativi ad abitazioni ubicate in comuni con carenze abitative, ad alta tensione abitativa o sottoposti a stato di emergenza a seguito di calamità.

Pagamento cedolare secca: scadenze 2016 e 2017

L’imposta sostitutiva per il contratto di locazione cedolare secca è dovuta dal locatore e si paga con le stesse modalità e secondo le stesse scadenze previste per l’Irpef, ovvero mediante acconto e saldo complessivo.
Nel primo anno i cui si esercita l’opzione l’acconto non è dovuto perché non è possibile determinare una base imponibile di riferimento.
Negli anni successivi è necessario versare un acconto pari al 95% dell’imposta sostitutiva pagata l’anno precedente, se quest’ultima è superiore a 51,65 euro. Il versamento deve essere effettuato:

  • Entro il 30 novembre, in un’unica soluzione, se l’imposta dovuta è inferiore a 257,52 euro
  • In due rate, da pagare entro il 16 giugno e entro il 30 novembre, se l’importo è superiore a 257,52 euro. Le rate saranno, rispettivamente, del 40% e del 60%, da calcolare sull’acconto del 95%

Il saldo dell’imposta sostitutiva va effettuato entro il 16 giugno dell’anno successivo a quello cui si riferisce. È possibile ritardare il pagamento fino al 16 luglio, con una maggiorazione dello 0,40%.

Pagamento cedolare secca: il modello F24

I pagamenti dell’imposta sostitutiva possono essere effettuati con modello F24, reperibile sul sito dell’Agenzia delle Entrate, utilizzando i seguenti codici tributi:

  • 1840: Cedolare secca locazioni – Acconto prima rata
  • 1841: Cedolare secca locazioni – Acconto seconda rata o unica soluzione
  • 1842: Cedolare secca locazioni – Saldo

L’imposta sostitutiva per la cedolare secca può essere compensata con eventuali crediti, secondo le norme ordinarie.

Cedolare secca: quando conviene?

Stipulare un contratto di locazione cedolare secca consente di pagare, come abbiamo visto, un’imposta sostitutiva con un’aliquota più bassa dell’Irpef. Questo è un vantaggio importante soprattutto per chi affitta numerosi appartamenti e ha elevati introiti annuali. Optando per la cedolare secca il padrone di casa rinuncia alla facoltà di aggiornare il canone di locazione, compresi gli eventuali adeguamenti Istat e non può beneficiare di ulteriori deduzioni e detrazioni. Ne consegue che chi concede in locazione solo una o due abitazioni potrebbe non trarre un reale giovamento economico dall’opzione della cedolare secca.

Cedolare secca: chi può sceglierla?

Ricordiamo infine che possono optare per tale regime contributivo soltanto le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento – ad esempio l’usufrutto – che concedono in locazione un immobile per fini abitativi, dunque è escluso l’esercizio di attività di impresa, arti o professioni.
L’opzione per la cedolare secca può essere esercitata sia al momento della registrazione del contratto, sia negli anni successivi e dura per l’intera durata del contratto o per il residuo periodo di durata. In caso di proroga automatica del contratto sarà necessario in ogni caso confermare l’opzione della cedolare secca. È possibile revocare l’opzione in ciascuna annualità successiva, entro 30 giorni dalla scadenza dell’annualità, versando l’imposta di registro eventualmente dovuta. In caso di revoca è possibile esercitare nuovamente l’opzione della cedolare secca in ciascuna annualità successiva.

martedì 11 ottobre 2016

Mutui, le banche si fanno la guerra a suon di offerte

 

Ora come ora sono i servizi che pesano sulla scelta del mutuo. Le principali banche, infatti, propongono ormai praticamente le stesse condizioni. Sono quindi le offerte presentate dagli istituti di credito a finire al centro dell’attenzione del cliente.

In questi giorni, Bnl e Intesa Sanpaolo stanno proponendo due particolari offerte. Si tratta, in ordine, di “Cinquegiorni” e “Mutuo Up”. Vediamo di cosa si tratta.

Bnl, "Cinquegiorni" – Con questo tipo di proposta il cliente può sapere con certezza, in solo cinque giorni, se gli verrà concesso il mutuo e per quale cifra. Il potenziale mutuatario può recarsi in una filiale della banca oppure consegnare online i documenti richiesti. La banca si impegna a fornire una delibera creditizia che poi si tradurrà in un mutuo vero e proprio se, al momento di avviare l’istruttoria definitiva, la relazione notarile certificherà la possibilità di iscrivere l’ipoteca e se la perizia sull’immobile indicherà un valore congruo rispetto all’erogazione.

