mercoledì 29 giugno 2016

Aggiornamento Istat: 5 motivi per cui non conviene più adeguare il canone di affitto

 

Aggiornamento Istat_tanto richiesto quanto oramai superato. Tutte le ragioni, sia normative che di mercato.

Certo, a dirla così suona paradossale. Se fino a qualche anno fa non applicare al canone di locazione l’adeguamento Istat poteva suonare un paradosso, oggi non è altrettanto certo che si tratti di uno svantaggio per il locatore. Anzi! Vediamo le 5 ragioni per cui l’aggiornamento Istat non è più conveniente per l’affitto di un’abitazione.

Sono tantissime le domande che sono state poste dai nostri lettori all’Esperto di Solo Affitti su questo argomento.

Oltre al classico dubbio su come si calcola l’aggiornamento Istat del canone di affitto, gli aspetti da chiarire per chi ha un contratto di locazione da adeguare all’inflazione sono tanti:
- il tipo di indice da usare (FOI, mi raccomando!)
- quando si può aggiornare il canone al 100% dell’indice Istat e quando invece è obbligatorio aumentare il canone fino al massimo del 75% dell’indice Istat
- quali sono i casi in cui non è possibile applicare l’aggiornamento Istat (ad esempio, quando il locatore applica la cedolare secca per la tassazione del reddito da locazione)
- l’adeguamento del canone di locazione funziona allo stesso modo per i contratti di affitto abitativi e per quelli commerciali?

Noi però lasciamo all’articolo che trovate al link sopra riportato tutte le risposte ai dubbi tecnici legati alla normativa sulla locazione. E ci chiediamo piuttosto: conviene ancora aggiornare il canone di affitto mensile che paga il conduttore in ragione dell’indice Istat?
La risposta appare scontata: sì, meglio un canone più alto, direbbe chiunque. Ma, come potete immaginare, in questo articolo sosteniamo le ragioni del no. Sono 5, per la precisione: vediamo quali.

1) Se l’inflazione è pari a zero o negativa, che senso ha l’aggiornamento Istat?

Aggiornamento Istat 5 motivi per cui non conviene più adeguare il canone di affitto img

Il grafico lo mostra con chiarezza: sono almeno due anni e mezzo che l’indice Istat FOI oscilla tra il +1% e il -1%. Insomma, è fermo.
Si tratta della variazione dei prezzi al consumo per le Famiglie di Operai e Impiegati, ossia l’indicatore Istat in ragione del quale viene calcolato l’aggiornamento Istat ai contratti di locazione abitativi (considerato solo al 75%, anziché al 100%, se il contratto è canone concordato).
Se l’aggiornamento è pressoché nullo o negativo da diversi anni, ormai, la valutazione è piuttosto semplice: non conviene applicarlo.
Certo, se i prezzi dovessero tornare a salire, questa argomentazione verrebbe meno. Obiezione corretta.
Ma la domanda, a questo punto, diventa: quali aspettative di inflazione pensiamo possano esserci nei prossimi anni?
Pensiamo davvero che, con il perdurante contesto di stagnazione dei prezzi si possa entro pochi anni tornare ai (discreti) livelli di inflazione del 2007-2008 o del 2012? Pur senza sfera di cristallo, appare difficile ritenere sia uno scenario realistico.

2) Il 75% di poco è pochissimo. Convenienza bassa quando la legge non permette l’aggiornamento al 100%

Se il punto precedente non vi ha convinto, rincariamo la dose.
Perché il ragionamento è: se già l’aggiornamento è poco, pensate che per certe tipologie contrattuali quel poco deve essere ridotto del 25%.
Di quali tipi di contratto stiamo parlando? Oltre che per i commerciali, anche di tutti i contratti di locazione abitativa a canone concordato: contratto a canone agevolato 3+2, contratto a studenti universitari fuori sede, contratto transitorio.
Mentre infatti per i contratti liberi 4+4 l’aggiornamento può essere stabilito tra le parti anche in misura pari al 100% dell’indice di variazione dei prezzi, l’incremento del canone in ragione del 75% dell’indice Istat non è derogabile per le tipologie di contratto a canone convenzionato.

 

3) Canone costante con cedolare secca vs. canone crescente ma Irpef molto cara?

L’introduzione, dal 2011, della cedolare secca, ovvero la forma di imposizione fiscale bassa e fissa a cui le persone fisiche possono scegliere di assoggettare i propri redditi da locazione derivanti da contratti di locazione abitativi, è stato il vero spartiacque.
Perché, come molti sapranno, condizione per poter usufruire del regime fiscale della cedolare secca è rinunciare ad adeguare il canone di affitto all’indice Istat.
E il dilemma se lo sono chiarito in molti: meglio pagare poche tasse fisse e mantenere stabile il canone di affitto inizialmente pattuito con l’inquilino, piuttosto che essere liberi di applicare dei (più o meno consistenti) rincari annuali del canone ma subire, nel frattempo, un consistente aumento dell’IRPEF.
Prova della preferenza degli italiani sono le statistiche, che dal 2011 al 2015 hanno segnalato un progressivo incremento dell’utilizzo della cedolare secca nel nostro paese: dal 53% dell’anno in cui fu lanciata dal Governo all’87% dei contratti lo scorso anno nelle città principali italiane.
Segno che, per i locatori, non sono i venti euro in più di affitto al mese a fare la differenza, se l’alternativa è un consistente risparmio fiscale.

4) Niente cedolare secca per poter aggiornare il canone: ma se i contratti hanno breve durata, che senso ha?

È altrettanto importante chiedersi per quante annualità si potrà aggiornare il canone di locazione, se si sceglie di non sfruttare la cedolare secca. Infatti, l’aggiornamento è una possibilità che il locatore decide di mantenere per sé con la speranza che frutti un canone di locazione più elevato negli anni seguenti, compensando l’inflazione.
Ma la sua possibilità di avvalersi concretamente di questa facoltà di rivalutazione dipende dal conduttore. È infatti la permanenza effettiva dell’inquilino nell’immobile in affitto a determinare la lungimiranza della scelta del locatore. In caso di locazione di durata molto breve da parte dell’inquilino, l’«arma» dell’aggiornamento Istat non potrà infatti essere utilizzata dal proprietario.
La domanda diventa quindi: quanto ci si può attendere che duri mediamente una locazione abitativa? Ovvero, più concretamente: quando arriva solitamente la disdetta dal contratto di affitto da parte dell’inquilino?
L’Ufficio Studi di Solo Affitti, in una statistica relativa al 2015, ci fornisce una risposta chiara relativa alle principali città: 27,4 mesi. Ovvero, in soldoni, i contratti di locazione abitativi durano effettivamente poco più di 2 anni.
Dato che conferma che, nella maggior parte dei casi, l’aggiornamento Istat non è destinato a portare particolari frutti al locatore che, scegliendo di non scegliere la cedolare secca, si riserva la facoltà di rivalutare il canone di affitto.

5) Se i canoni di affitto sono stabili o in discesa, aggiornare il canone significa andare contro il mercato

Il mercato ha sempre ragione. E anche quando non ce l’ha, se la prende.
Per il proprietario di casa, in tempo di canoni in discesa (come negli ultimi anni, fino al 2014) o in leggera crescita (come nel 2015), puntare sull’aggiornamento del canone di affitto significa rischiare di combattere una battaglia contro il mercato. Una battaglia persa in partenza.
Sì, perché se anche l’inflazione fosse nei prossimi anni di diversi punti percentuali (cosa già piuttosto poco probabile), ma i canoni di affitto dovessero mantenersi tendenzialmente stabili (ipotesi invece abbastanza condivisa nel mondo immobiliare), rivalutare il canone di affitto significherebbe portarlo “sopra mercato”.
Spingendo così, indirettamente, l’inquilino a trovarsi una nuova abitazione da affittare, visto che i canoni delle altre abitazioni disponibili sul mercato per la locazione saranno nel frattempo divenuti relativamente più vantaggiosi rispetto al canone della casa in cui vive.
A meno quindi che i canoni di affitto non ritornino stabilmente a crescere a ritmi piuttosto elevati, la possibilità per l’inquilino di dare disdetta se l’affitto dovesse diventare «fuori mercato» è un deterrente importante all’applicazione dell’adeguamento Istat da parte del proprietario.

domenica 26 giugno 2016

Abuso edilizio: anche se passa tanto tempo nessuna sanatoria

 

Tettoia demolizione distanze minime e decoro architettonico

Da demolire, anche se costruito da tempo immemorabile il balcone senza licenza edilizia anche se l’abuso è stato tollerato per anni e l’amministrazione non si è mai attivata.

L’ordine di demolizione di un immobile abusivo non va mai in prescrizione: l’amministrazione può esercitare tale potere in qualsiasi momento, anche dopo numerosi anni dal compimento dell’opera. Il decorso del tempo, infatti, non comporta alcuna sanatoria. È quanto ricordato dal Tar Campania con una recente sentenza [1].

Al centro della contesa vi è un balcone costruito durante una ristrutturazione, ma senza permesso edilizio. Da tempo immemorabile, il manufatto era restato lì, in bella mostra a tutta al cittadinanza, ma nessuno aveva mai detto nulla, ancor meno l’amministrazione che aveva così dimostrato – a detta del ricorrente – di tollerare l’illecito. Ma non è così e l’autore dell’abuso edilizio non può mai dormire su sette cuscini neanche se è passata una generazione: la demolizione può essere chiesta in qualsiasi momento.

La prescrizione del reato di abuso edilizio

Quando si parla di prescrizione nell’ambito del reato di abuso edilizio è necessario separare il discorso della sanzione amministrativa consistente nella demolizione, dalla sanzione penale conseguente al crimine commesso. Solo quest’ultima si prescrive. La prima, invece, mai. In particolare, i reati edilizi si prescrivono in 4 o 5 anni a seconda che sia iniziata o meno, in tale lasso di tempo, l’azione penale. In particolare, la prescrizione scatta dopo

4 anni se, in tutto questo lasso tempo, nessuno si è mai accorto dell’abuso ed il tempo è decorso senza l’avvio di azioni penali;

5 anni se, invece, l’azione penale ha avuto avvio: intervengono infatti le cosiddette cause di sospensione e/o interruzione del corso della prescrizione.

