sabato 27 giugno 2015

Mutui e finanziamenti, come chiedere la sospensione 2015-2017

 

Attenti a mutui e finanziamenti poco chiari sui costi

Finalmente operativa la moratoria sui mutui e finanziamenti indirizzata a famiglie e consumatori in  affanno col pagamento della rata mensile alla banca.

Banche e rate dei prestiti troppo salate: per chi non ce la fa a stare dietro coi pagamenti, la Legge di Stabilità 2015 [1] ha introdotto una nuova moratoria di mutui e finanziamenti per il triennio 2015-2017: rispetto alle vecchie sospensioni, sarà utilizzabile non solo per i mutui per l’acquisto di un immobile, ma anche per i crediti al consumo, ovvero quelli che finanziano l’acquisto dell’auto, di mobili ed elettrodomestici, o spese voluttuarie come lo smartphone.

Pur essendo in vigore dal 2014, tuttavia, la misura è rimasta congelata per diversi mesi, poiché si era in attesa, prima, di un accordo tra l’Abi (Associazione bancaria italiana) e le più importanti associazioni di consumatori, poi delle disposizioni operative.

Ora, finalmente, sono stati resi noti requisiti, criteri e modalità per accedere alla sospensione delle rate dei prestiti.

Innanzitutto, è necessario specificare che la moratoria vale soltanto per il verificarsi di alcune specifiche situazioni: cessazione, sospensione del rapporto d’impiego o riduzione oraria, sospensione di ammortizzatori sociali, morte o grave infortunio.

Inoltre, la misura risulta molto più limitata delle precedenti sospensioni: difatti, il periodo massimo di fruizione è 12 mesi, e l’interruzione non riguarda il pagamento dell’intera rata, ma della sola quota capitale. Tale risvolto rischia di privare il provvedimento di gran parte della sua efficacia, considerando che, nella quasi totalità dei casi, più recente è il mutuo, più alti sono gli interessi rispetto alla quota capitale.

L’accordo con l’Abi, insomma, ha ridotto notevolmente i benefici per le famiglie, e diminuito in maniera marcata l’iniziale portata della disposizione, che prevedeva una sospensione di 36 mesi: le uniche note positive, oltre alla già citata estensione al credito al consumo, sono la possibilità di richiedere la moratoria anche per chi presenta dei ritardi nei pagamenti, se inferiori a 90 giorni, e l’assenza di particolari requisiti reddituali.

È senz’altro positivo il fatto che le banche abbiano aderito in massa all’iniziativa (si parla di oltre il 70% degli istituti di credito), ma ciò è facilmente giustificabile, poiché, considerando che l’interruzione riguarda la sola quota capitale, e che gli interessi continuano a dover essere regolarmente versati, l’ente creditore, in realtà, non subisce grandi perdite.

Peraltro, leggendo tra le ulteriori specifiche dell’accordo, emerge, oltre ai soggetti con ritardi nei versamenti di oltre 90 giorni, l’esclusione di chi abbia già goduto di agevolazioni pubbliche (come garanzie o contributi in conto capitale o interessi), o di sospensioni della durata di 12 mesi, nonché di chi abbia sottoscritto prestiti con cessione del quinto dello stipendio o della pensione, carte revolving o aperture di credito. Sono, invece, ammesse le famiglie che abbiano già beneficiato della misura, ma in un periodo anteriore ai 24 mesi precedenti la richiesta.

Gli intestatari di mutui o finanziamenti interessati alla moratoria possono presentare domanda alla banca entro il 31 dicembre 2017: il modulo, cartaceo, deve contenere una dichiarazione sostitutiva di certificazione, nella quale il titolare e gli eventuali cointestatari del prestito dichiarano le motivazioni della sospensione, ed alla quale deve essere allegata la documentazione comprovante il diritto (comunicazione di licenziamento, certificazione o richiesta del datore di lavoro per l’ammissione al trattamento di sostegno del reddito, certificato della commissione Asl, per riconoscimento di handicap o invalidità, ecc.). Sarà poi l’istituto di credito ad avviare l’iter burocratico per la fruizione dell’agevolazione.

Note

[1] L.190/2014.

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Cedolare secca: pagamento del saldo 2014 e prima rata 2015

 

Cosa la cedolare secca meglio la tassazione ordinaria

Affitto: per chi ha scelto il regime della cedolare secca per il contratto di locazione, slitta da domenica 5 luglio a lunedì 6 luglio il termine ultimo per il saldo 2014 e la prima rata del 2015.

Il primo Ultimo giorno per i contribuenti “interessati” dagli studi di settore, minimi compresi, che hanno scelto il regime della cedolare secca, che devono versare il saldo della tassa piatta per il 2014 e la prima rata di acconto per il 2015. La cedolare secca va versata entro il termine stabilito per il versamento Irpef.

Per questi contribuenti, i termini per i versamenti sono quelli del 6 luglio oppure dal 7 luglio al 20 agosto con lo 0,40% in più.
Cos’è la cedolare secca

Chi percepisce, in qualità di padrone di casa le mensilità di affitto, tale canone di locazione rappresenta un reddito e come tale deve essere tassato.

Il contribuente può scegliere diversi regimi di tassazione, che a seconda della situazione reddituale complessiva dell’anno possono essere più o meno vantaggiosi. Per questo motivo è bene valutare la propria situazione fiscale prima di scegliere quale tra le due regime adottare tra le due opzioni alternative: il regime ordinario e la cedolare secca.

Nel regime ordinario, l’imponibile sul quale si deve calcolare l’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche) dipende dal tipo atto stipulato (se, per esempio, l’immobile è locato a equo canone o con regime di mercato libero o contratti a canone convenzionale).

Il regime della “cedolare secca” è un sistema alternativo a quello ordinario e generalmente meno oneroso. Si applica alle locazioni di immobili con finalità abitative e alle loro pertinenze. Il sistema della cedolare secca consiste nell’applicare al canone annuo di locazione l’imposta fissa in sostituzione dell’IRPEF e delle relative addizionali, nonché dell’imposta di registro e dell’imposta di bollo dovute sul contratto di locazione. Se il locatore decide di avvalersi della cedolare secca ha l’obbligo di comunicarlo preventivamente all’inquilino con lettera raccomandata. Con la comunicazione il locatore rinuncia alla facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone, anche se era previsto nel contratto, incluso quello per adeguamento Istat.

In pratica il canone di locazione relativo ad immobili ad uso abitativo e le relative pertinenze locate congiuntamente all’abitazione viene assoggettato, in base alla decisione del locatore, ad un’imposta, operata nella forma della cedolare secca, sostitutiva dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e delle relative addizionali, nonché dell’imposta di bollo sul contratto di locazione. La cedolare secca sostituisce anche le imposte di registro e di bollo sulle risoluzione e sulle proroghe del contratto di locazione.

Sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti la cedolare secca si applica in ragione di un’aliquota del 19% per cento. La cedolare secca può essere può essere applicata anche ai contratti di locazione per i quali non sussiste l’obbligo di registrazione.

Requisiti degli immobili per esercitare l’opzione: L’opzione può essere esercitata in relazione a ciascuna unità immobiliare ad uso abitativo e alle relative pertinenze locate congiuntamente all’abitazione.

Sono interessate, quindi, soltanto:

– le unità abitative accatastate nelle categorie da A1 a A11 esclusa l’A10 (uffici o studi privati);

– le relative pertinenze (solo se locate congiuntamente all’abitazione).

La nuova tassazione sostitutiva non si applica agli immobili strumentali o relativi all’attività di impresa o di arti e professioni.