Intesa Sanpaolo, "MutuoUp" – L’offerta prevede nel contratto che entro un anno il cliente può esercitare l’opzione di chiedere un’ulteriore erogazione di valore fino al 10% rispetto a quella concessa in origine allo stesso tasso previsto per il mutuo. L’opzione si applica a tutta la gamma di mutui fissi e variabili del gruppo.

Novità anche sul fronte del leasing immobiliare – Iccrea, gruppo che fornisce prodotti a circa 400 istituti di credito cooperativo, propone questa forma di finanziamento che offre la possibilità di forti agevolazioni fiscali, purché l’immobile sia una prima casa e il mutuatario abbia un reddito inferiore ai 55mila euro all’anno e meno di 35 anni. La somma massima concedibile è pari all’85% del valore dell’immobile, le spese di istruttoria possono al massimo essere di 1.700 euro.

lunedì 10 ottobre 2016

Previsioni sui tassi della Bce, valori bassi per i prossimi 10 anni?

La ricetta della Bce per risanare l'economia passa attraverso l'iniezione di liquidità e una politica di tassi al minimo.  Anche nell'ultima riunione mensile, la banca centrale europea ha ribadito chiaramente che i tassi sono destinati a non muoversi ancora un po'. Secondo gli esperti sentiti da idealista news si parla di un arco temporale molto ampio, che potrebbe addirittura arrivare a una decade. Però non è detto che questo abbia ricadute positive per l'economia.

Negli Stati Uniti la fine del lungo periodo post crisi del denaro a costo zero è terminato a dicembre, con i tassi portati al range 0,25-0,50 per cento. A un anno di distanza potrebbero essere alzati di nuovo, anche se più di una volta la Fed ha rinviato l’appuntamento con un nuovo ritocco e potrebbe farlo ancora, se i fondamentali non dovessero essere quelli che l’istituto centrale si aspetta.

E il corrispondente europeo? Nell’ultima riunione mensile ha ribadito chiaramente il concetto che i tassi sono destinati a non muoversi ancora per un po’. Di sicuro nel breve periodo, ma probabilmente anche più a lungo.

Secondo Gianluca Beccaria, ‎responsabile progetti istituzionali di Directa Sim, potremmo addirittura cambiare decennio prima che si vedano condizioni per le quali l’Eurotower ritenga opportuno intervenire sui tassi.

“Le banche centrali – dice – sono state molto importanti in questi anni. Hanno preso decisioni molto coraggiose, perché hanno capito la gravità della situazione di quest’ultima crisi. Ma i mercati si sono abituati troppo bene, con queste politiche ultraespansive senza precedenti, guardando non solo ai tassi ma anche alle misure di qauntitative easing sia negli Stati Uniti che in Europa”.

Il risultato oggi sembra essere che “siamo passati a una fase in cui le banche centrali sono ostaggi dei mercati”. Secondo Brambilla lo dimostra il comportamento della Fed. “Dopo il rialzo di dicembre, la presidente Janet Yellen aveva detto di prevederne tre o quattro per il 2016. Il mercato ha reagito malissimo. Tant’è che siamo a quasi un anno e non se ne è ancora visto uno. Ho dei dubbi anche su quello di dicembre, perché in mezzo ci sono le elezioni americane”.

Eppure l’economia oltreoceano va bene. “Se non riescono loro ad alzare i tassi, come potrà farlo l’Europa che ha buone ragioni per tenerli bassi?”

Lo scenario dipinto da Brambilla si spinge addirittura più in là di un consensus degli analisti orientato sul 2019 come anno nel quale si registrerà il primo incremento dei tassi nel Vecchio Continente. Secondo il capo economista della Investec, Philip O’Sullivan, l’ipotesi più realistica è che occorrerà attendere la primavera di quell’anno.

Ma secondo Franco Bruni, docente di teoria e politica monetaria internazionale alla Bocconi, il risultato del perdurare di queste politiche accomodanti equivale a drogare l’economia. “Draghi – afferma - è convinto che ciò che la banca centrale sta facendo ha effetto importante sulla liquidità e i tassi. La mia opinione è che sarebbe bene le banche centrali smettessero di illudere il mondo che si possa uscire da questo stallo dell’economia e anche dell’inflazione con la politica monetaria. Per una fase è stata importante, ma poi ha posto le basi per tante bolle speculative”.

Tesi condivisa da, Clemens Fuest, da poco divenuto direttore del tedesco Ifo Institute, secondo il quale i tassi negativi sono sostenibili solo per un brevissimo periodo e, inoltre, trova difficile giustificare un eventuale nuovo potenziamento del quantitative easing, non escluso da Mario Draghi che ha parlato di due nuove operazioni straordinarie. Il rischio, secondo Fuest, è proprio quello di alimentare nuove bolle e squilibri.