L’ordine di demolizione

L’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi per come era prima dell’abuso non trova termini di prescrizione e può essere impartito dalle autorità in qualsiasi momento: in questi casi viene prima, infatti, l’interesse pubblico al rispetto dei vincoli urbanistici. Pertanto, il semplice decorso del tempo non può costituire una sanatoria se, a monte, manca il permesso di costruire. Né il proprietario dell’immobile può difendersi sostenendo che l’inerzia dell’amministrazione manifestata negli anni abbia generato in lui l’affidamento sulla tollerabilità delle opere poste in essere.

Il provvedimento finalizzato alla demolizione ha una sua autonomia rispetto a quanto avviene in sede di processo penale tanto è vero – sottolinea la Cassazione [2] – che neppure il sequestro penale dell’immobile è di ostacolo alla sua “distruzione”.

Spesso, l’ordine di demolizione arriva all’improvviso, anche a distanza di anni dal compimento dell’opera. A questo punto, il destinatario dell’ordinanza di demolizione (che potrebbe essere anche un soggetto diverso da quello che ha posto in essere l’abuso) si trincera dietro la cosiddetta teoria dell’affidamento. Il punto è questo: il decorso del tempo può, in qualche maniera, legittimare l’opera abusiva?

Secondo la tesi più accreditata della giurisprudenza, il decorso del tempo non può in alcun modo legittimare l’opera abusiva. Quando è stato commesso un fatto illecito con una costruzione in tutto o in parte abusiva, non è ravvisabile un “affidamento incolpevole”, né il titolare dell’abuso (o un suo avente causa) può dolersi del ritardo con cui l’Amministrazione ha emanato il dovuto ordine di demolizione. Ammettere “l’estinzione” dell’abuso per il decorso del tempo vorrebbe dire accettare una sanatoria di fatto.

Tale ritardo può dar luogo alle conseguenze sanzionatorie a carico delle autorità che non esercitano le loro doverose funzioni, ma non può essere invocato a proprio favore da chi riceve – a causa dell’omissione della pubblica autorità – il vantaggio di poter continuare a utilizzare un bene, di cui l’ordinamento dispone la demolizione [3].

Il potere-dovere dell’amministrazione

Con riferimento al potere-dovere dell’amministrazione di procedere alla demolizione dell’opera abusiva, il Comune, una volta che abbia avviato il procedimento sanzionatorio con l’emanazione dell’ingiunzione di demolizione, resta obbligato a portarlo a compimento adottando tutti i provvedimenti e gli atti materiali ulteriori, diretti a darvi piena attuazione [4].

Note

[1] Tar Campania, sent. n. 2154/2016.

[2] Cass. sent. n. 49331/2015. L’ordine di demolizione ha natura strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione (TAR Lazio, Roma, Sez. I, sent. 1° aprile 2015, n. 4943 e Sez. I- quater , sent. 19 marzo 2015, n. 43550), per cui non richiede l’avvio del procedimento previsto dalla legge 241/1990 che impone la partecipazione del cittadino. L’intervento collaborativo della parte, infatti, non potrebbe in alcun modo influire sul risultato del procedimento in quanto l’amministrazione, come dicevamo, esercita poteri vincolanti e non discrezionali (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 4 marzo 2013, n. 1268). Trattandosi di atto vincolato, non è richiesta neanche una specifica motivazione ma è sufficiente che il provvedimento contenga, al proprio interno, il riferimento al carattere illecito dell’opera realizzata né richiede una espressa comparazione tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’opera, che è in re ipsa , e quello privato alla relativa conservazione, e ciò anche se l’intervento repressivo avvenga a distanza di tempo dalla commissione dell’abuso (TAR Lazio, Roma, Sez. II- bis , sent. 16 gennaio 2015, n. 1647; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 29 gennaio 2015, n. 406; TAR Campania, Napoli, Sez. VII, sent. 14 novembre 2014, n. 5899; TAR Campania, Napoli, Sez. VI, sent. 23 ottobre 2014, n. 5455; TAR Roma, Sez. II- ter , sent. 13 ottobre 2014, n. 10271; Cons. Stato, Sez. V, sent. 2 ottobre 2014, n. 4926; Cons. Stato, Sez. V, sent. 13 marzo 2014, n. 1230; Cons. Stato, Sez. V, sent. 30 giugno 2014, n. 3282; Cons. Stato, Sez. IV, sent. 28 aprile 2014, n. 2194; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 28 gennaio 2014, n. 431; Cons. Stato, sent. 11 dicembre 2013, n. 5943; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 11 novembre 2013, n. 5368; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 21 ottobre 2013, n. 5088; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 4 marzo 2013, n. 1268; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 28 gennaio 2013, n. 498; Cons. Stato, Sez. IV, sent. 20 luglio 2011, n. 443; Cons. Stato, Sez. VI, sent. 11 maggio 2011, n. 2781; Cons. Stato, Sez. V, sent. 27 aprile 2011, n 2526).

L’ordine di demolizione non richiede neanche una comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato coinvolto e sacrificato, e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione (TAR Piemonte, Sez. I, sent. 12 luglio 2013, n. 889; Cons. Stato, Sez. IV, sent. 16 aprile 2012, n. 2185 e Sez. V, sent. 17 settembre 2012, n. 4915).

. Tale tesi trova il proprio fondamento legislativo nel combinato disposto dell’art. 2, comma 1, e dell’art. 21- quater della legge 241/1990 per cui « i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente» con la conseguenza che l’amministrazione ha il potere-dovere di portare a effettiva attuazione i propri provvedimenti emessi al termine del procedimento. Chi ne ha interesse può agire proponendo, nei confronti del comune, un’istanza per sollecitare l’esercizio dei poteri repressivi in materia edilizia, e, in caso di inerzia da parte dell’amministrazione, può ricorrere avverso il suo silenzio.

[3] Cons. Stato, sent. n. 431/2014 e n. 3183/2013; TAR Campania sent. n. 2390/2012.

[4] La richiesta con cui il responsabile del servizio tecnico comunale chiede la disponibilità economica per effettuare l’impegno di spesa necessaria ad anticipare i costi della demolizione, nonché la richiesta alla regione di poter accedere al fondo di rotazione stanziato per la demolizione di opere abusive, pur potendo essere considerati atti prodromici alla demolizione non giustificano l’inerzia del comune (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 10 maggio 2013, n. 2565).

giovedì 23 giugno 2016

Prezzi e mutui non bastano: ecco perché le famiglie italiane non comprano casa

Prezzi e mutui non bastano: ecco perché le famiglie italiane non comprano casa

 

 

Nonostante l'aumento delle compravendite registrato nel 2015 e nel primo trimestre del 2016, secondo l'indagine sulle famiglie di Nomisma, quest'anno si assiste a un sostanziale "raffreddamento" delle intenzioni di acquisto degli italiani, con una domanda potenziale passata da 2,5 a 2 milioni di famiglie. Le condizioni del mercato favorevoli, con mutui e prezzi quanto mai vantaggiosi, non sono infatti sufficienti a contrastare la debolezza economica e l'erosione dei redditi dei nostri connazionali.

Si raffreddano le intenzioni di acquistano

Pur in presenza di un aumento delle compravendite nel 2015 (+6,5% rispetto al 2014) e nel primo trimestre 2016 (+20,6% rispetto al primo trimestre 2015), l’indagine restituisce un parziale “raffreddamento” delle intenzioni d’acquisto di abitazioni dichiarate all’inizio del 2016, dopo l’entusiasmo espresso nel 2015 (le famiglie interessate sono passate dal 12,2% all’8,8%). 

Ciò si estrinseca in un parziale “raffreddamento” delle intenzioni di acquisto di abitazioni registrato nel 2016 rispetto all’ “entusiasmo” manifestato nel 2015 (8,8% rispetto al 12,2%). La flessione più rilevante si riscontra in corrispondenza dei nuclei che esprimono “un’intenzione di acquisto nei prossimi mesi” passati dall’8,8% al 5,5%. Una riduzione di domanda potenziale – da 2,5 a 2 milioni di famiglie – dovuta dalla mancanza di condizioni finanziarie prospettiche adeguate.

I giovani dipendenti dal background familiare

Dallo studio realizzato da Nomisma sulla situazione delle famiglie italiane 2016 emerge la fotografia di un processo di polarizzazione. Si rafforza in maniera preoccupante la dipendenza tra il background familiare e la capacità reddituale delle giovani generazioni: l’Italia è uno tra i paesi OCSE in cui maggiormente i redditi dei figli sono correlati a quelli dei genitori.

Anche le città e i territori sperimentano processi di polarizzazione determinati soprattutto dalle capacità delle realtà urbane di essere attrattive. Questo trova conferma nel fenomeno – per Nomisma – di dimensioni epocali che vede un’ampia percentuale di studenti delle scuole secondarie che vorrebbero vivere all’estero: il 42,6% del totale dei ragazzi di cittadinanza italiana e il 46,5% dei ragazzi di cittadinanza straniera.

Nomisma conferma i modesti miglioramenti delle condizioni economiche delle famiglie osservati da Istat, ma nella prima parte del 2016 sembra essere aumentata la consapevolezza delle fragilità del sistema Paese e della transitorietà di alcuni innegabili segnali positivi registrati nell’ultimo anno (dalla caduta dei prezzi delle materie prime a quello degli sgravi contributivi sulle nuove assunzioni). Il miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie è certificato – se pur in maniera tutt'altro che marcata – dall’aumento del numero medio di persone che all’interno dei nuclei percepiscono un reddito.

Nonostante ciò, il clima che Nomisma rileva è di sostanziale “congelamento”, con un rallentamento delle intenzioni di acquisto della casa – in particolare come bene di investimento – e con un incremento della percentuale di famiglie che non riescono a risparmiare (passate da 31,9% a 37%). In definitiva, il lieve miglioramento dal punto di vista reddituale finisce per alimentare i consumi a scapito del risparmio e di scelte di investimento di medio-lungo termine.