Note

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Tari, tassa sui rifiuti illegittima, come difendersi e non pagare

 

Rifiuti la Tari pesera piu della Tasi e sara piu cara nelle citta inefficienti

Non sempre la tassa sui rifiuti è legittima: vediamo in quali casi si può contestare e ci si può rifiutare di pagare.

Tra i pesanti balzelli che gravano sulla casa, certamente uno dei meno amati è la Tari, acronimo di Tassa sui Rifiuti: il tributo sostituisce le vecchie Tarsu, Tia e Tares. Le somme pagate per i rifiuti sono state dapprima connotate come tasse [1] (per via del legame tra pagamento ed effettuazione del servizio), poi specificate come tariffe dal noto Decreto Ronchi [2]; la disposizione spiegava nel dettaglio come determinare e applicare la tariffa, prevedendo, però la stesura anticipata di un piano finanziario del servizio. Proprio per le difficoltà dei Comuni nella stesura di tale piano, il decreto non è mai stato attuato. Così, dopo un susseguirsi di differenti interventi legislativi, si è arrivati dapprima, nel 2013, alla Tares, ed in seguito, con la legge di Stabilità 2014, alla Iuc (Imposta Unica Comunale), formata da Imu, Tasi e Tari, quest’ultima componente relativa ai rifiuti.

Come funziona la Tari

Essa è applicata a chiunque possieda o detenga, a qualunque titolo, locali o aree esterne, che possono produrre rifiuti urbani (escluse le aree condominiali o quelle accessorie o pertinenziali di un immobile tassato). Lo scopo della tassa è coprire i costi del servizio di igiene urbana .

Le tariffe variano a seconda del comune, e sono differenziate per le utenze domestiche e non domestiche. Entrambe le tipologie sono composte da una parte fissa, relativa al costo del servizio, che si computa in base alla superficie dell’immobile, e da una parte variabile, proporzionale alla quantità di rifiuti prodotti: dato che nella quasi totalità dei casi è impossibile quantificare la spazzatura prodotta, essa è commisurata al numero dei componenti della famiglia.

Illegittimità costituzionale della Tari

Secondo parte della dottrina, la Tari risulterebbe, di per sé, un’imposizione costituzionalmente illegittima: difatti, se considerata come tributo, andrebbe contro i criteri di proporzionalità e progressività affermati dalla Costituzione [3]; se considerata, invece, come tassa, appare incoerente inquadrare lo smaltimento come un servizio pagato a consumo, quando, in realtà, dovrebbero essere i contribuenti a ricevere un corrispettivo per il conferimento dei rifiuti (prova ne sia l’esistenza e la diffusione delle discariche verdi, punti di raccolta nei quali viene dato un compenso per ogni tipologia di rifiuto: una famiglia media può arrivare a guadagnare intorno a € 250 l’anno).

Illegittimità delle delibere comunali sulla Tari

Oltre all’illegittimità della tassa in sé, dobbiamo considerare tutti i casi in cui sono le delibere del Comune ad andare contro la normativa stessa.

Una prima ipotesi si verifica quando la delibera relativa alle tariffe è adottata posteriormente alla data fissata dalle leggi nazionali per deliberare il bilancio di previsione: nel 2013, la data era il 30 novembre, nel 2014 il 30 settembre. Pertanto, tutte le delibere posteriori sono impugnabili.

Un secondo caso di illegittimità, che si è verificato in numerosi comuni, è la mancanza di riduzione della tariffa di almeno il 40%, nelle zone dove la raccolta non è prevista.

La più frequente ipotesi d’illegittimità della Tari, però, riguarda il mancato rispetto di un fondamentale articolo della Legge di Stabilità 2014, ossia quello che stabilisce che, per determinare con esattezza il costo del servizio ed i coefficienti di produttività qualitativa e quantitativa dei rifiuti, sia indispensabile la stesura di un piano tariffario. Tale piano deve individuare e classificare i costi del servizio, suddividerli tra fissi e variabili e ripartirli tra utenze domestiche e non, oltreché quantificare tutte le voci per ogni categoria di utenza.

Osservando la maggior parte delle cartelle, appare evidente l’inesistenza di qualsiasi piano o schema, suscettibile di fornire una tariffa chiara per tipologia d’utenza: gli avvisi di pagamento, infatti, appaiono quasi sempre vaghi ed incomprensibili, rendendo il contribuente impossibilitato a capire sia i calcoli che il regolamento. Pertanto, è palese la mancanza di legittimazione dell’impianto tariffario.

Riscontrando uno di questi casi, ci si può rifiutare di pagare ed impugnare la cartella?

Nelle ipotesi sopraelencate, si potrà sia, in primo luogo, impugnare l’avviso di pagamento in autotutela, ossia rivolgendosi direttamente all’ufficio tributi del Comune. In caso di risposta negativa o assente, sarà opportuno effettuare l’impugnazione presso la commissione tributaria provinciale, il prima possibile, in quanto l’autotutela non sospende i termini per l’impugnazione.

Infine, non dimentichiamo la possibilità di impugnare la cartella per tutte quelle aziende che smaltiscono i rifiuti in proprio, previa dimostrazione del fatto che non si usufruisca del servizio comunale: in quest’ultimo caso, si ha diritto all’esclusione totale dalla Tari.

Note

[1] D.lgs 507/1993.

[2] DPR 158/1999.

[3] Cost., art.53.

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Abuso edilizio del precedente proprietario: la casa si demolisce?

 

Cartella Equitalia per sanzioni abuso edilizio chi il giudice competente

Le opere non si abbattono se il nuovo proprietario non sapeva degli abusi commessi dal vecchio: va tutelato il legittimo affidamento dell’acquirente perché se nel rogito notarile c’è la dichiarazione di conformità alla concessione.

Potrebbe capitare di acquistare casa e che, solo dopo il rogito, si venga a sapere che una parte della stessa è abusiva (per esempio un box auto, una cantina, un terrazzo, ecc.): se l’acquirente, però, era in buona fede perché il venditore, al momento della firma del contratto definitivo, ha dichiarato che le opere erano “conformi alla concessione edilizia” non si può procedere a nessuna automatica demolizione. Salvo che il Comune dimostri e motivi l’interesse pubblico alla demolizione.

È quanto emerge da una recente sentenza del Tar Campania [1].

Prevale la buona fede

Secondo il tribunale amministrativo, l’acquirente è tutelato dalla sua buona fede se, al momento della stipula del rogito notarile, non era in grado di sapere che l’immobile acquistato presentava difformità rispetto ai vincoli urbanistici; e dunque, a salvarlo è il fatto che le opere illegittime sono risalenti e che di tale irregolarità non si fa menzione davanti al notaio, ma anzi viene certificata la conformità alla concessione edilizia. Sul punto, però, vi è contrasto in giurisprudenza e non tutti i giudici sono dello stesso avviso.

Ciò non toglie che il Comune possa di nuovo esercitare il potere repressivo, specie se si considera che l’immobile si trova in area vincolata. Ma dovrà comunque motivare la successiva decisione sulla scorta dell’effettiva incidenza delle opere abusive sui valori paesaggistici tutelati e meritevoli di conservazione.

Note

[1] Tar Campania sent. n. 1349/2015.