Se la Bce sicuramente non alzerà i tassi ancora per un lungo periodo, è assai improbabile che possa diminuirli ancora. “Dal punto di vista bancario – dice Brambilla - è stato forse un errore storico. Ha avuto un impatto Hanno portato più danni che benefici. Difficilmente andranno ancora sotto, perché sono una novità assoluta a livello accademico: non sono ancora stati studiati a sufficienza”.

venerdì 7 ottobre 2016

Contabilizzatori di calore: quando non sono obbligatori?

Contabilizzatori di calore: quando non sono obbligatori?

Valvole termostatiche e contabilizzatori per il calcolo dei consumi individuali del calore: quali condomini non sono obbligati all’installazione dei termoregolatori?

Contabilizzatori di calore e valvole termostatiche sui termosifoni: le nuove regole, in vigore ed obbligatorie per tutti dal 31 dicembre 2016, conoscono però delle eccezioni e non tutti i condomini dovranno installarle. Cerchiamo di capire, prima, cosa prevede la legge e in quali condomini non è obbligatoria la termoregolazione.

Per favorire il risparmio energetico, la legge italiana [1], recependo una normativa dell’Unione europea [2], stabilisce la cosiddetta contabilizzazione dei consumi individuali di calore e la suddivisione delle spese dell’edificio in base ai consumi effettivi di ciascun appartamento. Detto calcolo può essere effettuato solo installando appositi apparecchi – appunto i contabilizzatori di calore – che servono per determinare il diverso consumo di ogni singolo proprietario. Ecco perché, entro il 31 dicembre 2016, gli italiani che abitano in condomini con riscaldamento centralizzato, devono installare, su ciascun termosifone, delle valvole termostatiche con contabilizzatori di calore.

PUBBLICITÀ

È questo il concetto abbastanza semplice che si nasconde dietro l’apparentemente complicato dettato della normativa. La legge infatti usa le seguenti parole:

«Nei condomìni e negli edifici polifunzionali riforniti da una fonte di riscaldamento o raffreddamento centralizzata o da una rete di teleriscaldamento o da un sistema di fornitura centralizzato che alimenta una pluralità di edifici, è obbligatoria l’installazione entro il 31 dicembre 2016 da parte delle imprese di fornitura del servizio di contatori individuali per misurare l’effettivo consumo di calore o di raffreddamento o di acqua calda per ciascuna unità immobiliare, nella misura in cui sia tecnicamente possibile, efficiente in termini di costi e proporzionato rispetto ai risparmi energetici potenziali. L’efficienza in termini di costi può essere valutata con riferimento alla metodologia indicata nella norma Uni En 15459. Eventuali casi di impossibilità tecnica alla installazione dei suddetti sistemi di contabilizzazione devono essere riportati in apposita relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato».

In pratica, ogni abitazione dovrà ricorrere a:

  • valvole termostatiche (che consentono di regolare la temperatura di ciascuna stanza in maniera autonoma e andranno posizionate su ogni calorifero presente in casa)
  • contabilizzatori di calore (chiamati anche ripartitori di calore), da installare sui singoli radiatori, al fine di calcolare l’effettivo consumo di calore (per il riscaldamento) e di acqua calda sanitaria. In pratica i contabilizzatori ci diranno la quantità di calore effettivamente utilizzata da ciascun termosifone e, quindi, dai singoli proprietari di appartamento.

Il condominio che non provvede a installare detti sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore individuali per misurare il consumo di calore in corrispondenza di ciascun radiatore posto all’interno dell’unità immobiliare, è soggetto, per ciascun apparecchio, alla sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.500 euro.

Quando i contabilizzatori di calore non sono obbligatori?

Sempre la predetta normativa prosegue nel seguente modo:

«Nei casi in cui l’uso di contatori individuali non sia tecnicamente possibile o non sia efficiente in termini di costi, per la misura del riscaldamento si ricorre all’installazione di sistemi di termoregolazione e contabilizzazione del calore individuali per misurare il consumo di calore in corrispondenza a ciascun radiatore posto all’interno delle unità immobiliari dei condomìni o degli edifici polifunzionali, secondo quanto previsto dalla norma Uni En 834, con esclusione di quelli situati negli spazi comuni degli edifici, salvo che l’installazione di tali sistemi risulti essere non efficiente in termini di costi con riferimento alla metodologia indicata nella norma Uni En 15459. In tali casi sono presi in considerazione metodi alternativi efficienti in termini di costi per la misurazione del consumo di calore».

Ciò significa che i contabilizzatori di calore non sono obbligatori quando, da una relazione tecnica di un progettista o di un tecnico abilitato (appositamente delegato dal condominio) risulta che l’installazione dei sistemi:

  • non è efficiente in termini di costi, con riferimento alla metodologia indicata nella norma UNI EN 15459;
  • oppure vi sia l’impossibilità tecnica alla installazione dei sistemi di contabilizzazione;
  • oppure sia sproporzionato rispetto ai risparmi energetici potenziali.