Nel  2016 la domanda residenziale è massicciamente rappresentata da una componente di acquisto di seconda casa per uso familiare. È quindi evidente che questo stia avvenendo grazie al supporto che le famiglie di origine garantiscono ai figli, superando così il gap che rende difficile per la gran parte dei giovani nuclei affrontare l’investimento per l’acquisto di una abitazione.

Una famiglia su quattro in difficoltà nel pagare il mutuo

Nomisma registra inoltre un aumento rispetto alla dipendenza delle famiglie da mutui, domanda solo parzialmente assecondata dal mondo bancario. A questo proposito la rete familiare continua a svolgere un ruolo estremamente rilevante per colmare i bisogni sociali e finanziari delle nuove generazioni. Considerando sempre i mutui un quadro di fragilità si denota anche rispetto ai pagamenti in essere: nel corso di un anno si è passati dal 14,4% al 22,8% di famiglie che dichiarano difficoltà a far fronte al mutuo. Quasi una famiglia su quattro con un potenziale aumento di stock di sofferenze bancarie (non performing loans), dopo che per anni la capacità di tenuta su questo fronte era stata nettamente superiore a quella delle imprese.

L’interesse da parte dei nuclei nei confronti della casa rimane forte, ma con un approccio più “presentista” sia sull’acquisto, sia sulle ristrutturazioni. La percezione di transitorietà dei fattori positivi che hanno accresciuto il reddito disponibile nell’ultimo anno non consente alle famiglie di costruire scelte di investimento su un orizzonte temporale lungo, inducendole al più verso la rinegoziazione del mutuo o verso il mercato delle riqualificazioni.

Nel 2015 gli acquisti di abitazioni hanno riguardato 1,8% del totale delle famiglie (464 mila). Il dato è in linea con i due anni precedenti, seppur in virtù di un aumento di seconde case per uso del nucleo familiare plausibilmente per far fronte ai bisogni delle nuove generazioni. Il dato relativo alla domanda potenziale di seconde case per uso familiare è nell'ordine del 48,6% rispetto al 35,4% del 2015.

La fatica delle famiglie a sostenere spese di importo considerevole si riflette anche sulle intenzioni di ristrutturazione per il prossimo anno: Nomisma evidenzia come solo una famiglia su quattro intende procedere con investimenti di ristrutturazione e di queste il 40% dichiara che ricorrerà a un prestito bancario per sostenere l'investimento. Per l’Istituto bolognese questa situazione dovrebbe indurre il mondo dell’industria e della finanza a offrire prodotti e liquidità per alimentare un potenziale mercato non pienamente concretizzato. Un dato interessante riguarda la contrazione della componente di investimento, passata dal 16,1% del 2015 all’8,2% del 2016, a favore di motivazioni di acquisto “prima casa” o “seconda casa ad uso del nucleo familiare”.

I nuclei interessati ad acquistare un’abitazione si sono ridotti nell’ultimo anno di circa 500 mila unità, passando da 2,5 a 2 milioni. La propensione all’acquisto di un’abitazione nei prossimi mesi è più marcata tra i nuclei a reddito medio basso e più vulnerabili dal punto di vista finanziario. Rientrano in questa categoria i genitori soli con figli che hanno necessità di acquistare la casa a fronte di condizioni economiche precarie (14,6%) e giovani che hanno bisogno del supporto della famiglia di origine per l’acquisto dell’abitazione (13,6%).

E’ interessante segnalare che i giovani nella classe 18-34 anni che intendono acquistare casa hanno un’occupazione, vivono da soli o appartengono a famiglie poco numerose (genitori soli con figli) risiedono attualmente in affitto e possono contare su discrete disponibilità economiche (reddito per componente superiore a 1.500 euro). Rientrano in questa classe anche il gruppo di giovani che vive presumibilmente ancora con la famiglia d’origine in contesti familiari numerosi (4 e più componenti) che non intende comprare casa a causa di un lavoro precario e di limitate disponibilità economica (reddito per componente fino a 500 euro).

Passando alla componente di domanda di mutuo non soddisfatta, il 73% delle domande non accolte riguarda la mancanza di garanzie sufficienti. Le domande respinte riguardano anche i rifiuti che le banche compiono a livello informale ancor prima di aprire un’istruttoria. La domanda non accolta riguarda in particolare i genitori singoli con figli (7,6% della categoria) e nuclei numerosi (6,1% della categoria) con disponibilità economiche esigue.

Gli impieghi finanziari riguardanti l’investimento immobiliare indiretto coinvolgono il 44,9% dei nuclei (oltre 11 milioni di famiglie) ma solo il 2,9% di esse (oltre 740mila famiglie) dichiara di essere in possesso di prodotti finanziari legati al settore come ad esempio società immobiliari, quote fondi etc.

lunedì 20 giugno 2016

Detrazione 20% acquisto casa per locazione: le ultime novità dalle Entrate

Detrazione 20% acquisto casa per locazione: le ultime novità dalle Entrate

 

 

Il Dl 133/2014 ha introdotto una deduzione del 20% sull'acquisto di immobili da affittare per un periodo minimo di otto anni. Nelle risposte a Telecatasto, l'Agenzia delle Entrate ha sottolineato come tale bonus sussiste anche nel caso in cui a vendere la casa non sia un'impresa costrutturice o una cooperativa edile. Non solo, viene ribadito che gli otto anni della durata della locazione possono essere comprensivi anche dell'eventuale rinnovo per legge, come nel caso di un contratto 4+4.

Acquisto da imprese costruttrici o cooperative edili

Sebbene la prima formulazione dell'articolo 21 del dl 133/2014 prevedeva che gli immobili dovessero essere venduti da imprese costrutturici o cooperative edili, tale requisito non esiste nel testo di conversione in legge. Infatti, afferma il Fisco, rispetto all’originaria formulazione dell’art.21, nella quale venivano individuati quali soggetti cedenti le imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare, le cooperative edilizie o le imprese esecutrici degli 20 interventi di recupero incisivo, l’attuale norma non pone alcun vincolo alla qualifica del soggetto cedente. Sul tema, neanche il DM attuativo dell’8 settembre 2015 ha imposto una specifica qualifica in capo al cedente, cosicché si può ritenere che il beneficio è riconosciuto a prescindere dal soggetto cedente l’unità immobiliare.

Durata contratto di affitto

Secondo il Fisco, l'ambito di applicazione della norma dell'articolo 21 del dl 133/2014 riguarda tutti i contratti di locazione che abbiano una durata di anni otto, ricomprendendo anche le ipotesi in cui il contratto abbia tale periodo di efficacia per effetto di proroghe, previste per legge o concordate tra le parti.

domenica 19 giugno 2016

Se paghi in ritardo IMU e TASI….

 

Scaduto il 16 giugno l’ultimo giorno utile per pagare la prima rata dell’Imu e della Tasi 2016 e per chi non ha rispettato questa scadenza è possibile rimediare pagando sanzioni ridotte. Si parla in questo caso del ravvedimento operoso, l’istituto che permette di “ravvedersi” e pagare prima che il Fisco faccia i suoi accertamenti, le imposte dovute insieme a sanzioni ridotte in base ai gironi di ritardo, a cui si aggiungono gli interessi legali.

La sanzione piena prevista per chi non paga le imposte è del 30% sull’importo dovuto, ma si riduce a seconda dei giorni di ritardo nel versamento. Abbiamo così:

  • ravvedimento sprint: chi effettua il pagamento entro 14 giorni dalla scadenza pagherà una sanzione dello 0,2% per ogni giorno di ritardo
  • ravvedimento breve: chi paga con ritardo che va dal 15° al 30° giorno rispetto alla scadenza, la sanzione è del 3% fisso (1/10 del 30%)
  • ravvedimento lungo: chi paga con un ritardo che va dal 31° al 90° giorno rispetto alla scadenza, la sanzione è dello 3,33%
  • ravvedimento intermedio: se si effettua il pagamento tra i 90 giorni e l’anno successivo alla scadenza ossia entro il 15 giugno del 2017 per la prima rata Imu e tasi 2016, dovrà pagare una sanzione del 3,75%
  • ravvedimento biennale: chi effettua il pagamento con oltre un anno di ritardo  dovrà pagare una sanzione del 4,29%.

Oltre all’importo dovuto e alla sanzione ridotta si pagheranno anche gli interessi legali pari allo 0,2% annuo.

Pagare Imu e Tasi in ritardo con il modello F24

Chi paga in ritardo l’Imu e la Tasi dovrà utilizzare sempre il modello F24, sbarrando la casella indicata “Ravv.” Occhio ai codici tributo: per l’Imu sono “3912” per l’abitazione principale e relative pertinenze, “3914” per i terreni, “3916” per le aree fabbricabili”, mentre per la Tasi sono “3958” per l’abitazione principale e relative pertinenze, “3959” per fabbricati rurali ad uso strumentale, “3960” per le aree fabbricabili e “3961” per altri fabbricati.

Scade domani, giovedì 16 giugno, il termine ultimo per pagare la prima rata dell’IMU e della Tasi

Scade domani, giovedì 16 giugno, il termine ultimo per pagare la prima rata dell’IMU e della Tasi dovute entrambe per il 2016. Come per l’imposta municipale sugli immobili, da quest’anno il tributo comunale sui servizi indivisibili non è più dovuto sull’abitazione principale, a meno che non sia classificato nelle categorie catastali A1 (abitazioni di tipo signorile), A8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Di conseguenza si dovranno pagare sia l’IMU che la Tasi sulle abitazioni principali di lusso e/o di pregio, seconde case e immobili concessi in comodato d’uso gratuito a parenti entro il primo grado in linea retta. Per questa ultima categoria di immobili, la Legge di Stabilità 2016 ha previsto però una riduzione della base imponibile su cui calcolare le imposte del 50% a patto che si rispettino specifici requisiti (il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda o dimori abitualmente nel Comune in cui si trova l’immobile oggetto di comodato ovvero in alternativa, il comodante deve possedere nel medesimo Comune soltanto un altro immobile e vi risieda, per il comodatario, ossia l’occupante, il fabbricato deve costituire abitazione principale e il contratto di comodato deve essere regolarmente registrato).