Come scaricare le spese dell’affitto nel 730 (anche precompilato)

 

Per la denuncia dei redditi quest’anno è a disposizione di 20 milioni di lavoratori dipendenti e pensionati il modello 730 precompilato. Con il codice PIN che rilascia l’INPS o le credenziali per accedere a Fisconline o la Carta Nazionale dei Servizi direttamente on line dal sito dell’Agenzia delle entrate si può accedere in un’area riservata in cui visualizzare il proprio 730. Si dice precompilato perché esso contiene alcuni dati già in possesso del Fisco (ad quelli relativi agli interessi passivi sui mutui, ai premi assicurativi e ai contributi previdenziali, gli oneri che danno diritto a una detrazione da ripartire in più rate annuali, come le spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio e i versamenti effettuati con il modello F24 e i contributi versati per lavoratori domestici). Altri dati invece vanno inseriti dal contribuente, tra cui le spese che danno diritto alle detrazioni fiscali come le spese di affitto.

In questi casi occorre compilare il quadro E del 730, diviso in varie sezioni. È dedicata proprio agli inquilini che possono scaricare il canone di locazione nella denuncia dei redditi la sezione V del 730, sia precompilato sia ordinario. Prima di entrare nel merito della compilazione della dichiarazione dei redditi, è doveroso specificare quali siano queste detrazioni fiscali per i canoni di locazione che variano a seconda degli inquilini e del reddito percepito.

In primo luogo abbiamo i contribuenti che hanno stipulato o rinnovato il contratto di locazione di immobili destinati ad abitazione principale, in base alla legge che disciplina le locazioni di immobili ad uso abitativo (legge 9 dicembre 1998, n. 431). Questi inquilini hanno diritto ad una detrazione fiscale pari a:

  • 300 euro se il reddito complessivo non supera i 15.493,71 euro;
  • 150 euro se il reddito complessivo supera i 15.493,71 euro ma non va oltre i 30.987,41 euro.

Chi invece ha stipulato contratti di locazione a canone convenzionale (sono quei contratti che sono stipulati o rinnovati sulla base di appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori in cui si stabilisce la misura massima del canone di locazione), la detrazione fiscali è pari a:

  • 495,80 euro se il reddito complessivo non supera la soglia di 15.493,71 euro;
  • 247,90 euro se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 euro, ma non alla soglia di 30.987,41 euro.

Possono beneficiare di detrazioni fiscali anche gli inquilini giovani di età compresa fra i 20 e i 30 anni che hanno stipulato un contratto di locazione per l’unità immobiliare da destinare a propria abitazione principale. La detrazione fiscale è temporanea in quanto spetta solo per i primi tre anni dalla stipula del contratto di locazione. Così ad esempio, se il contratto è stato stipulato nel 2013 la detrazione può essere fruita anche per il 2014 e il 2015. Lo sconto fiscale ha misura pari a 991,60 euro a condizione che il reddito complessivo del giovane inquilino non superi i 15.493,71 euro.

Infine tra le categorie di inquilini che hanno diritto alle detrazioni fiscali troviamo anche coloro che hanno stipulato contratti di locazione di alloggi sociali adibiti ad abitazione principale. Come nelle altre fattispecie, anche in questa la detrazione fiscale è rapportata al reddito del contribuente-inquilino e come tale ha misura pari a:

  • 900 euro se il reddito complessivo non supera 15.493,71 euro
  • 450 euro se il reddito complessivo è superiore a 15.493,71 euro ma non superiore a 30.987,41 euro.

Per poter beneficiare di queste detrazioni occorre indicare le spese sostenute nel 730. Abbiamo detto che da quest’anno è possibile avvalersi del 730 precompilato il cui uso però, è bene sottolinearlo, non è obbligatorio e come tale si può continuare a usare la dichiarazione dei redditi ordinaria, avvalendosi dell’assistenza di un Caf o del proprio consulente. Le istruzioni per l’uno e per l’altro sono identiche. In entrambi i casi occorre compilare la sezione V del quadro E per le detrazioni dei canoni di locazione.

Così chi sceglie di usare il 730 precompilato, una volta eseguito l’accesso dal sito dell’Agenzia delle Entrate, potrà inserire le spese che danno diritto alle detrazioni fiscali seguendo il percorso: “Modifica il 730 e invia” – Quadro E – Sezione V.

Apparirà una schermata (come nell’immagine che segue) in cui andranno inserite alcune informazioni importanti al fine di fruire della detrazione.

Nel primo rigo E71 “Inquilini di alloggi adibiti ad abitazione principale”, sia per il 730 ordinario che precompilato si devono indicare:

  • alla colonna 1 “Tipologia”: i codici che corrispondono a diverse detrazioni (codice “1” per i contribuenti che hanno stipulato o rinnovato il contratto di locazione di immobili destinati ad abitazione principale, in base alla legge che disciplina le locazioni di immobili ad uso abitativo; codice “2” per gli inquilini di alloggi adibiti ad abitazione principale locati con contratti a regime convenzionale; codice “3” per gli inquilini con età compresa tra 20 e 30 anni; codice “4” per i contribuenti che hanno stipulato contratti di locazione di alloggi sociali adibiti ad abitazione principale)
  • alla colonna 2 “Giorni”: il numero dei giorni nei quali l’unità immobiliare locata è stata adibita ad abitazione principale
  • alla colonna 3 “Percentuale”: la percentuale di detrazione spettante. Ad esempio, due contribuenti cointestatari del contratto di locazione dell’abitazione principale devono indicare 50. Se il contratto di locazione è stato stipulato da una sola persona va, invece, indicato 100.

L’altro rigo E72 è invece dedicato ai lavoratori dipendenti che trasferiscono la residenza per motivi di lavoro e stipulano contratti di locazione di unità immobiliari adibite ad abitazione principale che sono situate nel nuovo Comune di residenza, a non meno di 100 Km di distanza dal precedente e comunque al di fuori della propria Regione.

Questa detrazione fiscale può essere fruita nei primi tre anni dal trasferimento della residenza. Ad esempio, se il trasferimento della residenza è avvenuto nel 2013, si può beneficiare della detrazione per gli anni d’imposta 2013, 2014 e 2015.

Sia per chi sceglie di usare il 730 precompilato che chi invece continua a usare il modello ordinario, le spese di affitto sostenute per motivi di lavoro da cui si possono ottenere gli sconti fiscali, vanno indicate al rigo E72 in cui vanno specificati:

  • nella colonna 1 “N. giorni”: il numero dei giorni nei quali l’unità immobiliare locata è stata adibita ad abitazione principale
  • nella colonna 2 “Percentuale”: la percentuale di detrazione spettante.

Rientrano nel novero delle spese di affitto scaricabili nel 730 anche quelle sostenute dagli studenti universitari iscritti a un corso di laurea di un’università situata in un Comune diverso da quello di residenza, ad almeno 100 chilometri di distanza.

Le spese di affitto vanno indicate nella sezione I, dove i righi E8-E12 sono dedicati alle altre spese che il contribuente può portare in detrazione.

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Nell’immagine il rigo E8 come appare nel 730 precompilato.

Per fruire della detrazione per canoni di locazione per studenti universitari fuori sede andrà indicato il codice spesa “18” e l’importo dell’affitto pagato che non può superare i 2.633 euro.

Il solare termico per la produzione di acqua calda si ripaga in sei anni

 

 

 

 

 

Sfruttare l’energia del sole per produrre acqua calda, risparmiando sui consumi di gas. Una soluzione meno “pubblicizzata” rispetto al fotovoltaico per la produzione di energia...

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Dario Aquaro
Thu, 25 Jun 2015 11:08:02 GMT

Incentivi fiscali per i pannelli solari: ecobonus (più ricco) e conto termico (più veloce) a confronto

 

 

 

 

Il sistema installato deve rispettare precise caratteristiche tecniche e dimensionali...

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Thu, 25 Jun 2015 11:09:38 GMT

Mini fotovoltaico, in Italia crescita esponenziale

 


Gli impianti mini fotovoltaici, che possono essere facilmente installati nelle proprie abitazioni, sono in netto aumento e si prevede che nel 2020 un quinto dell’ energia italiana sarà fai da te.