Tra i casi di esclusione dall’installazione delle valvole termostatiche e dei contabilizzatori, non vi rientrano i condomini costruiti dopo l’entrata in vigore della nuova normativa; la legge, invece, esenta dai nuovi obblighi solo i casi in cui l’installazione dei sistemi di contabilizzazione sia «tecnicamente impossibile», non sia «efficiente in termini di costi» e non sia «proporzionata rispetto ai risparmi energetici potenziali».

I summenzionati casi di “esclusione” dell’installazione dei predetti sistemi devono essere riportati in «apposita relazione tecnica del progettista o del tecnico abilitato». In questi casi particolari, verranno presi in considerazione metodi alternativi per la misurazione del consumo del calore e non potranno, comunque, essere applicati i vecchi criteri di ripartizione delle spese relativi al riscaldamento, anche se contenuti in un regolamento condominiale contrattuale.

In sintesi quando sono obbligatorie le nuove valvole?

Sintetizzando, il proprietario dell’appartamento – indipendentemente dall’anno di costruzione dell’edificio – dovrà installare un contatore individuale per misurare l’effettivo consumo di calore o di raffreddamento o di acqua calda relativo alla sua unità immobiliare solo se ciò è:

  • tecnicamente possibile;
  • efficiente in termini di costi;
  • proporzionato rispetto ai risparmi energetici potenziali.

Il proprietario può opporsi all’installazione delle termovalvole?

L’installazione dei contabilizzatori e delle valvole termostatiche deriva da un preciso obbligo di legge. Pertanto, una volta che l’assemblea abbia votato positivamente per l’installazione, nessun condomino può opporsi e nessuno può vietare l’accesso dei tecnici nel proprio appartamento. Se un condomino si rifiuta di aprire la porta per l’installazione delle valvole, l’amministratore di condominio ha il dovere di rivolgersi al Giudice per ottenere un provvedimento di urgenza, che gli consenta di accedere nella proprietà privata e provvedere agli obblighi di legge.

[1] Art. 9, co. 5, Dlgs 102/2014.

[2] Direttiva UE n. 2012/27.

Mutui, come scegliere il finanziamento prima dell’acquisto di una...

Quando arriva il momento di acquistare una casa, molti sono coloro che ricorrono al mutuo ipotecario. Di solito questo tipo di finanziamento copre non più dell’80% del prezzo. E’ possibile arrivare al 100%, ma serve una copertura assicurativa specifica che aumenta i costi. Al giorno d’oggi, dunque, la maggior parte dei mutui è stipulato per importi intorno al 50-60% del valore di mercato dell’immobile.

La scelta tra tasso fisso e variabile

Chi decide per il tasso fisso conosce fin dalla prima rata la somma di denaro che gli serve per pagare anche l’ultima. Con il tasso variabile l’importo della rata può variare periodicamente con il parametro al quale è agganciato, in genere l’indice Euribor.

In partenza, il tasso variabile è più basso di quello fisso. Ma quando si deve effettuare la scelta tra i due tassi bisogna mettere in conto la possibilità che aumenti nel corso del tempo, anche nel medio periodo. E’ bene quindi fare simulazioni sul possibile aumento della rata e considerare il proprio rapporto rata-reddito.

Attenzione al Taeg

Una volta scelto il tasso, bisogna prestare attenzione al suo livello applicato per il calcolo delle rate (il tasso nominale annuo) e le altre spese accessorie che fanno aumentare il costo effettivo del finanziamento. Per fare la scelta più conveniente, bisogna guardare al tasso annuo effettivo globale (Taeg).

La banca deve fornire al cliente la documentazione che gli consenta di confrontare le diverse possibilità offerte dal mercato. Si tratta di un obbligo per la banca introdotto con il Dlgs 72/2016 sui mutui per gli immobili residenziali. Con tale provvedimento è stata introdotta anche una nuova procedura, alternativa al pignoramento e vendita all’asta dell’abitazione, per i casi di morosità.

Nel contratto di mutuo, sottoscritto davanti al notaio al monento del rogito, può essere stabilito che, in caso di mancato pagamento di 18 rate mensili, l’intero debito si estingue con il trasferimento della casa alla banca, anche se il suo valore è inferiore al debito.