Per quanto riguarda gli inquilini, non son tenuti a pagare la prima rata della Tasi in scadenza il 16 giugno sempre che l’immobile non sia di lusso/pregio. A pagare l’imposta sull’immobile è il proprietario. Altrimenti se rientra nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, la Tasi è dovuta dall’inquilino in una misura compresa tra il 10 e il 30% – stabilita nella delibera del Comune di residenza – e la parte restante rimane in capo al proprietario.  

Per il calcolo delle imposte si usano le stesse regole previste negli anni passati. Alla base imponibile costituita dalla rendita catastale rivalutata al 5% si moltiplicano specifici coefficienti previsti dalla legge (160 per le abitazioni e pertinenze). Al valore ottenuto si applicano le aliquote stabilite da ogni Comune per il 2015. Poi al momento del saldo a conguaglio il 16 dicembre si applicheranno le aliquote valevoli per il 2016. Per il pagamento il contribuente può scegliere di utilizzare il bollettino di conto corrente postale (con numero “1008857615” intestato a “Pagamento IMU” e “”1017381649” per il “Pagamento TASI”) o il modello F24 in cui vanno indicati correttamente i codici tributo (“3912” per l’IMU sull’abitazione principale e “3958” per la Tasi).

sabato 18 giugno 2016

Bonus Casa: tutti i benefici fiscali

Ristrutturazione, risparmio energetico, adeguamento antisismico, acquisto di mobili ed elettrodomestici: ecco come lo Stato aiuta i contribuenti sul tema casa.

Il Bonus Casa comprende diversi benefici fiscali

Con Bonus casa si intende l’insieme dei benefici concessi al contribuente che esegue lavori o arreda casa.
I benefici consistono in detrazioni dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) di una parte delle spese sostenute per i lavori o per comprare mobili ed elettrodomestici.
Il bonus casa non è quindi una somma di denaro elargita dallo Stato ma uno sconto, o meglio, una detrazione dalle tasse dovute.
Coloro che rientrano nella cosiddetta no tax area, ossia coloro che sono privi di reddito o che hanno un reddito minimo tale da non dover pagare tasse, sono esclusi dal bonus casa.
Per questi soggetti esiste una sola eccezione prevista nel bonus sul risparmio energetico, di cui parleremo più avanti.
Bonus Casa
Gli incentivi fiscali che compongono il bonus casa sono:
- il bonus ristrutturazione
- il bonus risparmio energetico
- il bonus per l’adeguamento antisismico
- il bonus mobili
- il bonus mobili giovani coppie.
Il nostro portale si occupa ormai da tempo di detrazioni fiscali per la casa.
Di seguito riassumeremo le caratteristiche principali di ogni incentivo; al di là di una descrizione dei singoli bonus, su cui peraltro ci siamo già spesi in vari approfondimenti, in questa sede vorrei fornire un aiuto in più.
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La maggior parte dei contribuenti trova difficoltà non tanto nel reperire informazioni di carattere generale, quanto piuttosto nell’individuare quelle davvero importanti per la propria situazione, soprattutto quando si eseguono vari interventi e le detrazioni da considerare sono più di una.
Facciamo allora una rapida carrellata dei bonus previsti per la casa e poi ci concentreremo sulle verifiche importanti da effettuare ogni volta che intendiamo beneficiare di un bonus.

Bonus ristrutturazione

Il bonus ristrutturazione consente di detrarre dall’IRPEF il 50% delle spese sostenute per ristrutturare le abitazioni, le relative pertinenze e le parti comuni di edifici residenziali.
La detrazione è calcolabile fino a un importo massimo di spesa pari a 96.000 euro.
Bonus ristrutturazionePer le parti private residenziali sono ammesse le seguenti categorie di intervento: manutenzione straordinaria, risanamento conservativo, ristrutturazione, restauro e nuova costruzione (quest’ultima limitatamente alle autorimesse).
Ad esse si aggiungono altri interventi che non sono sempre ben inquadrabili nelle categorie precedenti:
- eliminazione delle barriere architettoniche;
- misure finalizzate a prevenire il rischio di compimento di atti illeciti da parte di terzi (es. inferriate, porte blindate, impianto di allarme);
- interventi finalizzati alla cablatura degli edifici e al contenimento dell’inquinamento acustico;
- interventi per il conseguimento di risparmi energetici;
- bonifica dell’amianto;
- opere volte a evitare gli infortuni domestici.
Per le parti comuni residenziali sono ammesse le medesime categorie prima indicate, con l’aggiunta degli interventi di manutenzione ordinaria.

Bonus risparmio energetico

Il bonus risparmio energetico permette di detrarre dall’IRPEF il 65% delle spese sostenute per interventi di miglioramento energetico degli immobili.
Fra gli interventi agevolabili ricordiamo:
- quelli inerenti l’involucro edilizio, come l’isolamento del tetto e delle pareti, la sostituzione di serramenti e porte di ingresso, l’installazione di schermature solari;
- quelli inerenti gli impianti termici, come l’installazione di pannelli solari termici, la sostituzione di impianti di riscaldamento o di produzione di acqua calda sanitaria con impianti alimentati da caldaie a condensazione, pompe di calore o sistemi geotermici. A partire dal 2015 sono stati inclusi i generatori a biomasse (come le stufe a pellet) e dal 2016 i dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti di riscaldamento, acqua calda sanitaria e condizionamento.
Bonus risparmio energeticoPer gli interventi di risparmio energetico sono stabiliti dei tetti massimi di detrazione, suddivisi per ambito di intervento:
- 100.000 euro per la riqualificazione energetica globale di interi edifici, comprendendo qualsiasi intervento, o insieme sistematico di interventi, che permetta all’immobile di raggiungere un indice di prestazione energetica inferiore a precisi limiti;
- 60.000 euro per interventi sull’involucro degli edifici;
- 60.000 euro per l’installazione di pannelli solari termici;
- 30.000 euro per la sostituzione di impianti termici e controllo da remoto.
Abbiamo accennato all’inizio dell’articolo ad una eccezione prevista per i soggetti che rientrano nella no tax area. A partire dal 1° gennaio 2016 è concesso a queste persone di cedere, in alternativa alla detrazione sul risparmio energetico, il corrispondente credito ai fornitori che hanno eseguito il lavoro.
Questa scelta può avvenire solo per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni di edifici condominiali e con le modalità stabilite dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 22 marzo 2016.

Bonus per adeguamento antisismico

La Legge 3 agosto 2013 n.90 ha introdotto la detrazione del 65% per l'adeguamento antisismico di edifici adibiti a prima casa e ad attività produttive.
Questa detrazione è ammessa per interventi realizzati su edifici ricadenti nelle zone sismiche ad alta pericolosità, con un tetto limite di spesa di 96.000 euro.
Si tratta di un caso particolare della detrazione sulle ristrutturazioni edilizie per il quale si concede una detrazione maggiore rispetto al 50% previsto per tutti gli altri interventi.
Bisogna quindi distinguere tra la detrazione sul risparmio energetico–65% e la detrazione sulle ristrutturazioni edilizie–50% (con l'eccezione dell'innalzamento di tale percentuale al 65% nel caso di adeguamento antisismico).
Per l'adeguamento antisismico è necessario rispettare gli adempimenti previsti per la detrazione sulle ristrutturazioni edilizie.

Bonus mobili ed elettrodomestici

Bonus mobili ed elettrodomesticiI contribuenti che fruiscono del bonus ristrutturazioni possono beneficiare, in alcuni casi, di un’ulteriore detrazione per l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici finalizzati all'arredo dell'immobile oggetto dei lavori.
Stiamo parlando del bonus mobili tramite il quale la detrazione è concessa nella misura del 50% delle spese documentate e sostenute per mobili ed elettrodomestici, fino a un ammontare di spesa complessivo di 10.000 euro.
La detrazione riguarda l'acquisto di mobili e grandi elettrodomestici di classe energetica A+ (A per i forni), come ad esempio: letti, armadi, librerie, scrivanie, tavoli, sedie, divani, materassi, apparecchi di illuminazione, frigoriferi, lavatrici, asciugatrici, lavastoviglie, apparecchi di cottura, forni a microonde, ventilatori elettrici, apparecchi per il condizionamento.

Bonus mobili giovani coppie

La Legge di Stabilità 2016 ha introdotto il nuovo bonus mobili giovani coppie.
Bonus mobili giovani coppieLe giovani coppie che nel 2015 o 2016 hanno acquistato l’abitazione principale, o che lo faranno entro il 31 dicembre 2016, possono fruire di una detrazione dall’IRPEF pari al 50% delle spese sostenute per l’acquisto di mobili nuovi (no elettrodomestici), per un importo massimo di spesa pari a 16.000 euro.
I requisiti da rispettare e che di seguito citeremo devono essere soddisfatti nell’anno 2016. La sussistenza dei requisiti può essere anteriore o successiva alla data di acquisto dei mobili.
Requisiti delle giovani coppie:
- coppie sposate o conviventi da almeno 3 anni nel 2016;
- almeno un componente della coppia non deve aver superato i 35 anni (può comunque compierli nel 2016).
Requisiti per l’acquisto dell’immobile:
- l’acquisto deve avvenire nel 2015 o nel 2016;
- l’immobile deve essere adibito ad abitazione principale.

Verificare i requisiti dell’edificio

Abbiamo prima parlato dell’importanza di effettuare alcune verifiche ogni volta che si intende beneficiare di un bonus.
La prima verifica riguarda l’immobile oggetto d’intervento.
Infatti non tutti gli immobili sono ammessi ai vari bonus per la casa.
L’unico incentivo che accetta immobili sia nuovi che esistenti è il bonus mobili giovani coppie, purché l’immobile abbia destinazione residenziale.
Bonus casa requisitiGli altri bonus ammettono solo edifici esistenti, compresi accessori e parti comuni.
Ogni bonus aggiunge poi ulteriori restrizioni:
- Il bonus ristrutturazioni e il bonus mobili richiedono solo edifici esistenti a destinazione residenziale (sempre compresi accessori e parti comuni).
- Il bonus risparmio energetico e il bonus per l’adeguamento antisismico ammettono invece immobili esistenti di qualsiasi categoria catastale (residenziali e non). Inoltre il bonus risparmio energetico richiede che l’immobile sia già dotato di impianto di riscaldamento (ad eccezione dell’intervento di installazione di pannelli solari termici) e pone l’ulteriore obbligo che in caso di divisione dell’immobile in più unità abitative sia mantenuto un impianto di riscaldamento centralizzato.