Crescita esponenziale

La positiva previsione di questa crescita è stata fatta durante il Festival dell’Energia a Milano, grazie ad uno studio effettuato da Bip (Business Integration Partners). “Siamo di fronte ad una crescita esponenziale della generazione distribuita, soprattutto per quanto riguarda le rinnovabili, a prescindere dagli incentivi” ha affermato Carlo Capè, amministratore delegato della Bip, nel corso del convegno “Rinnovare l’energia pulita per l’Italia”. E tutto ciò infatti risulta essere un’ opportunità non solo per la salvaguardia del nostro ambiente, ma anche per il sistema economico italiano.

Riduzioni emissioni e taglio dei prezzi

La generazione distribuita, secondo la previsione, passerà a rappresentare “dal 15% attuale al 20% del sistema energetico italiano entro il 2020, grazie al boom di installazioni di piccoli impianti solari. Portando così alla “riduzione delle emissioni al taglio del prezzo all’ingrosso, passando per un miglioramento dell’indipendenza energetica”.

Tanto che Capè invita le aziende italiane ad investire nel potenziamento delle reti, per poter superare quelle barriere che ancora oggi ostruiscono il corretto funzionamento del fotovoltaico. Secondo le stime attuali nel 2011 gli impianti con una potenza inferiore ai 20kW si attestavano all’11%. Mentre nel 2014 le installazioni hanno raggiunto il 59%.

Italia, terza al mondo per impianti installati

Se ancora vi fosse bisogno di dimostrare i passi in avanti fatti dall’Italia in questo settore, è bene riportare qualche dato che evidenzia come la nostra penisola sia terza al mondo per impianti installati. Nel 2014 infatti si contano 650.000 impianti, pari al 15% del totale mondiale. E a farla da padrone sono proprio le installazioni residenziali. Il merito è bene dirlo che è implementato anche da una serie di fattori, a “partire dalla proroga delle detrazioni fiscali del 50% fino a dicembre 2015” – afferma Emilio Cremona, presidente di Anie Rinnovabili – e  le “spese che sono diminuite di circa il 75% rispetto a qualche anno fa”.

Comodato d’uso di un immobile: cos’è e come funziona

 


Il comodato d’uso è principalmente un contratto a titolo gratuito, in cui il comodante (colui che mette a disposizione) consegna ad un’altra persona un immobile, per un lasso di tempo definito.

Il contratto di comodato d’uso

Il contratto di comodato va stipulato e preferibilmente registrato in forma scritta presso l’Agenzia delle Entrate entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione. L’imposta di registro è pari a 200 euro ed è possibile versarla in qualsiasi sportello bancario tramite il modello F24. Applicando inoltre sul contratto una marca da bollo di 16 euro, ogni 4 pagine del contratto da registrare.

Obblighi da rispettare

Il comodatario è titolare di un diritto personale di godimento di un immobile, ma non detiene il diritto di proprietà.

  • Il contratto di comodato d’uso è disciplinato  dagli art. 1803 e successivi del codice civile e si realizza solitamente all’interno dell’ambito familiare;
  • colui che ha ricevuto in consegna il bene non può cedere il diritto di usufruirne a terzi, senza il consenso del proprietario, che può in qualsiasi momento richiedere la restituzione dell’immobile, qualora si verifichi il fatto;
  • il comodatario deve restituire il bene immediatamente dopo la richiesta;
  • la morte del comodatario non estingue automaticamente il rapporto, in quanto il comodante può richiedere agli eredi la restituzione dell’immobile. In caso di morte del comodante si estingue invece il comodato precario, ma non quello a termine;
  • se il bene in comodato ha difetti che rechino danno  a chi se ne serve il comodante è tenuto al risarcimento, nel caso a conoscenza delle problematiche non abbia avvertito il comodatario.

Pagamento Tasi, Tari e Imu

Le spese ordinarie sono a carico del comodatario, mentre quelle straordinarie devono essere versate dal comodante. Inoltre, per quanto riguarda il pagamento della Tasi, Tari e Imu vediamo cosa accade nello specifico.

  • Il pagamento dell’Imu spetta ai proprietari dell’immobile, o titolari di un diritto reale di uso, usufrutto,  enfiteusi e superficie su fabbricati, terreni ed aree edificabili ;
  • se il contratto supera i 6 mesi la Tasi deve essere ripartita tra il comodato e il comodatario. L’occupante versa la Tasi nella aliquota stabilita dal Comune, in una percentuale che varia dal 10 al 30% dell’ammontare complessivo. Se invece non vi è nessuna delibera comunale l’imposta da versare è del 10%;
  • la Tari (tassa dei rifiuti) deve essere invece versata dal comodatario.

domenica 21 giugno 2015


Fate attenzione alla nuova riforma del catasto. Scompariranno le A1, A2, A3, O e S. Il decreto che sta preparando il governo, secondo quanto racconta La Stampa, a tremare saranno i proprietari di chi possiede case nei centri storici, ma classificate come popolari o ultrapopolari, o dei proprietari dei rustici trasformati in ville. L’Agenzia delle entrate inizierà così ad esaminare uno a uno gli oltre 60 milioni di immobili assegnando loro valori molto più simili a quelli di mercato, che entreranno poi in vigore nel 2019.
riforma-del-catasto-cosa-cambia
La Uil Servizio politiche territoriali stima che i 4,6 milioni di immobili classificati nelle più modeste categorie A4 e A5 potrebbero vedere quadruplicate le proprie rendite catastali. I maggiori aumenti si verificherebbero per le abitazioni di tipo civile, oggi classificate A2, di Milano (+ 310% sia in zona periferica che centrale), Napoli (+223% anche qui in entrambe le due zone), Roma (+ 222% in zona semi centrale e +163% altrove), mentre l’aumento più contenuto sarebbe a Torino (+51% in centro e periferia, solo +24% in zona semi centrale). Per le abitazioni di tipo economico il boom sarebbe in centro a Milano (+379%), Venezia (+329%) e Napoli (+246%).
Lievi aumenti in periferia a Torino (+16%). In zona semicentrale le rendite salirebbero del 29%, mentre in centro raddoppierebbero. Se le aliquote Tasi restassero al due per mille con i nuovi valori catastali un appartamento semi centrale di 120 metri quadri a Torino pagherebbe 535 euro contro gli attuali 433.

Tasi e Imu illegittime, quando non si deve pagare

 

Esenzione Imu per le due abitazioni dei coniugi solo se in Comuni diversi

Le imposte comunali sulla casa (Imu, Tasi) diventano illegittime quando il carico tributario supera certi limiti.

Le componenti della Iuc (imposta unica comunale), ovvero Imu, Tasi e Tari, non sono mai risultate, com’è ovvio, particolarmente gradite, poiché hanno innalzato eccessivamente la pressione fiscale sui contribuenti, facendo sì che una normalissima abitazione familiare, nella pratica, si trasformi in un bene di lusso.

In particolare, l’Imu, Imposta Municipale Unica, abolita, tranne che per determinate categorie d’immobili, per la prima casa, sostituisce la vecchia Ici: la sua soppressione per le abitazioni principali, tuttavia, non fa gioire, perché si è comunque tenuti a pagare la Tasi, che precedentemente non esisteva (si tratta di un tributo inerente ai servizi indivisibili, come illuminazione e strade), oltre alla Tari, che sostituisce, innalzandola, la vecchia tassa sui rifiuti.