Istat, prezzi delle case giù dell'1,4%: è il nuovo a trainare il ribasso

Secondo l'indice Istat dei prezzi delle abitazioni, il valore delle case in Italia nel II trimestre del 2016 è diminuito dello 0,4% su base trimestrale e dell'1,4% su base annuale. Un'accentuazione del calo dovuta principalmente alla flessione dei prezzi degli immobili nuovi (-2,3%), che per la prima volta non è solo più ampia, ma addirittura doppia rispetto a quella delle abitazioni esistenti (-1,3%)

Nel secondo trimestre 2016, sulla base delle stime preliminari, i prezzi delle abitazioni diminuiscono dello 0,4% rispetto al trimestre precedente; il calo congiunturale riguarda le abitazioni nuove (-1,7%) mentre quelle esistenti registrano una variazione nulla.

 

Su base annua la diminuzione dei prezzi persiste e si amplia di quattro decimi di punto percentuale (-1,4%, da -1,0% del trimestre precedente). La maggiore flessione tendenziale è dovuta alle abitazioni nuove (-2,3%, da -0,5% del primo trimestre 2016) mentre il calo dei prezzi delle abitazioni esistenti è stabile e pari a -1,2%.  È per la prima volta, quindi, da quando è disponibile la serie storica dell’IPAB, che i prezzi delle abitazioni nuove mostrano un profilo tendenziale peggiore rispetto a quelli delle esistenti con una diminuzione quasi doppia di quella registrata da queste ultime.

L'andamento nel primo semestre e negli ultimi cinque anni

In media, nel primo semestre del 2016, rispetto allo stesso periodo del 2015, i prezzi delle abitazioni diminuiscono dell’1,2%, sintesi di un calo dell’ 1,4% per quelle nuove (il cui peso sull’indice generale è poco più di un quinto) e dell’1,2% per quelle esistenti. Rispetto alla media del 2010, nel secondo trimestre 2016 i prezzi delle abitazioni sono diminuiti del 15,1% (-3,8% le abitazioni nuove, -19,9% le esistenti).

La lieve accentuazione del calo tendenziale dei prezzi delle abitazioni si manifesta contestualmente a una marcata crescita del numero di immobili residenziali compravenduti (+22,9% rispetto al secondo trimestre del 2015 secondo i dati diffusi dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate).

domenica 2 ottobre 2016

Come vendere casa in comproprietà tra marito e moglie

 

Come vendere casa in comproprietà tra marito e moglie

 

I coniugi devono vendere insieme la casa in comproprietà se sono in comunione legale, possono venderla separatamente se hanno scelto la separazione dei beni.

La legittimazione a vendere un bene immobile in comproprietà tra moglie e marito dipende dal regime patrimoniale scelto dai coniugi. Infatti il bene in comunione legale va considerato comune e per questo va venduto dai due coniugi insieme. Diversamente, la casa acquistata in separazione dei beni appartiene a marito e moglie per una quota determinata, che può essere rivenduta anche senza il consenso dell’altro. Vediamo in concreto come funziona.

Il regime previsto dalla legge per regolare i rapporti patrimoniali tra i coniugi è quello della comunione legale dei beni [1].

Si definisce legale perché opera automaticamente in mancanza di diversa scelta da parte degli sposi, che può essere compiuta al momento delle nozze o anche successivamente.

PUBBLICITÀ

Per i coniugi in comunione legale dunque la regola è che vanno in comproprietà tutti i beni immobili acquistati sia insieme che separatamente durante il matrimonio, persino all’insaputa l’uno dell’altro [2].

Fanno eccezione, ovvero rimangono beni personali del coniuge:

  • gli immobili ricevuti in eredità o per donazione;
  • i beni di uso strettamente personale, quelli che servono all’esercizio della professione e quelli acquistati con il ricavato della precedente vendita di un bene personale. In questo caso però è necessario, affinché l’immobile non cada in comunione, che sia presente durante la stipula anche l’altro coniuge, il quale deve confermare che il bene sia effettivamente personale.

Questo tipo di comproprietà ha poi la caratteristica unica di essere senza quote. In altre parole i coniugi non sono singolarmente proprietari di una quota del bene (metà e metà), ma sono insieme e nello stesso tempo comproprietari del tutto.

La principale conseguenza di tale regime è che il singolo coniuge non può alienare da solo la casa in comunione legale, né ovviamente può vendere una parte o una quota del bene. Ѐ necessario che marito e moglie vendano congiuntamente [3].

Dunque gli sposi devono essere d’accordo nella scelta di vendere la casa in comproprietà.

Se uno dei due rifiuta di dare il consenso, l’unica soluzione per l’altro è rivolgersi al giudice, che autorizza il marito o la moglie a vendere l’intero bene solo se la stipulazione dell’atto è necessaria nell’interesse della famiglia o dell’azienda gestita da entrambi i coniugi e costituita dopo il matrimonio [4].