Verificare i requisiti degli interventi

Spesso si elencano i lavori che possono beneficiare dei vari bonus, ma si dimentica di dire che ogni tipo di intervento deve rispondere a specifici requisiti tecnici per essere davvero ammesso ad un bonus.
Interventi bonus casaPrendiamo un esempio molto comune: la sostituzione della caldaia.
Questo intervento può accedere al bonus ristrutturazioni oppure al bonus risparmio energetico. Per ognuno dei due bonus sono però richiesti requisiti differenti.
Per il bonus ristrutturazioni è semplicemente necessario che la nuova caldaia apporti una miglioria rispetto alla situazione esistente. Ciò in pratica avviene sempre perché una nuova caldaia è certamente più efficiente di una caldaia installata qualche anno fa.
Ai fini del bonus risparmio energetico è invece obbligatorio optare per una caldaia a condensazione oppure per una caldaia a biomassa. Per ognuna di esse sono poi stabilite regole precise, come la contestuale installazione di valvole termostatiche sui termosifoni quando si installa una caldaia a condensazione.
L’esempio della caldaia serve a capire che una prima analisi su come vogliamo eseguire l’intervento e su quale detrazione intendiamo beneficiare è fondamentale per non avere brutte sorprese.
Il rispetto dei requisiti minimi non riguarda solo le caldaie, ma va sempre verificato per qualsiasi altro intervento.

Verificare chi può beneficiare del bonus

Possono beneficiare dei vari bonus tutti i contribuenti assoggettati all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).
I soggetti che rientrano nella no tax area sono esclusi, con l’unica eccezione contemplata dal bonus risparmio energetico relativamente ai lavori eseguiti su parti comuni.
Per il bonus giovani coppie abbiamo già visto quali sono i requisiti delle coppie che possono beneficiarne.
Per tutti gli altri bonus è bene fare delle precisazioni. Finché parliamo di proprietari, comproprietari, affittuari e comodatari dell’immobile, generalmente non sorgono dubbi. Sappiamo che questi soggetti hanno diritto a beneficiare dei vari bonus purché sostengano personalmente le spese.
Qualche complicazione sorge quando si parla di familiari conviventi del proprietario.
Ecco due considerazioni importanti:
- Sono familiari conviventi il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado conviventi con il proprietario dell’immobile. Quindi attenzione alle coppie conviventi non sposate.
- Il familiare convivente può accedere ai bonus solo per interventi e acquisto di mobili ed elettrodomestici inerenti immobili in cui si esplica la convivenza. Va bene dunque la casa in cui risiede abitualmente la famiglia, la casa al mare o in montagna, ma non una casa data in affitto ad altri.

Verificare i limiti massimi e la cumulabilità dei bonus

Tetti massimi detrazioniNella descrizione sintetica di ogni bonus abbiamo riportato degli importi massimi.
Vorrei sottolineare che per alcuni bonus la normativa parla di tetti massimi di spesa su cui calcolare la detrazione, mentre per altri bonus parla di tetti massimi di detrazione.
Sono concetti molto differenti, per cui è importante prestarvi attenzione.
Inoltre, ricordo che il bonus ristrutturazioni e il bonus risparmio energetico non sono cumulabili per le medesime spese, ma nessuno ci vieta, nell’ambito di una ristrutturazione che comprende vari lavori, di beneficiare di entrambi i bonus per spese diverse.
Ad esempio per la demolizione e la ricostruzione di tramezzi interni possiamo beneficiare del bonus ristrutturazioni e per la sostituzione dei serramenti del bonus risparmio energetico.
Sempre in tema di cumulabilità è utile sapere che il bonus mobili ed elettrodomestici non può essere sommato al bonus mobili giovani coppie, nemmeno per acquisti diversi.
È sempre obbligatorio scegliere uno dei due.

Verificare gli adempimenti

Sono previsti adempimenti differenti per ogni bonus.
Non solo. In base al tipo di intervento ogni specifico bonus può richiedere documenti diversi.
A volte basta semplicemente conservare le fatture e le ricevute dei bonifici, altre volte la situazione si complica ed oltre a questi documenti bisogna conservare copia della pratica edilizia, copia della comunicazione ASL, copia della delibera assembleare, copia di ripartizione delle spese condominiali, ecc.
Inoltre per il solo bonus risparmio energetico è richiesta la cosiddetta pratica ENEA.
Non si tratta di adempimenti e documenti particolarmente complicati, tuttavia la casistica è vasta ed elencare in questa sede tutte le possibilità rischierebbe solo di portare confusione.
Per chi si trova in difficoltà su questo punto, consiglio di farsi guidare da un professionista esperto.

Attenzione ai pagamenti

Ogni bonus prevede precise modalità di pagamento sulle quali non è possibile commettere errori, pena la perdita dei benefici.
Pagamenti detrazioniIl bonus ristrutturazioni, il bonus risparmio energetico e il bonus per l’adeguamento antisismico ammettono solo bonifici appositi per le detrazioni fiscali, che si differenziano dai bonifici ordinari perché, oltre ai soliti dati, bisogna indicare il codice fiscale del beneficiario della detrazione e il codice fiscale o partita IVA del destinatario del bonifico.
Inoltre su questi bonifici le banche e le poste devono applicare una ritenuta pari all’8%.
Il bonus mobili ed elettrodomestici ammetteva fino a poco tempo fa le seguenti modalità di pagamento:
- bonifico per le detrazioni fiscali;
- bancomat;
- carta di credito.
Con circolare Agenzia Entrate n.7 del 31 marzo 2016, oltre ai precedenti metodi è stato ammesso il bonifico ordinario.
Per il bonus mobili giovani coppie valgono le stesse modalità di pagamento del bonus mobili ed elettrodomestici.

venerdì 17 giugno 2016

Mutui: oltre al tasso di interesse, attenzione al tasso di mora

 

https://www.youtube.com/watch?v=E3RrCXe0qPY

Tra le pagine di un contratto di mutuo, oltre al tasso di interesse, si nasconde un parametro spesso sottovalutato dai clienti. Si tratta del tasso di mora, che scatta nel caso in cui si è in ritardo con il pagamento delle rate e che può provocare sgradevoli sorprese. In questo servizio della trasmissione Dimartedì scopriamo il perché.

giovedì 16 giugno 2016

Agevolazione prima casa, che succede se non riesco a vendere il vecchio immobile entro l'anno?

Agevolazione prima casa, che succede se non riesco a vendere il vecchio immobile entro l'anno?

 

 

Si ha diritto a usufruire delle agevolazioni prima casa anche nel caso in cui si possiede un altro immobile acquistato con il bonus, sempre e quando lo si venda entro un anno dalla nuova compravendita. Che succede se non riesco ad ottemperare questo obbligo? Lo spiega l'Agenzia delle Entrate nella circolare n. 27 del 13 giugno, in risposta ai quesiti sulla fiscalità immobiliare proposti nell'ambito della nuova iniziativa "TeleCatasto".

L'Agenzia delle Entrate afferma che a tale caso si applicano le stesse procedure previste per il mancato trasferimento della residenza entro 18 mesi o la vendita prima dei cinque anni senza successivo nuovo acquisto entro un anno dalla tessa, previste dalle risoluzioni nn105/E/2011 e 112/E/2012. Davanti al contribuente si aprono allora due strade, a seconda che sia decorso o meno il termine dell'anno

  • Se il termine dell'anno non è ancora decorso, ma l'acquirente sa già di non poter rispettare l'obbligo, potrà presentare apposita istanza all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate, presso il quale è stato registarato l'atto. Inq uesto caso sono dovute le imposte di trasferimento in misura ordinaria (e al netto di quanto versato in sede di registrazione) e i relativi interessi, senza applicazione di sanzioni.
  • Dopo il termine di un anno, si verifica la decadenza dell'agevolazione. In questo caso il contribuente potrà presentare apposita istanza all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate, presso il quale è stato registrato l'atto, con la quale dichiara l'avvenuta decadenza delle agevolazioni e chiedere di poter usufruire dell'istituto del ravvedimento operoso.

Agevolazione prima casa, che succede se non riesco a vendere il vecchio immobile entro l'anno?

Agevolazione prima casa, che succede se non riesco a vendere il vecchio immobile entro l'anno? 

Si ha diritto a usufruire delle agevolazioni prima casa anche nel caso in cui si possiede un altro immobile acquistato con il bonus, sempre e quando lo si venda entro un anno dalla nuova compravendita. Che succede se non riesco ad ottemperare questo obbligo? Lo spiega l'Agenzia delle Entrate nella circolare n. 27 del 13 giugno, in risposta ai quesiti sulla fiscalità immobiliare proposti nell'ambito della nuova iniziativa "TeleCatasto".

L'Agenzia delle Entrate afferma che a tale caso si applicano le stesse procedure previste per il mancato trasferimento della residenza entro 18 mesi o la vendita prima dei cinque anni senza successivo nuovo acquisto entro un anno dalla tessa, previste dalle risoluzioni nn105/E/2011 e 112/E/2012. Davanti al contribuente si aprono allora due strade, a seconda che sia decorso o meno il termine dell'anno

  • Se il termine dell'anno non è ancora decorso, ma l'acquirente sa già di non poter rispettare l'obbligo, potrà presentare apposita istanza all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate, presso il quale è stato registarato l'atto. Inq uesto caso sono dovute le imposte di trasferimento in misura ordinaria (e al netto di quanto versato in sede di registrazione) e i relativi interessi, senza applicazione di sanzioni.
  • Dopo il termine di un anno, si verifica la decadenza dell'agevolazione. In questo caso il contribuente potrà presentare apposita istanza all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate, presso il quale è stato registrato l'atto, con la quale dichiara l'avvenuta decadenza delle agevolazioni e chiedere di poter usufruire dell'istituto del ravvedimento operoso.