Quello che molti però non sanno è che esistono dei vincoli, imposti da una circolare del Dipartimento delle Finanze [1], che vietano che la Tasi, sommata all’Imu, crei un carico tributario più pesante di quello della vecchia Imu ,così come quantificato al dicembre 2013(pari al 10,6 per mille); inoltre, stabiliscono, per il 2014 e il 2015, che l’aliquota massima Tasi non possa superare il 2,5 per mille, e che la maggiorazione comunale non possa andare oltre lo 0,8 per mille.

Per verificare se vi sia il superamento dei limiti, si devono, innanzitutto, dividere gli immobili in due gruppi:

immobili soggetti sia ad Imu che a Tasi:

in questo caso, l’aliquota massima complessiva è:

— il 10,6 per mille, nella generalità delle ipotesi;

— il 6 per mille, per le abitazioni principali ( l’Imu non è stata abolita per le categorie A71, A78 ed A79);

–l’1 per mille, per i fabbricati rurali strumentali.

Immobili soggetti solo a Tasi: in questo caso, l’aliquota massima non può superare il 2,5 per mille.

Se il Comune decide di applicare la maggiorazione dello 0,8 per mille, può utilizzarla per aumentare uno dei due limiti, oppure la può distribuire tra di essi.

Nel dettaglio, se si è deciso di aumentare solo il primo limite, la somma di Imu e Tasi, per la prima casa, non può superare il 6,8 per mille, e, per gli altri immobili, l’11,4 per mille; l’aliquota Tasi dovrà allora essere inferiore o uguale al 2,5 per mille, per le abitazioni principali al di fuori delle categorie lusso, come illustra la seguente tabella:

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Tasi e Imu illegittime, quando non si deve pagare
Noemi Secci
Wed, 17 Jun 2015 06:34:17 GMT

Disdetta dell’affitto dopo i primi quattro anni: in quali casi?

 

Cedolare secca ridotta e sanatoria sugli affitti in nero

Quando la legge consente al proprietario di negare all’affittuario il rinnovo del contratto di affitto ad uso abitativo dopo il primo quadriennio di durata?

Per dare stabilità al contratto di affitto ad uso abitativo, la legge italiana [1] non solo stabilisce una durata minima di quattro anni più quattro anni, ma stabilisce che alla scadenza dei primi quattro la cosiddetta disdetta possa essere data dal proprietario solamente nei casi da essa stessa fissati. Una parte del contenzioso in materia di affitto è determinata dalla scarsa conoscenza dei casi in cui la disdetta dopo i primi quattro anni sia effettivamente possibile.

È dunque importante conoscere nel dettaglio i motivi che giustificano la disdetta dopo il primo quadriennio, proprio per evitare che persone prive di scrupoli possano approfittare della altrui scarsa conoscenza delle norme.

Fatte queste premesse, diciamo che la legge [2] individua i seguenti casi in cui il proprietario può dare disdetta (la legge parla di diniego del rinnovo per il secondo quadriennio):

– intenzione di destinare l’appartamento ad uso abitativo, artigianale, commerciale o professionale del proprietario stesso o del coniuge, dei genitori, dei figli o parenti entro il secondo grado del proprietario;

– quando il locatore, persona giuridica, società o ente pubblico o comunque con finalità pubbliche, sociali, mutualistiche, cooperative, assistenziali, culturali o di culto intenda destinare l’immobile all’esercizio delle attività dirette a perseguire le predette finalità ed offra al conduttore altro immobile idoneo e di cui il locatore abbia la piena disponibilità;

– quando il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso comune;

– quando l’immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato che debba essere ricostruito o del quale debba essere assicurata la stabilità e la permanenza del conduttore sia di ostacolo al compimento di indispensabili lavori;

– quando l’immobile si trovi in uno stabile del quale è prevista l’integrale ristrutturazione, ovvero si intenda operare la demolizione o la radicale trasformazione per realizzare nuove costruzioni, ovvero, trattandosi di immobile sito all’ultimo piano, il proprietario intenda eseguire sopraelevazioni a norma di legge e per eseguirle sia indispensabile per ragioni tecniche lo sgombero dell’immobile stesso;

– quando, senza che si sia verificata alcuna legittima successione nel contratto, il conduttore non occupi continuativamente l’immobile senza giustificato motivo;

– quando il locatore intenda vendere l’immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione. In tal caso al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione, da esercitare con le modalità di cui agli articoli 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392.

Il proprietario, per esercitare la disdetta, dovrà inviare comunicazione all’affittuario, meglio se con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, almeno sei mesi prima della scadenza del primo quadriennio contrattuale.

Fondamentale sarà l’indicazione specifica nella disdetta del motivo per cui il proprietario intende non rinnovare il contratto per i successivi quattro anni:

a) il motivo indicato nella disdetta non può essere successivamente modificato e

b) se tale motivo non si verificherà (se, ad esempio, l’appartamento non verrà adibito ad abitazione del proprietario che avesse indicato proprio questo motivo nella disdetta) il conduttore potrà chiedere un risarcimento pari a trentasei mensilità dell’ultimo canone oppure, a sua scelta, il ripristino del contratto di locazione alle stesse condizioni.

Note

[1] Legge n. 431 del 1998.

[2] Art. 3 della Legge n. 431 del 1998.

Ristrutturare un appartamento da affittare a studenti? Diciassette idee di design sul web

 

 

 

 

 

Non è raro, nelle città in cui è presente un polo universitario importante, che si decida di investire nell'acquisto e nella ristrutturazione di un appartamento da destinare...

Ristrutturare un appartamento da affittare a studenti? Diciassette idee di design sul web
Federico Schiano di Pepe
Fri, 12 Jun 2015 13:56:40 GMT

Imu e Tasi: ecco come pagare la prima rata in ritardo (con le sanzioni)

 

Il 16 giugno scorso era l’ultimo giorno utile per pagare la prima rata dell’IMU e della Tasi dovute per il 2015. I contribuenti che non hanno rispettato questa scadenza possono ancora pagare l’acconto insieme alle sanzioni che hanno importi diversi a seconda dei giorni di ritardo nel pagamento. Questa nuova chance offerta ai contribuenti prende il nome di ravvedimento operoso, l’istituto per cui si possono pagare versamenti dovuti oltre la scadenza ufficiale prevista per legge, pagando insieme all’importo totale anche le sanzioni ridotte in base ai giorni di ritardo e agli interessi legali annui.

Così si può pagare la prima rata IMU e Tasi 2015 (dopo la scadenza del 16 giugno):

  • nei primi 14 giorni, quindi entro il 30 giugno 2015, versando una sanzione dello 0,2% per ogni giorno di ritardo
  • dal 15 esimo al 30esimo giorno quindi dal 1 al 16 luglio 2015 pagando, sempre insieme all’importo dovuto, una sanzione del 3% per ogni di giorno di ritardo
  • entro 90 giorni quindi entro il 16 settembre 2015, con la sanzione del 3,33% dell’importo dovuto
  • entro 1 anno ( 16.06.2016) pagando una sanzione del 3,75%.
  • Ovviamente insieme alle sanzioni sono dovuti anche gli interessi legali dell’1% annuo.

Ad esempio il signor Mario Rossi, proprietario di un immobile classificato nella categoria A1 nel Comune di Reggio Emilia, non ha pagato l’acconto IMU di 500,00 euro entro il 16 giugno scorso e decide di pagarlo il 25 giugno 2015, quindi nei 9 giorni successivi. La sanzione che dovrà pagare sarà di 9 euro (9 giorni di ritardo x 0,2 sanzione= 1,8% di 500 euro). A questa dovrà aggiungere anche gli interessi legali dell’1% annuo.