Ѐ indispensabile l’autorizzazione del giudice anche quando uno degli sposi è lontano o è impedito a partecipare alla vendita e questa risulta necessaria [5]. Questo tipo di autorizzazione può ad esempio essere richiesto quando uno dei coniugi sia gravemente malato e la vendita della casa sia essenziale ad avere il denaro per affrontare cure o interventi costosi.

In qualsiasi momento, e per evitare di dover ricorrere al giudice, i coniugi in comunione legale possono fare una procura dal notaio, in modo che la vendita della casa in comproprietà possa essere fatta anche autonomamente dal coniuge che ha ricevuto il potere di rappresentare l’altro.

Cosa accade se il marito o la moglie vendono da soli la casa di cui sono comproprietari in comunione legale?

Se il consorte assente è comunque d’accordo, può convalidare la vendita dando il suo consenso in un secondo momento.

Diversamente, se manca il consenso, il coniuge che non ha partecipato alla vendita può chiedere l’annullamento dell’atto [6].

Per ottenere l’annullamento va proposta una apposita domanda giudiziale entro un anno dalla data in cui la vendita è stata scoperta e in ogni caso entro un anno da quando è stata trascritta.

Per evitare la comunione legale e le conseguenze che ne derivano, i coniugi possono scegliere di comune accordo di optare per il regime della separazione dei beni. Questa scelta è sempre consigliabile quando uno o entrambi gli sposi svolgono attività imprenditoriale o professionale, in quanto tutela maggiormente il patrimonio dai creditori.

Ebbene la scelta della separazione dei beni può essere fatta:

  • al momento delle nozze, dichiarandola nell’atto di celebrazione del matrimonio;
  • in qualsiasi momento, successivamente al matrimonio, con atto pubblico redatto dal notaio con l’assistenza di due testimoni [7].

Chiunque può verificare il regime patrimoniale della coppia, richiedendo al Comune dove sono state celebrate le nozze un estratto per riassunto dell’atto di matrimonio, che viene rilasciato in carta libera (non si pagano marche da bollo).

Quando i coniugi sono in separazione dei beni non si verifica alcun acquisto automatico in favore del coniuge, che rimane estraneo a tutti gli effetti alla compravendita fatta dall’altro separatamente.

Naturalmente anche in caso di separazione dei beni i coniugi possono diventare comproprietari della casa di abitazione, ma ciò avviene solo se la acquistano insieme.

Questo tipo di comproprietà non ha nulla di diverso da quella che può sussistere ordinariamente tra soci o tra parenti.

La conseguenza è che ciascuno dei coniugi può decidere singolarmente, e a prescindere dalla volontà dell’altro, di alienare la sua quota, senza che l’altro possa opporsi o vantare diritti di prelazione (cioè il diritto di essere preferito quale acquirente a soggetti terzi).

Salva la possibilità di fare una procura notarile, il marito o la moglie che sono comproprietari in separazione dei beni non possono vendere l’intero bene senza il consenso dell’altro. Infatti ciascuno ha diritto di vendere solo la propria quota.

[1] Art. 159 cod. civ.

[2] Art. 177 cod. civ.

[3] Art. 180 cod. civ.

[4] Art. 181 cod. civ.

[5] Art. 182 cod. civ.

[6] Art. 184 cod. civ.

[7] Art. 48 L. 16.02.1913 n. 89.

sabato 1 ottobre 2016

Tutti i dettagli nel sondaggio congiunturale sul mercato delle abitazioni in Italia realizzato da Banca d’Italia e Tecnoborsa, con la cooperazione dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate

La domanda di immobili in Italia continua a migliorare.
Lo dimostrano i dati del sondaggio congiunturale, realizzato a più voci, in relazione al secondo trimestre del 2016.

Il report è stato messo a punto da Banca d’Italia e Tecnoborsa, con la cooperazione dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia delle Entrate, e ha potuto contare sulla partecipazione di 1.129 agenzie immobiliari sparse sul territorio italiano. Agenzie che hanno fornito informazioni specifiche “sulle attività di compravendita e locazione, sui relativi prezzi nel trimestre aprile-giugno 2016 e sulle prospettive di breve periodo”.

Suddiviso in capitolo distinti il report tratta il settore osservandolo da vicino.
Si parte dalle novità sui prezzi delle abitazioni per passare alle informazioni sulle compravendite e poi, a seguire, un mare di dettagli su incarichi a vendere, trattative e tempi di vendita, modalità di finanziamento degli acquisti, locazioni, prospettive del mercato in cui operano le agenzie e quelle del mercato nazionale delle compravendite.