Tempo di vacanze, tempo d’affitto.Il contratto turistico.

 

I dubbi di chi concede un immobile in affitto.

Ci siamo, come per chi ha seminato d’inverno e aspetta ora i frutti della terra, anche i proprietari di seconde case al mare o in montagna, aspettano adesso di ricevere i “frutti” del loro investimento. Quindi hanno sistemato e arredato al meglio la casa, l’hanno pubblicizzata o affidata a dei professionisti e si aspettano adesso di avere un buon guadagno dall’affitto del bene. Sono tanti, però, i dubbi, che assillano questi proprietari. Relativamente al contratto da stipulare, a come tassare il ricavo ottenuto, la registrazione del contratto e la presentazione della comunicazione di cessione del fabbricato.

affitti case turistici su solo affitti vacanze

Abbiamo raccolto, quindi, alcuni quesiti ricevuti nel tempo, provando a chiarire i principali aspetti che dovranno prendere in considerazione i proprietari di una casa che vogliono concedere, tutta o in parte, in affitto per uso turistico.


Casa vacanza o solo casa per vacanze?

Buonasera . Quest'estate con mia moglie abbiamo deciso di affittare la nostra casa al mare a turisti. Vogliamo fare il tutto in regola . Abbiamo optato per l'affitto come locazione turistica per vacanze brevi quindi con durata inferiore ai 30 giorni e stiamo per pubblicizzare la villetta in alcuni siti di casa-vacanze presenti on line. Visto che si occupano di case-vacanze ci chiedevamo se era tutto in regola perché se ho ben capito una casa vacanze è una struttura che può anche offrire dei servizi tipo pulizie, biancheria letto e bagno doppia e quindi si potrebbe trattare di struttura ricettiva mentre la nostra non lo è. Nel momento in cui gli affitti vengono stabiliti ci domandavamo se il contratto scritto deve essere obbligatorio. Grazie mille.
Massimo

Gentile Massimo se stipulate un contratto d’affitto lo stesso va scritto (per maggiore trasparenza e soprattutto tutela, nel caso di controversia) ma non registrato se ha durata inferiore a 30 giorni; ma nell’affitto non è possibile offrire servizi come biancheria o colazione; questo rappresenterebbe, invece, un’attività di affittacamere per la quale sarebbe necessario richiedere apposita autorizzazione al comune di competenza.
Diciamo che il confine tra affitto e gestione di una casa vacanza è molto sottile, consideriamo tale confine fissato dalla fornitura o meno di servizi che possiamo definire tipici delle strutture alberghiere, ma lo allarghiamo anche alla durata del rapporto d’affitto. Un affitto dalla settimana in su è più giustificabile come contratto di locazione, lo è meno l’affitto giornaliero, più vicino al trattamento di bed and breakfast.


Contratto da registrare: sì o no?

Gent. Sigg.
Ho una piccola casetta al mare e vorrei fittarla d'estate, quando non ci vado con la famiglia, per periodi inferiori a 30 giorni. Navigando su internet mi pare di aver inteso che per i suddetti periodi non c'è obbligo di registrazione del contratto e che anzi è possibile anche non stipulare un contratto scritto, occorre soltanto avvisare la Pubblica Sicurezza con i dati degli inquilini. Inoltre si può anche non rilasciare ricevuta di pagamento all'affittuario con relativo bollo di €2 se il pagamento è avvenuto con assegno o bonifico.
Grazie per l'aiuto che mi potrà dare e cordiali saluti
Luca

I contratti di affitto non sono soggetti a obbligo di registrazione né al pagamento della relativa imposta se hanno durata inferiore a trenta giorni complessivi nell'anno (DPR n. 131/1986). In caso contrario, devono essere registrati entro trenta giorni (risoluzione 16 novembre 2000 n. 207/E) e sono soggetti all'imposta di registro del 2%, calcolata sul valore dell'importo pattuito con un minimo di 67 €uro, tranne nel caso in cui il proprietario decidesse di esercitare l'opzione per la cedolare secca. Quindi se uno registra un contratto turistico (non scegliendo la cedolare secca) per 1.600 euro per 45 giorni dal calcolo risulterebbe che dovrebbe pagare 32 euro e invece dovrà pagare 67 euro più 2 marche da bollo da 16 euro.
Sulle ricevute di pagamento può essere apposta marca da bollo di 2 euro, di solito a carico dell’inquilino; il bonifico in ogni caso può fungere da regolare ricevuta di pagamento.

Quale limite per la registrazione: come calcolo i 30 giorni?

Egr. Signora,
vorrei affittare una casa vacanza facendo contratti sotto i 30 giorni. La mia domanda e la seguente: farei per lo stesso immobili allora per i periodo estivo più contratti sotto i 30 giorni per inquilini differenti. I 30 giorni riguardano allora ogni singolo contratto di locazione ho vengono sommati?
Per esempio se ho 5 contratti con durata 7 giorni ognuno e stipulato con persone diversi rientro nei contratti sotto i 30 giorni e non c’è l'obbligo di registrazione?
Ho devo sommarli (7 giorni x 5 settimane)?
Grazie!
Distinti saluti
Erika.

Cara Erika,
i trenta giorni di limite sono riferiti all’utilizzo dell’immobile da parte della stessa persona. Ovvero se più persone prendono in affitto il suo immobile, quindi complessivamente il suo bene viene sicuramente affittato per oltre 30 giorni, ma singolarmente ogni contratto ha una durata inferiore a 30 giorni, allora il singolo contratto non va registrato. Facciamo un esempio: se il Sig. Rossi prende in affitto il suo immobile per 20 giorni, allora il contratto non andrà registrato; se lo stesso sig. Rossi torna ad agosto, sempre nel suo immobile, per alti 20 giorni, allora questo secondo contratto andrà registrato. Pagando l’imposta di 67 euro (per esattezza sarebbe il 2% del canone complessivo, ma con un limite minimo di 67 euro) se lei sommerà tali redditi da locazione ai suoi redditi personali assoggettandoli a regime Irpef, o compilando semplicemente il modello RLI e senza versamento di imposta se con l’occasione opta per il regime di cedolare secca.


Come tassare il reddito di un affitto turistico.

Salve, vorrei sapere se per i fitti turistici, di così breve durata, c’è una cedolare secca agevolata inferiore al 21% e se per il pagamento della cedolare secca non sia necessario pagare effettivamente tale importo al fisco con il mod. F23, ma sia sufficiente denunciare tale opzione, e il canone totale incassato, nei righi previsti del mod. 730 per pagare le tasse in tale sede.

Il reddito che deriva dai contratti turistici può essere assoggettato, a scelta, al regime Irpef o alla cedolare secca, ma con l’aliquota del 21%. Non essendoci obbligo di registrazione per contratti inferiori a 30 giorni, l’opzione di cedolare secca può essere espressa anche direttamente in sede di dichiarazione dei redditi.
Se per il resto dell’anno l’immobile è tenuto a disposizione, allora dovrà, nel quadro B della dichiarazione indicare: i dati dell'immobile affittato su diverse righe, specificando i giorni in cui è stato a disposizione e quelli in cui concesso in affitto, riportando il canone percepito e scegliendo l’opzione della cedolare secca.

Chi paga le tasse?

Egregi Signori, prima di tutto grazie per lo spazio che mettete a disposizione sul web! Gestisco un appartamento intestato a mio padre mettendolo a disposizione per affitti turistici. Nello specifico, avrei gentilmente bisogno della seguente informazione:
- la durata di questi affitti è per la maggior parte sotto i 30 giorni. Rilascio ricevute con la cifra pattuita
Per es. 140 euro, per due notti. Nella dichiarazione di mio padre, quale sarà la % di Iva da pagare su 140 euro? L'Iva va scorporata?
Grata per la cortese attenzione, attendo un vs riscontro
Daniela

Gentile Daniela
dipende cosa intende per gestione e per cosa rilascia ricevuta. Ovvero, se stipula contratti di locazione, la locazione abitativa è esente da iva e lei rilascerebbe solo ricevuta dei canoni (con al limite la marca da bollo di due euro); mentre se ha una gestione di case vacanze l’iva di solito è al 10%. Nel primo caso, però, il contratto andrebbe intestato a suo padre e dovrebbe essere lo stesso a riportare il reddito percepito, come reddito da locazione, nella sua dichiarazione dei redditi, assoggettandolo a regime Irpef o scegliendo il regime di cedolare secca. Se invece fosse lei ad aprire un’attività di affittacamere o gestione di case vacanze allora lei dovrebbe farsi concedere l’utilizzo dell’immobile da parte di suo padre e quindi andare a dichiarare quanto guadagna come redditi d’impresa. non è possibile, invece, che a pagare le imposte sul reddito da locazione non sia il proprietario della casa o chi ne ha un diritto reale, come l'usufruttuario.


Autorizzazione e denuncia di occupazione

Spett.le Professionista,
vorrei delle informazioni inerenti ai contratti di locazione per uso turistico senza somministrazione di alimenti, eseguito da privato ,da effettuarsi nella città di Firenze, in un appartamento di mia proprietà in cui non risiedo.
In particolare volevo sapere :
Se è possibile fare soggiorni da 1 ad un massimo di 30 giorni,
Se devo fare comunicazioni alle autorità di cessione di fabbricato anche per un giorno.
In attesa di una sua gentile risposta,
porgo
Distinti Saluti,
Maristella

Gentile Maristella,
l'obbligo di comunicazione di cessione fabbricato permane solo nei confronti di cittadini stranieri, come da comma 4 dell'art. 2 del D.L. 79/2012. Il sito stesso della Polizia di Stato riporta che "E' confermato l'obbligo di comunicazione stabilito dall'articolo 7 del T.U. 286/98, concernente la disciplina dell'immigrazione e della condizione dello straniero (secondo la normativa per straniero si intende il cittadino extracomunitario). Pertanto il proprietario dell'immobile deve presentarsi all'Autorità di P.S. di competenze (Questura/Commissariato o in Comune in caso di mancanza di questi Uffici ) a seconda dell'ubicazione dell'immobile e dichiarare la presenza dello straniero, presentando il contratto registrato all'Agenzia delle Entrate e i documenti di entrambi". Quindi il riferimento è sempre a contratti di durata superiore a 30 giorni, mentre un contratto turistico è un contratto che potrebbe avere anche una durata più breve. Se parliamo di contratti, quindi, l’obbligo non c’è; se parliamo di attività di gestione di affitti vacanze allora valgono le regole, regionali, delle altre strutture ricettive che compilano, di solito, appositi schedari in cui si riportano generalità e documenti degli ospiti.