Per il pagamento dell’acconto sia dell’IMU che della Tasi anche quando è effettuato in ritardo rispetto alla scadenza prevista per legge, si deve utilizzare il modello F24. Sono diversi i codici tributo da usare: 3962 per gli interessi Tasi, 3963 per le sanzioni Tasi, mentre si userà il codice tributo 3912 per l’IMU.

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Nella prima colonna “Codice ente/codice Comune” va inserito il codice del Comune (quello di Reggio Emilia dell’esempio è H223). La casella “Ravv.” va barrata perché si riferisce al ravvedimento, così anche “Acc.” perché si riferisce all’acconto. Nella casella “numero immobili” invece va inserito il numero immobili (, quindi nell’esempio 1”). Nel campo “codice tributo” va indicato 3912 che si riferisce all’IMU, il numero di rate prescelto (“rateazione/mese rif.”) con il codice “0102” (perché le rate sono due: una il 16 giugno e una il 16 dicembre), l’anno di riferimento “2015” e infine l’importo dovuto 500 euro nella casella “importi a debito versati”.

Per chi invece ha rispettato la scadenza del 16 giugno 2015 ma ha commesso degli errori di compilazione del modello F24, si può rimediare senza pagare alcuna sanzione. Ad esempio può accadere che il contribuente abbia indicato un codice tributo errato: in tal caso dovrà presentare un’istanza di correzione al Comune, indicando i dati del versamento, il codice che si è utilizzato e quello invece corretto.

Può anche accadere che il contribuente, proprietario di immobili in Comuni diversi, abbia indicato erroneamente un Comune rispetto ad un altro: in tal caso deve presentare una comunicazione a entrambi i Comuni interessati, evidenziando i dati del pagamento e gli estremi catastali dell’immobile. I Comuni effettueranno poi le loro verifiche ma senza chiedere alcun pagamento al contribuente.

Ecobonus al 65% per tende da sole o veneziane. E le zanzariere?

 

Con l’arrivo dell’estate è tempo di pensare a come rendere più fresca la propria casa, riparandola dal sole. Installando schermature solari, si usufruisce, fino al 31 dicembre, della detrazione fiscale, il cosiddetto ecobonus al 65%. Dal 1 gennaio di quest’anno infatti è stata estesa anche alle schermature solari la detrazione fiscale del 65% prevista per lavori di riqualificazione energetica degli immobili.
A fornire una guida completa sulla novità introdotta dalla legge di stabilità 2015 è stata Federlegno, in collaborazione con Assotende, che pubblica on line un vademecum intitolato “Ecobonus e schermature solari”.

In primo luogo occorre chiarire cosa siano queste schermature solari. La legge parla espressamente di schermature solari di cui all’allegato M al decreto legislativo n. 311 del 2006, ossia “i sistemi che, applicati all’interno di una superficie vetrata trasparente, permettono una modulazione variabile e controllata dei parametri energetici e ottico luminosi in risposta alle sollecitazioni solari”. A fornire maggiori chiarimenti, in merito a cosa debba intendersi per schermatura solare, è stata l’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, secondo cui le schermature solari devono avere specifiche caratteristiche. Queste infatti devono essere a protezione di una superficie vetrata e devono essere applicate in modo solidale con l’involucro edilizio e non liberamente montabili e smontabili dall’utente. Inoltre possono essere interne, esterne o integrate ai vetri, mobili e mai fisse, nonché tecniche, escludendo quindi le tende decorative. 

In sostanza rientrano nelle schermature solari esterne che possono fruire della detrazione fiscale tende da sole, capottine mobili, tende a veranda e a rullo, pergole con schermo in tessuto, skylight esterni e anche zanzariere.
Anche le chiusure esterne come veneziane, tapparelle, persiane, frangisole, (tranne le tende decorative) sono comprese nell’elenco dei prodotti la cui installazione e posa in opera permette di fruire degli sconti fiscali.

Una differenza importante tra le schermature esterne non combinate con le vetrate e le chiusure esterne oscuranti, ai fini della fruizione dell’ecobonus, è che mentre le prime non sono detraibili se poste con orientamento a Nord, per le chiusure sono considerati validi tutti gli orientamenti. Le tende da sole, a veranda, veneziane, tapparelle e zanzariere che si intende installare, per poter fruire dell’ecobonus al 65% fino al 31 dicembre, devono pur sempre conseguire una prestazione energetica, che viene espressa con il cosiddetto fattore Gtot o fattore solare. Le schermature solari possono collocarsi infatti in varie classi energetiche, da 0 a 4, basate ognuna sul cosiddetto fattore Gtot, che misura la percentuale di energia solare che penetra in una stanza, attraverso lo schermo e la vetrata. La Legge tuttavia non suggerisce una classe minima entro cui deve collocarsi la schermatura per poter fruire dell’agevolazione fiscale. Anzi, è concesso anche indicare al momento della compilazione della scheda descrittiva sul sito Enea, passo fondamentale per poter beneficiare dell’ecobonus al 65%, all’interno del campo relativo al risparmio energetico stimato, anche il valore “zero” che ad esempio può essere attributo alla zanzariera.

Soffermandoci sugli aspetti prettamente fiscali, l’agevolazione consiste nella possibilità di detrarre dall’Irpef dovuta, l’imposta sul reddito delle persone fisiche, una quota pari al 65% delle spese sostenute per l’installazione e la messa in opera delle schermature solari, per un importo massimo di 60mila euro. Per poter godere della detrazione occorre chiedere al rivenditore-installatore:

  • una tenda e/o schermature solare, con marcatura CE ( con costo prodotto e della posa in opera)
  • la fattura con l’indicazione del nome del prodotto,
  • la dichiarazione che lo stesso sia conforme alla normativa prevista (EN 13561, EN 13659, EN 13120)
  • l’unità di misura e i metri quadri della schermatura
  • il fattore solare.

L’acquisto deve essere fatto, come altre tipologie di interventi ammessi alla detrazione al 65%, con bonifico bancario e/o postale contenente specifici elementi come il codice fiscale di chi beneficia della detrazione, il codice fiscale o la partita IVA dell’operatore, la normativa di riferimento (Legge n. 296 del 2006 e seguenti).

Tutti i documenti vanno conservati ed esibiti, al momento della denuncia dei redditi, al proprio commercialista o CAF.

Entro 90 giorni dalla fine dei lavori, per completare la procedura di fruizione del bonus al 65%, occorre collegarsi sul sito di Enea ( http://finanziaria2015.enea.it/index.asp), e inviare on line una serie di dati relativi alla tipologia di schermature installata (interna, esterna, integrata) e superficie della stessa espressa in metri quadri, la superficie finestrata protetta in mq, il materiale della schermatura (tessuto, legno, metallo, pvc e altro) e la classe della schermatura, il valore Gtot che può essere, ricordiamolo, tra 0 (come per le zanzariere) e 4.

Mutui, Abi: tassi d’interesse ai minimi dal 2010

 

A maggio 2015 , i tassi di interesse sui prestiti si sono posizionati in Italia su livelli ancora più bassi.

mutui

È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’ABI, che mette in evidenza tassi per mutui ai minimi dal 2010
Il tasso medio sulle nuove operazioni per acquisto di abitazioni si è attestato al 2,68% (2,63% il mese precedente e segnando il valore più basso da settembre 2010; 5,72% a fine 2007).