In fatto di prezzi delle abitazioni gli operatori fanno sapere che il mercato “riporta una diminuzione dei prezzi di vendita, che si attesta ora sul 43,6% (44,8% nel trimestre precedente, 56,4% nella rilevazione di un anno fa), mentre i giudizi di stabilità salgono al 54,8% (erano il 52,4% nella scorsa indagine). Il miglioramento riflette in particolar modo gli andamenti nelle regioni del Nord Ovest, dove le risposte di flessione hanno riguardato il 41,7% degli agenti (45,5% nella precedente rilevazione)”.

Si confermano decisamente positive le condizioni della domanda.
Risulta chiaramente in aumento il margine medio di sconto sui prezzi di vendita rispetto alle richieste iniziali del venditore. Una risalita che, seppur lieve, denota l’effetto di un incremento dei tempi medi di compravendita nel Nord Ovest e nel Centro.

Si può considerare in netto aumento la quota di acquisti finanziati con mutuo ipotecario. Percentuali alla mano l’aumento si è stabilizzato sul 76,1%, al pari del rapporto tra prestito e valore dell’immobile, che ha raggiunto il 73,8%.

In fatto di locazioni il mercato mette in evidenza una lieve variazione.
Infatti la quota di operatori che ha dichiarato di avere locato almeno un immobile nel secondo trimestre, è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al periodo precedente e stabilizzatasi sul 77,9%.
E’ cresciuto, toccando quota 6,8%, invece il margine medio di sconto sui canoni rispetto alle richieste iniziali del locatore.

Osservando il mercato in cui operano le agenzie, le prospettiva dei professionisti di settore sulle tendenze a breve termine sono sfavorevoli, “ma risultano in netto miglioramento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”.

La quota di operatori, che prevede una flessione dei prezzi nel trimestre in corso, è cresciuta passando al 39%, dal 31,8% della rilevazione di aprile).

Le aspettative del mercato nazionale delle compravendite “sono meno favorevoli rispetto alla precedente rilevazione, risentendo di fattori di natura stagionale, ma si sono rafforzate nel confronto con il corrispondente trimestre del 2015″.

Anche se il mercato mostra livelli decisamente inferiori a quello degli anni ’80, la crescita è un dato di fatto.
Se nel 2014 la crescita era stata influenzata dagli effetti che aveva prodotto sul mercato l’ingresso del nuovo regime delle imposte di registro, catastale ed ipotecario, i dati più recenti sono decisamente positivi.

La ripresa del mercato immobiliare, se da un lato è dovuta anche ad un segnale di accelerazione dell’economia, dall’altro riflette la necessità di acquisto di un bene come rappresenta quello dell’abitazione, che non cessa di essere importante per gli italiani.

L’acquisto di un bene rifugio come quello della casa è un desiderio al quale ogni famiglia guarda con entusiasmo, soprattutto perchè disporre di una casa propria è sinonimo di serenità.
E per preservare l’abitazione da ogni genere di problematica, il proprietario valuta con attenzione l’idea di sottoscrivere una polizza assicurativa sulla casa in grado di limitare danni causati da incendi, fuoriuscita di gas, atti vandalici, perdite d’acqua, eventi sismici oppure furti.

Mutuo:rinegoziazione surroga, e sostituzione.

Come sanare i piccoli abusi edilizi 

È possibile ottenere la sanatoria dei piccoli abusi edilizi presentando apposita istanza presso gli uffici del comune in cui è situato l’immobile.

Cos’è l’abuso edilizio?

L’abuso edilizio consiste nella condotta di chi realizza una costruzione o effettua lavori in mancanza del titolo richiesto dalla legge o in difformità da esso.

L’ipotesi in esame sul piano amministrativo dà luogo ad un illecito punito mediante apposita sanzione.

Tuttavia, essa assume rilievo anche sotto il profilo penale  integrando una contravvenzione (cioè un reato di minore gravità rispetto al delitto) punito sia con la pena detentiva che con quella pecuniaria.

 

Qual è la sanzione amministrativa?

La sanzione che la Pubblica Amministrazione è legittimata ad applicare quando accerta l’esistenza di un abuso edilizio consiste nell’ordine di demolizione dell’immobile a spese del responsabile.

Tuttavia, qualora sia trascorso un notevole periodo di tempo dal momento in cui il reato è stato commesso a quello in cui esso viene accertato, la P.A. non potrà emettere il provvedimento di demolizione in modo automatico ma dovrà tenere in debita considerazione, indicandole espressamente, sia le ragioni di interesse pubblico che giustificano la demolizione del fabbricato sia gli interessi privati nel frattempo maturati.

In altre parole, quando non si ravvisano interessi pubblici di particolare rilievo che giustificano il provvedimento di demolizione, il decorso del lungo periodo di tempo potrebbe legittimare l’applicazione di una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione.

Infatti, qualora la P.A. dovesse ritenere non necessario procedere con l’ordine di demolizione, disporrebbe in alternativa il pagamento di una sanzione pecuniaria.