Contratto turistico: completamente libero?

Buongiorno ,
sono proprietaria di un immobile, di un piccolo appartamento nel centro storico di Roma. È ’ arredato e viene affittato per brevi periodi.
Vorrei essere in regola.
Quando si parla di contratto completamente libero per uso turistico, si includono le locazioni per 3 o più giorni? Se si che tipo di modulo dovrei usare da far firmare ai clienti?
Per gli affitti di un mese, che tipo di contratto devo fare, transitorio o turistico, o altro ???
Le sarei grata se potesse aiutarmi a sbrogliare questa matassa
La ringrazio sin d’ora
Un cordiale saluto
Nadia

Gentile Nadia
i contratti di locazione turistica sono contratti completamente liberi, quindi la durata minima è libera ed il riferimento è direttamente al Codice Civile, dagli articoli 1572 e seguenti.
L’unico vincolo per questo contratto è costituito dalla motivazione, che deve essere quella strettamente turistica da parte dell’inquilino. La distinzione tra contratti più brevi o di durata superiore a 30 giorni è necessaria solo per capire se il contratto deve essere obbligatoriamente registrato o meno. Affitti giornalieri, però, come detto in precedenza, non sarebbero tanto inerenti alla normativa sulla locazione, ma sono più affini ad una gestione di attività di affittacamere.


Affitto commerciale o abitativo?

Gentile esperto,
È possibile stipulare un contratto ad uso abitativo (3+2) ad una persona che vuol rendere l'appartamento un 'bed and breakfast' o 'casa vacanza'? Sarà il contratto di fatto 'un contratto ad uso commerciale'?
Grazie e cordiali saluti,
Abir

Gentile Abir,
le case vacanza o bed and breakfast richiedono un contratto abitativo, quindi va bene un contratto libero di 4 anni + 4 quanto uno concordato di 3 anni +2; ma deve tenere conto che non potrà applicare la cedolare secca, possibile solo sui contratti tra privati e con oggetto immobili accatastati come abitativi ed utilizzati realmente come tali. Inoltre, nel caso in cui il comune preveda agevolazioni Imu sui contratti 3+2 non sarebbero riconosciute perché la condizione, imprescindibile, è che l’immobile venga usato dall'inquilino direttamente come propria abitazione principale, prendendoci la residenza.

giovedì 9 giugno 2016

Condominio: il distacco dal riscaldamento centralizzato

 

Condominio: il distacco del riscaldamento centralizzato
Dal 2013 coloro che vivono in un condominio possono distaccarsi dall’impianto di riscaldamento centralizzato, grazie alla riforma del condominio che fa capo alla legge 11 dicembre 2012 n.20. Ma quali sono le diagnosi che bisogna effettuare ed è possibile che tutti possano accedere ad un impianto autonomo?

Requisiti necessari per chiedere il distacco dell’impianto di riscaldamento

In principio, nell’ambito dei lavori parlamentari era stata proposta una formulazione della norma differente da quella approvata nel 2012, in cui si parlava esclusivamente di problemi tecnici dell’impianto condominiale. Solo in questo caso infatti, se non venivano risolti nell’arco di un’intera stagione di riscaldamento, si poteva optare per un distacco.

Ad oggi invece “il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma“.

Per cui, il distacco non avviene in automatico, ma prima bisogna accertarsi che sussista la condizione necessaria per non arrecare danno agli altri condomini. Il tutto avviene attraverso una diagnosi energetica, che non deve riferirsi solamente al singolo impianto, ma all’intero edificio in questione. La valutazione deve poter evidenziare se la cosa possa incidere o meno sui costi totali e ovviamente questa analisi non è gratuita, ma a carico di chi decide di procedere ad un impianto autonomo.

Le spese che deve affrontare il condomino

Al fine di poter dire quali sono le spese che il condomino deve continuare a pagare una volta avvenuto il distacco del riscaldamento centralizzato, bisogna distinguere due casi:

  • se il distacco è avvenuto prima del 18 giugno 2013, il condomino si deve rifare alle norme del momento;
  • se il distacco avverrà o è stato successivo a quella data si rifà alle norme vigenti.

Bisogna sottolineare però che prima del 2012 il codice civile non disciplinava la materia in oggetto, per cui il distacco veniva regolato dalle sentenze della Cassazione. Il rinunziante ad oggi deve comunque continuare a pagare le sole spese di manutenzione straordinaria dell’impianto, per la sua conservazione e messa a norma. Incluse quelle per la sostituzione della caldaia, di consumo e di esercizio, pagando la copertura degli oneri che altrimenti ricadrebbero sugli altri condomini, a causa del distacco.

Contabilizzazione del calore obbligatoria entro fine 2016

La legislazione europea ed italiana promuovono il riscaldamento centralizzato che permette di ottenere maggiore efficienza energetica, con risparmi nei costi e meno emissioni di anidride carbonica. Entro fine 2016 però sarà obbligatoria la contabilizzazione, attraverso la valvola termostatica che indica i consumi di ogni radiatore. Per cui, tutti i condomini che hanno un impianto centralizzato, oltre ad una quota fissa pagheranno anche quello che consumano.

Conviene distaccarsi dal riscaldamento centralizzato?

In base a quello che su più parti si può leggere il distaccamento del riscaldamento centralizzato non è estremamente conveniente.  Quest’ultimo è molto più performante per il risparmio energetico e porta comunque a spendere quasi tre volte in meno rispetto all’installazione di un impianto autonomo.

Anche al rent to buy si applicherà il procedimento per convalida di sfratto

La Commissione Finanze del Senato ha approvato un emendamento che prevede l'applicazione, anche per il contratto di rent to buy, del procedimento per convalida di sfratto. Lo ha fatto sapere Confedilizia, che dall'introduzione dell'istituto aveva segnalato il problema delle garanzie per il proprietario nelle fasi patologiche del rapporto.

La Confederazione della proprietà immobiliare ha spiegato che si tratta dei casi in cui il proprietario non riceva più il corrispettivo convenuto per il godimento dell'immobile oppure di quelli in cui, al termine del periodo stabilito, non venga rispettato l'impegno all'acquisto e il "conduttore" permanga nell'immobile.

Confedilizia si è detta grata ai relatori del provvedimento, i senatori Marino e Zeller, per aver dato soluzione a un problema che ha contribuito fortemente al mancato avvio di uno strumento di cui il mercato immobiliare ha grande necessità.

mercoledì 8 giugno 2016

La trasformazione di un balcone o di un terrazzino in veranda è opera soggetta a permesso di costruire

La trasformazione di un balcone o di un terrazzino in veranda è opera soggetta a permesso di costruire

Con la sentenza n. 662/2016 depositata il 20 aprile il Tar Toscana ha ribadito che la trasformazione di un balcone o di un terrazzino in veranda è opera soggetta a permesso di costruire. Vediamo perché.

Con la sua sentenza, il Tar Toscana ha spiegato: “Secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza amministrativa, dal quale il Collegio non ritiene di doversi discostare, la trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione di pannelli su intelaiatura metallica, non costituisce realizzazione di una pertinenza, né intervento di manutenzione straordinaria e di restauro, ma è opera soggetta a permesso di costruire, determinando l’aumento della superficie utile di un appartamento e la modifica della sagoma dell’edificio, con conseguente assoggettamento alla sanzione di tipo demolitorio”.

Tale sentenza è scaturita in seguito al respingimento da parte dei giudici amministrativi di Firenze del ricorso contro l’ordinanza con cui il comune di Grosseto ha ingiunto la demolizione dei lavori volti alla chiusura, mediante installazione di infissi in metallo e vetro, di una terrazza nell’appartamento di proprietà del ricorrente.

Secondo il ricorrente, il provvedimento impugnato non sarebbe sorretto da sufficiente motivazione, sarebbe mancato l’avviso di avvio del procedimento e l’opera realizzata sarebbe passibile di sanzione meramente pecuniaria. Ma il Tar Toscana ha ritenuto che il provvedimento impugnato “contiene una puntuale descrizione dell’abuso, delle sue conseguenze in termini edilizi ed urbanistici (aumento volumetrico) e della normativa nazionale e regionale che prevede il trattamento sanzionatorio per gli interventi assoggettati a permesso oneroso di costruire in quanto comportanti aumento di carico urbanistico”.

La mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, inoltre, “non può, ai sensi dell’art. 21 octies della L. 241/1990, comportare l’annullamento del provvedimento impugnato il cui dispositivo, attesa la sua natura vincolata, non avrebbe potuto essere diverso nella fattispecie concreta a cui esso si riferisce”.

Al 30 maggio di quest’anno al fondo di solidarietà sono pervenute in totale 48.255 richieste di sospensione e le istanze accettate sono state 35.754 a fronte di 12.501 non accettate. In particolare, dal centro Italia sono arrivate le richieste per 10.145 istanze e ne sono state accettate 7.393, dal sud 16.026 a fronte di 12.185 accettate, mentre le richieste pervenute dal nord sono state 22.084 e ne sono state accettate 16.176.

    domenica 5 giugno 2016

    Detrazione mutuo: quali oneri accessori sono ammessi

     

    Detrazione mutuo: quali oneri accessori sono ammessi

    L’atto di mutuo è detraibile ma anche gli oneri accessori, vediamo come e in che misura.

    Nel caso di acquisto prima casa sono detraibili tutte le spese relative all’acquisto se esse sono assolutamente necessarie.

    Ecco dunque che oltre all’atto di mutuo, per il quale la parcella del notaio può essere detratta per un 19% su un importo massimo di 4mila euro (per ulteriori informazioni leggi il nostro approfondimento Detrazione spese notarili: atto di mutuo e rogito), sono detraibili nella medesima percentuale anche gli oneri accessori del mutuo stesso. Vediamo quali.