Il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese si è collocato al 2,10% (il valore più basso da maggio 2010) dal 2,28% di aprile 2015 (5,48% a fine 2007)

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Condizionatore in condominio: regole da rispettare

 

condizionatori-condominio
Con l’arrivo dell’estate il condizionatore è per molti l’unica possibilità di refrigerio quando si è dentro casa e si deve fuggire dall’afa. Se si vive però in un condominio l’installazione non è sempre immediata e  possibile. Esistono infatti delle regole da rispettare, soprattutto quando il condizionatore deve essere posizionato sulla facciata del palazzo, bene comune dei condomini.

Regolamento di condominio

Nella riforma del condominio viene chiaramente esplicitato che esistono delle norme che salvaguardano il decoro architettonico dell’edificio e il condomino non può eseguire lavori che “rechino danno alle parti comuni” e che determinino  anche  un pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza. Inoltre la natura assembleare o contrattuale del  regolamento può incidere più o meno sulla decisione finale. Nel primo caso se il condizionatore non altera effettivamente il decoro l’assemblea non può negare l’installazione. Se si tratta invece di regolamento contrattuale l’assemblea può impedire qualsiasi modificazione dell’estetica del palazzo.

Violazione decoro architettonico

Il decoro architettonico è considerato un bene comune e la violazione di questo si innesca ogni qualvolta cambia  l’aspetto originario del condominio. In merito, una sentenza del Tribunale di Milano chiarisce cosa si intende per intervento che altera e deteriora l’estetica di un edificio.

“si tratta, infatti, di impianti sporgenti, ben visibili da chiunque e che considerate le caratteristiche dell’edificio, quale emergenti dalle fotografie prodotte in atti, deve senza alcun dubbio ritenersi che questo intervento abbia alterato in senso deteriore il decoro e l’estetica dello stesso, a nulla rilevando che gli stabili attigui permettano un uso differente della facciata condominiale”. (Trib. Milano 1 ottobre 2013 n. 12037)

Ciò però non è riconducibile solamente a palazzi storici, che hanno un determinato valore anche a livello patrimoniale. Cosa che viene sottolineata da un’altra sentenza del 2014.

“costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio e che la relativa valutazione spetta al giudice di merito, ed è insindacabile in sede di legittimità ove non presenti vizi di motivazione”. (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 6 ottobre 2014, n. 20985)

giovedì 18 giugno 2015

Mutui trainati dalle surroghe, ma i prestiti per l'acquisto crescono solo del 4,7%. Torna positivo il credito al consumo

 

 

 

 

 

L'Osservatorio Assofin-Crif-Prometeia, distinguendo tra i tipi di finanziamento, giustifica il divario tra i dati delle erogazioni e quelli sulle compravendite...

Mutui trainati dalle surroghe, ma i prestiti per l'acquisto crescono solo del 4,7%. Torna positivo il credito al consumo
Emiliano Sgambato
Wed, 17 Jun 2015 11:29:33 GMT

Aumenti alla tassazione sugli immobili strumentali



L'analisi della CGIA Mestre sulle tasse che pesano maggiormente sul bilancio aziendale, dagli aumenti alla tassazione sugli immobili strumentali nel passaggio da ICI a IMU e TASI a IRES, IRAP e IVA.



Aumento tasse
IMU e TASI hanno comportato un raddoppio delle tasse su negozi, uffici e capannoni: è la stima effettuata, con riferimento agli anni tra il 2011 e il 2014, effettuata dall’Ufficio studi della CGIA Mestre. L’ultimo anno di applicazione dell’ICI (il 2011) le entrate per i Comuni con riferimento agli immobili strumentali sono state di circa 5 miliardi di euro, mentre nel 2014 (con IMU e TASI) hanno superato i 10 miliardi di euro.

Tasse immobili strumentali

Più in particolare si sono registrati i seguenti aumenti:
  • +142% per uffici e studi privati;
  • +137% per negozi e botteghe;
  • +107% per laboratori di arti e mestieri;
  • +101% per gli istituti di credito;
  • +94% per gli immobili a uso produttivo.
In termini assoluti a generare le entrate maggiori sono stati:
  • i capannoni (categoria D) per i quali nel 2011 il prelievo era stato di 3,17 miliardi, salito del +94% nel 2014, per un totale di 6,15 miliardi di euro;
  • i negozi e le botteghe artigiane, con una variazione del +137% (da 809 milioni a 1,9 miliardi di euro);
  • gli uffici e gli studi professionali, che passano dai 545 milioni dell’ICI a 1,32 miliardi di euro di TASI e IMU (+142%);
  • i laboratori passano da 228 milioni a 473 milioni di euro (+ 107%).
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Da precisare che:
  • i calcoli non hanno tenuto conto delle detrazioni previste legge, ovvero della deducibilità dal reddito di impresa, totale per la TASI e del 20% per l’IMU;
  • per ciascuna tipologia di imposta è stata utilizzata l’aliquota media risultante dall’analisi delle delibere dei Comuni capoluogo di provincia;
  • per ogni tipologia immobiliare la rendita catastale media è stata ricavata dalla banca dati dell’Agenzia delle Entrate.
Il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi, spiega:
«Tendenzialmente i sindaci hanno mantenuto relativamente basso il livello di tassazione sulle prime case, innalzando, invece, quello sugli immobili ad uso produttivo e sulle abitazioni diverse dalla principale. Insomma, hanno fatto cassa sulle spalle degli imprenditori, sfruttando le situazioni più surreali che la legge ha dato origine, come, ad esempio, l’applicazione dell’IMU su alcune tipologie di macchinari. Una vera e propria follia».

Aumenti IRPEF, IRES, IVA, IRAP

Ma, diversamente a quanto accade per le famiglie, a pesare maggiormente sui bilanci aziendali non sono IMU e TASI quanto piuttosto le ritenute IRPEF dei dipendenti e dei collaboratori, che ammontano a quasi 10,4 miliardi di euro. Ci sono poi:
  • l’IRES, che porta via alle società di capitali ben 9,1 miliardi di euro;
  • l’IVA, con 6,8 miliardi di euro;
  • l’IRAP, con 4 miliardi di euro.
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Nel complesso gli italiani, solo nel mese di giugno, hanno pagato 49,74 miliardi di euro di tasse tra IMU, TASI, TARI, IVA, addizionali IRPEF, IRES, IRAP. La pressione fiscale in Italia, non è una novità, è dunque sin troppo onerosa per imprese e famiglie:
«Pur sapendo che la scadenza di giugno è tradizionalmente una delle più impegnative dell’anno – fa notare il segretario della CGIA, Giuseppe Bortolussi – 50 miliardi di euro è una cifra da far tremare i polsi, anche se rispetto all’ultima rilevazione che avevamo compiuto una quindicina di giorni fa, c’è una grossa novità. L’Amministrazione finanziaria ha concesso una proroga alle aziende e alle partite IVA che sono sottoposte agli Studi di Settore. Queste ultime, pertanto, hanno la possibilità di slittare i pagamenti delle imposte dirette entro il prossimo 6 luglio».
Fonte: CGIA Mestre.

AUMENTO IVA 2016 SI RISCHIA ANCORA!!!

IVA
Recentemente la Commissione UE ha respinto la richiesta italiana di deroga per estendere la Reverse Charge alla grande distribuzione, decisione che aveva fatto preannunciare un aumento delle accise su benzina e gasolio di una percentuale sufficiente a compensare l’ammanco. Ora, nel decreto sugli enti locali varato dal Consiglio dei Ministri, tale aumento viene rinviato di sei mesi. Più in particolare il provvedimento prevede che:
“L’ultimo periodo dell’articolo 1, comma 632, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si applica a decorrere dal 2016”.