Quali sono le sanzioni penali?

Sotto il profilo penale, la condotta consistente nel realizzare un intervento edilizio illecito è punita ai sensi dell’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001.

Questo articolo prevede tre diverse ipotesi stabilendo rispettivamente:

  • l’ammenda (cioè la pena pecuniaria) fino a 329 euro per l’inosservanza delle norme, delle prescrizioni e delle modalità esecutive dei lavori previste dal Decreto nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire;
  • l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 164 a 51.645 euro nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l’ordine di sospensione;
  • l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 493 a 51.645 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso[1].

Dopo quanto tempo si prescrive il reato di abuso edilizio?

Il reato in esame integra un illecito contravvenzionale: sotto il profilo della prescrizione le contravvenzioni si estinguono in quattro anni qualora non vi siano stati atti interruttivi del decorso del tempo o in cinque anni in presenza di uno degli atti interruttivi stabiliti dal legislatore[2][3].

Al fine di individuare il momento a partire dal quale inizia a decorrere il termine di prescrizione è necessario distinguere tre ipotesi:

  • qualora sia stato fatto un accertamento, a seguito del quale la pubblica autorità ha contestato e disposto il sequestro dell’immobile, il termine coincide con il momento in cui è stato adottato il provvedimento di sequestro;
  • nel caso in cui non sia stato disposto il sequestro, il tempo di prescrizione inizierà a decorrere dalla sentenza di primo grado;
  • nell’ipotesi in cui nessuno si sia accorto di alcunché per tutta la durata dei lavori, il termine coinciderà con il momento di effettiva cessazione dei lavori.

È bene tuttavia distinguere tra il reato e l’illecito amministrativo dato che la medesima condotta può assumere rilievo su entrambi i piani cioè quello penale e quello amministrativo.

Mentre in ambito penale il reato si prescrive una volta che è decorso il periodo di tempo previsto dal legislatore, in ambito amministrativo l’illecito non è soggetto a termini di prescrizione e quindi potrà essere punito in ogni tempo.

Come faccio a sanare un piccolo abuso edilizio?

Il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono ottenere un permesso in sanatoria.

A tal fine è necessario presentare apposita istanza all’ufficio comunale competente.

Tuttavia è importante sottolineare che il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato a due presupposti:

  • che la costruzione edilizia risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento, sia al momento della presentazione della domanda;
  • che il responsabile effettui il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia.

Il dirigente o il responsabile dell’ufficio comunale competente dovrà pronunciarsi entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza e, nel caso di rigetto, sarà possibile impugnare il provvedimento (cioè contestare la decisione adottata dal soggetto pubblico) innanzi al giudice amministrativo[4].

Poiché mediante la presentazione della richiesta del permesso in sanatoria si denuncia l’esistenza di una costruzione abusiva, è bene che la richiesta sia redatta da un tecnico (ad es. un geometra o un ingegnere) il quale riporterà nel documento – tra le altre indicazioni – la data in cui i lavori sono stati eseguiti e la natura degli stessi.

Cosa succede se ho ereditato un immobile abusivo?

Il reato si considera commesso nel momento in cui viene accertato da parte dell’autorità competente: è, infatti, da quel momento che inizia a decorrere il termine per la prescrizione dello stesso, a meno che non si riesca a dimostrare che la condotta illecita è stata realizzata in un tempo diverso e che quindi il termine prescrizionale è già decorso.

Qualora taluno erediti un immobile e successivamente ne venga accertata l’abusività è da quel momento che inizierà a decorrere il termine di prescrizione del reato con la conseguenza che il proprietario della costruzione ne risponderà penalmente.

L’unico modo per andare esente dalla responsabilità penale è dimostrare che il manufatto è stato realizzato molto tempo addietro e che il termine di prescrizione è già decorso.

La prova può essere fornita mediante una perizia che attesti la vetustà della costruzione o mediante il ricorso a testimoni che possano dimostrare che l’ultimazione dei lavori risale a molti anni prima e che quindi il reato si è prescritto.

[1] Art. 44 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

[2] Art. 157 c.p.

[3] Art. 160 c.p.: “Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna. Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e quella di convalida del fermo o dell’arresto, l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice, l’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio, il provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione, la richiesta di rinvio a giudizio, il decreto di fissazione della udienza preliminare, l’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato, il decreto di fissazione della udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena, la presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo, il decreto che dispone il giudizio immediato, il decreto che dispone il giudizio e il decreto di citazione a giudizio.

La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre i limiti di cui all’art 161 secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all’articoli 51, commi 3 bis e 3 quater, del codice di procedura penale”.

[4] Art. 36 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.