    Detrazione delle spese di mutuo: gli oneri accessori

    Tra le spese “assolutamente necessarie” alla stipula del contratto di mutuo sono compresi anche:

    • le spese di istruttoria;
    • le spese di perizia;
    • la commissione richiesta dalle banche e dagli istituti di credito per la loro attività di intermediazione;
    • la penalità per anticipata estinzione del mutuo;
    • la provvigione per scarto rateizzato nei mutui in contanti;
    • le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione;
    • l’imposta per l’iscrizione o la cancellazione di ipoteca;
    • le perdite su cambio, per i mutui contratti in valuta estera;
    • l’imposta sostitutiva sul capitale prestato.

    Vi sono invece altre spese che non danno alcun diritto alla detrazione in ragione del fatto che non risultano “assolutamente necessarie” alla stipula del contratto. Vediamo quali.

    Oneri non detraibili per il contratto di mutuo

    Non danno diritto alla detrazione nell’ambito degli atti effettuati nella stipula del contratto di mutuo:

    • le spese di assicurazione dell’immobile, (anche nel caso in cui l’assicurazione sia richiesta dall’istituto di credito che concede il mutuo);
    • le spese di mediazione immobiliare (agenzie immobiliari);
    • l’onorario del notaio per il contratto di compravendita;
    • le imposte di registro;
    • l’IVA;
    • le imposte ipotecarie e catastali.

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    sabato 4 giugno 2016

    Così l’acquisto della casa per i figli è al sicuro

     

    Aiutare i figli nell'acquisto di una casa è il desiderio di molti genitori. Senza il sostegno di mamma e papà, anzi, in questi ultimi anni di crisi economica, elevato tasso di precarietà e disoccupazione giovanile, il livello del mercato immobiliare residenziale sarebbe stato con ogni probabilità ridotto ancora di più ai minimi termini. Si tratta di un aiuto legittimo che, tuttavia, per non comportare problemi fiscali e civilistici – e per non pregiudicare una corretta gestione delle future questioni ereditarie – deve avvenire nel modo più trasparente possibile, con passaggi di denaro chiari e tracciabili. Succede invece che – per poca conoscenza della materia e magari proprio per paura di contravvenire alla legge – spesso si agisca in modo da mettere a rischio un'operazione che invece è del tutto lecita.

    Sostanzialmente ci sono due strade percorribili per sostenere i figli nell'acquisto della casa – tema che è stato al centro di uno degli appuntamenti di “Comprar casa senza rischi”, incontri con la cittadinanza organizzati dal Consiglio notarile di Milano: o si cede ai figli una somma di denaro che poi verrà utilizzata per acquistare l'immobile, o si dispone direttamente dal proprio conto corrente il pagamento alla parte venditrice davanti al notaio.

    La donazione di denaro con atto notarile
    La prima ipotesi necessita di un doppio passaggio e di regola di due atti notarili. Il primo è la donazione del denaro, il secondo è la compravendita della casa, il cui prezzo sarà a questo punto pagato direttamente dai figli. Tra i vantaggi di questa soluzione – spiega un vademecum dei notai – c'è un elevato grado di chiarezza sui passaggi di denaro e la trasparenza nei rapporti familiari, specialmente se ci sono altri figli. Inoltre, dato che il passaggio di denaro avviene attraverso un atto registrato, è noto all'amministrazione finanziaria e quindi non sorge nessun tipo di problema davanti a eventuali verifiche fiscali sulla provenienza del denaro. Non emerge poi nessuna donazione dall'atto di compravendita, il che facilità l'eventuale successiva alienazione dell'immobile (vedi articolo in basso). Tra gli svantaggi c’è principalmente l’aumento dei costi, perché il notaio redige due atti. Inoltre la donazione di denaro va a erodere la franchigia di un milione di euro (limite su cui non si pagano imposte) di cui gode la tassazione sulla successione ereditaria.

    Il pagamento dei genitori al venditore
    La seconda ipotesi è invece più snella e meno costosa, perché si redige un solo atto e l’importo pagato non erode le franchigia per la successione. «Se l'atto è ben scritto – spiega il vademecum – è comunque garantita la chiarezza e la trasparenza dell'operazione», tuttavia «potrebbe accadere che la liberalità che emerga dall'atto di compravendita possa complicare la successiva rivendita della casa, sebbene tale rischio sarebbe privo di ragioni alla luce dei più recenti orientamenti dottrinali e giurisprudenziali». Potrebbe anche accadere «che l’atto di compravendita, ove ometta o comunque non sia chiaro nell'esplicitare che i genitori paghino in tutto o in parte il prezzo dovuto al venditore, non assicuri la necessaria chiarezza, sia nei rapporti famigliari, sia rispetto a eventuali controlli dell'Agenzia delle Entrate».

    Il passaggio di denaro senza donazione
    Una “variante” della prima ipotesi non presa esplicitamente in considerazione dal vademecum dei notai potrebbe però consistere anche in un passaggio di denaro – sempre “tracciabile” – da un conto corrente all'altro, senza che ci sia un atto di donazione davanti al notaio. Si tratta in realtà di una pratica molto diffusa, soprattutto nel caso i genitori coprano solo una parte dell'importo necessario all'acquisto, tipicamente (almeno) quello che non si riesce a finanziare con il mutuo. È una prassi che non va contro la legge, soprattutto se si tratta di un “importo non rilevante”. Un primo problema è però che in sostanza non esiste una soglia critica circa la somma donabile: la “rilevanza” dipende dal patrimonio di chi trasferisce i soldi, dal contesto, dall'area geografica e da altri criteri che solo il giudice potrà eventualmente stabilire in caso di contestazioni.

    Il rischio redditometro
    «La principale controindicazione di questi passaggi, oltre la mancata trasparenza per cui queste donazioni potrebbero essere sconosciute ad altri eredi – commentano dal Notariato – è che può più facilmente scattare un accertamento delle Entrate, a cui si dovrà documentare la lecita provenienza del trasferimento, cosa che può essere poco auspicabile per chi non ha mai avuto a che fare con l'amministrazione finanziaria». O comunque per chi preferisce non essere sottoposto a controlli fiscali. La spesa per una casa può infatti facilmente incappare nelle incongruenze vagliate dal meccanismo del cosiddetto “redditometro”: in sostanza quando si riscontrino differenze di più del 20% tra il reddito dichiarato dal contribuente e spese effettuate, cosa che accade facilmente nel caso dell'acquisto di una casa.

    Mantenere il controllo sulla casa
    Capita spesso che i genitori desiderino mantenere un qualche tipo di controllo sulla casa dei figli, per evitare che possano ad esempio rivenderla per ottenere liquidità. In questo caso il consiglio potrebbe essere quello di intestarsi un particolare diritto (per esempio l'usufrutto) o una quota di comproprietà. In questo caso vanno messi sulla bilancia i relativi costi in termini fiscali.

    Le complicazioni in caso di successione
    Tipicamente si decide di intestare l’immobile direttamente ai figli, per evitare di pagare l’Imu e le tasse d’acquisto sulla seconda casa e per prevenire il possibile inasprimento dell’imposta di successione (che oggi non si paga sotto il milione di euro). E magari per non dover ricorrere poi a un atto di donazione in futuro.

    Le donazioni – si pensi anche al caso in cui l’immobile sia già in possesso dei genitori – possono infatti comportare due tipi di complicazioni. Da un lato altri eredi potrebbero rivendicare la parte di eredità a loro riservata dalla legge (la cosiddetta legittima): non è infatti possibile usare la donazione per sottrarre beni al proprio patrimonio disponibile. Dall’altro, per lo stesso motivo, il bene risulta difficilmente rivendibile. Questo perché al momento della preparazione dell’eventuale futuro rogito, il notaio, rilevando una donazione negli atti di provenienza, metterà in guardia il potenziale acquirente dai rischi di rivalsa. La circolazione di un bene donato incorre in questi problemi per 20 anni dalla donazione o per 10 dalla successione.

    Imu e Tasi prima casa 2016

    Imu e Tasi prima casa 2016

    La legge di Stabilità 2016 ha introdotto una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda le imposte sulla casa, abolendo la tassa sui servizi indivisibili sulla prima abitazione. Così facendo ha uniformato la normativa della Tasi a quella dell'Imu, che già dal 2014 si paga solo per le prime case di lusso (categoria a1, a/8, a/9). Ma vediamo quali sono gli immobili considerati prima abitazione che non pagheranno le imposte alla scadenza del 16 giugno.

    Abitazione principale ai fini imu e tasi

    Per quanto riguarda l'Imu, si considera abitazione principale "L'immobile iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e riesiedono anagraficamente". 

    Ai fini Tasi, con la legge di Stabilità 2016 è stata estesa la definizione di "Abitazione principale" anche ai locatari che utilizzano l'immobile in locazione come loro propria abitazione principale, quindi con residenza e dimora abituale, senza la necessità del requisito del possesso che vale invece per l'Imu. Un'estensione che ha determinato l'esenzione Tasi per gli inquilini per la loro quota. Continuano invece a pagare regolamente la Tasi per la loro quota, che può variare dal 70 al 90% dell'imposta dovuta sull'immobile.

    Immobili assimilati ad abitazione principale

    Oltre a questi immobili, sono considerati abitazione principale ed usufruiscono dell'esenzione Tasi e Imu anche

    • gli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite dai soci a propria abitazione principale;
    • gli alloggi sociali;
    • la casa coniugale, assegnata dal giudice all’ex coniuge in sede di separazione o divorzio, anche nel caso in cui l’immobile sia in comodato, qualora invece si tratti di fabbricato utilizzato in locazione vengono applicate le normali regole

    Inoltre, la normativa comunale ha assimilato, con i rispettivi regolamenti, gli immobili assimilati all'abitazione principale

    • le abitazioni non locate, appartenenti a soggetti disabili ed anziani residenti in istituti di ricovero
    • l’unità immobiliare non locata, né concessa in comodato, che appartiene aicittadini italiani iscritti all’Aire, a patto che risultino pensionati nel Paese di residenza.