Si tratta della clausola di salvaguardia legata al meccanismo di inversione contabile dell’IVA introdotto per alcuni settori dalla Legge di Stabilità 2015 che, secondo l’UE non sarebbe in linea con l’articolo 395 della direttiva sull’IVA e non vi sono prove che sia realmente efficace nel contrastare l’evasione fiscale, come sostenuto dal Governo italiano. Anzi, secondo l’Esecutivo UE una vasta applicazione del meccanismo dell’inversione contabile anche a supermercati, ipermercati e discount potrebbe comportare elevati rischi di spostamento delle frodi verso il settore del commercio al dettaglio e altri Stati Membri.


Per questo motivo l’Esecutivo italiano si è trovato a dover reperire in tempi brevi 728 milioni e, per evitare di far scattare l’aumento automatico delle accise su benzina e gasolio, le prime bozze del provvedimento stabilivano che la copertura arrivasse dal rientro dei capitali dall’estero (dalla voluntary disclosure) e, in caso di necessità, da un aumento degli acconti IRES e IRAP per le imprese. Per ora la soluzione non è stata trovata e il problema è stato solo rimandato, probabilmente alla prossima Legge di Stabilità.


Ricordiamo poi che nella Legge di Stabilità 2015 è presente anche una clausola di salvaguardia che prevede un aumento IVA dal 2016 se non saranno centrati gli obiettivi di risparmio: le aliquote IVA del 10 e 22% rischiano di salire al 13 e 25,5% nel 2018.

domenica 14 giugno 2015

Affitto, IMU e TASI: cosa paga l’inquilino?

 

Affitto IMU e TASI cosa paga inquilino

Per l’immobile in locazione il conduttore deve verificare quali sono le percentuali previste dal Comune per la divisione dell’onere con il locatore.

La Tasi deve essere corrisposta non solo dal proprietario di casa, ma anche dall’inquilino. Ma chi decide la percentuale dell’importo che quest’ultimo deve corrispondere? E come si fa a determinarla?

Diversamente dall’Imu, che deve essere pagato solo dal proprietario dell’immobile, la Tasi deve essere corrisposta anche dall’inquilino e più in generale dall’occupante o utilizzatore dell’immobile (comodatario, assegnatario, ecc).

La percentuale a carico dell’occupante deve essere stabilita dal Comune nel quale si trova l’immobile che può determinare tale misura entro una forbice tra il 10% e il 30% dell’ammontare complessivo del tributo. La restante parte è invece corrisposta dal proprietario dell’unità immobiliare.

Nel caso in cui il Comune non abbia previsto nulla, scatta la quota del 10% a carico dell’inquilino.

Il presupposto impositivo della Tasi si realizza non solo con il possesso, ma anche con la detenzione a qualsiasi titolo, di fabbricati (compresa l’abitazione principale) e di aree fabbricabili, esclusi in ogni caso i terreni agricoli.

Il detentore è tenuto a pagare la TASI solo quando l’immobile è occupato da un soggetto diverso dal possessore; quindi non scatta nel caso di affitto, per esempio, di una semplice camera.

Inoltre, se l’abitazione è occupata dal coniuge possessore, l’altro coniuge o i figli non proprietari nulla dovranno versare in qualità di detentori.

L’imposta dovuta si calcola considerando l’aliquota applicabile al possessore.

La Tasi non versata dal detentore non può essere richiesta al possessore: insomma, il proprietario di casa non può essere chiamato a versare quello che il suo inquilino non ha pagato. Non c’è quella che si definisce solidarietà passiva.

In presenza di più detentori l’imposta dovuta è unica e non può essere frazionata. In questo caso i più detentori sono tra loro obbligati in solido, pertanto in sede di accertamento il Comune può richiedere l’intero importo ad uno qualsiasi di essi.

Diverso è il caso di leasing. In questo caso spetta al locatario (cioè l’utilizzatore dell’immobile) l’onere di versare tanto la Tasi quanto l’Imu. Si tratta di una deroga al principio di soggettività passiva basata sul possesso o sulla titolarità del diritto di proprietà, o di altro diritto reale. Ciò vale anche per gli immobili da costruire o in corso di costruzione: è irrilevante il momento di consegna dell’area o dell’immobile. In sostanza l’impresa locataria paga l’Imu dalla stipula del contratto e per tutta la durata dello stesso, prendendo come riferimento il valore dell’area edificabile e poi quello del fabbricato dal momento di ultimazione dei lavori.

Come ottenere lo sfratto se l’affitto non è stato registrato

 

Sfratto via Pec serve avviso di notifica con raccomandata

Cosa accade nel caso in cui nessuno abbia provveduto a versare l’imposta di registro e il proprietario voglia comunque ottenere la restituzione dell’immobile?

Risulta ancora oscuro a molti cosa preveda esattamente la legge nel caso, tutt’altro che raro, in cui né il proprietario, né l’affittuario abbiano provveduto a versare l’imposta di registro dovuta per l’avvenuta conclusione di un contratto di locazione ad uso abitativo o non abitativo.

Bisogna, tuttavia, conoscere prima quali siano gli effetti della omessa registrazione del contratto di locazione e ciò allo scopo di evitare non solo le pesanti sanzioni fiscali, ma anche gli effetti diretti sulle procedure per richiedere ed ottenere lo sfratto dall’immobile dato in locazione.

La legge [1] stabilisce la nullità dei contratti di locazione ad uso abitativo o non abitativo che non siano stati registrati, per i quali, cioè, non sia stata versata l’imposta di registro. Ciò significa che un tale contratto è come se non esistesse, con la conseguenza che chi occupa un immobile in base ad un contratto di locazione non registrato è considerato dalla legge un occupante abusivo e chi ne sia proprietario non ha alcun diritto di pretendere il canone di locazione indicato nel contratto non registrato.

Ne deriva, quale ulteriore conseguenza, che il proprietario di un appartamento concesso in locazione sulla base di un contratto non registrato non potrà ottenere la restituzione dell’immobile in base alla procedura (più veloce) di sfratto per morosità poiché essa presuppone l’esistenza di un valido contratto di locazione in corso tra le parti.

Il proprietario dovrà invece, attraverso un legale, chiedere al giudice la restituzione dell’immobile con un giudizio ordinario basato sull’occupazione abusiva dell’immobile da parte dell’inquilino. Con tutti i tempi e i costi che esso comporta.

Il giudizio ordinario richiede infatti tempi più lunghi e, per di più, il proprietario non potrà chiedere il pagamento dei canoni indicati nel contratto (che è, come si è specificato, nullo cioè inesistente in quanto non registrato), ma il risarcimento del danno subìto per non aver potuto godere dell’immobile di proprietà per tutta la durata dell’occupazione abusiva.

Di solito il giudice calcolerà il risarcimento richiesto dal proprietario per l’occupazione abusiva sulla base dei canoni praticati per immobili similari esistenti nella medesima zona.

Risulta, perciò sicuramente assai rischioso concludere contratti di locazione senza poi pagare l’imposta di registro prevista dalla legge la quale, sempre in base alla legge, va divisa in parti uguali tra il proprietario e all’inquilino.

Infine è opportuno aggiungere che è stata dichiarata incostituzionale, con sentenza della Corte Costituzionale [2], la norma [3] che stabiliva, in caso di omissione del pagamento dell’imposta di registrazione relativa a contratti di locazione ad uso abitativo, che il contratto dovesse automaticamente commutarsi in uno di 4+4 anni e assoggettato ad un canone pari a tre volte la rendita catastale, allorché il conduttore avesse “denunciato” l’esistenza del contratto in nero.

Note

[1] Art. 1, comma 346, L. n. 311 del 2004.

[2] C. Cost., sent. n. 50 del 14.03.2014.

[3] Art. 3, commi 8 e 9, D. lgs. n. 23 del 2011.

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